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95 – La passione italiana per gli anime giapponesi

Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 14 gennaio 2023.

Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale.

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La passione italiana per gli anime giapponesi Salvatore racconta Podcast in italiano per stranieri

 

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Almeno due generazioni di italiani e italiane hanno giocato a pallone nel cortile sotto casa sognando non solo di fare goal Baggio, Totti, Del Piero o anche Zidane e Maradona ma anche come Oliver Hutton e Mark Lenders. E quelli che amavano stare in porta -pochissimi- sognavano di parare come Peruzzi, Pagliuca, Buffon ma anche come Benjamin Price.

E quanti altri ragazzi e ragazze, giocando a pallavolo, hanno avuto in mente Mila e Shiro, oppure, facendo a botte con fratelli, sorelle o compagni di scuola hanno imitato le mosse di Goku e Vegeta, o magari quelle di Ken il guerriero.

E che dire di chi ha sognato per tutta l’infanzia, e magari non solo l’infanzia, di trovare il suo Pikachu e diventare un grande allenatore di Pokemon.

Forse hai capito di cosa sto parlando. Di cartoni animati giapponesi, i cosiddetti anime.

Ma questo, mi dirai, è Salvatore racconta, un podcast che parla di cose italiane. Che c’entrano gli anime?

C’entrano perché, nonostante siano arrivati da un Paese molto lontano come il Giappone, con una cultura per molti versi così distante da quella italiana, gli anime nipponici sono diventati un elemento identitario fortissimo e ancora oggi costituiscono un caposaldo della cultura pop di tutte le persone che hanno vissuto almeno un pezzo della propria infanzia tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni Duemila.

Quelli sono stati i decenni d’oro della televisione, e da lì entravano nelle case degli italiani le notizie con i telegiornali, i grandi film italiani e internazionali, le pubblicità, le partite di calcio, ma a un certo punto anche i cartoni animati giapponesi. Entrati dalla porta di servizio e poi diventati un fiume in piena.

Holly e Benji, Mila e Shiro, Ken, Goku, Vegeta, ma anche Sailor Moon, Ufo Robot, Mazinga.

Le persone che, come me, sono nate alla fine degli anni 80 se li ricordano molto bene. Alcuni la mattina presto, prima di andare a scuola. Altri, nel primo pomeriggio, subito dopo pranzo e prima di iniziare a fare i compiti per il giorno dopo. Altri ancora la sera, prima dell’ora di cena e prima del momento di passare il telecomando a papà e mamma per guardare il telegiornale.

Ci sono stati cartoni animati molto violenti, altri eroici, alcuni sportivi e altri sentimentali, alcuni drammatici e strappalacrime, altri comici e quasi demenziali. Tutti però, in un modo o nell’altro, ci hanno fatto emozionare e fanno parte dei nostri ricordi. Anche grazie alle canzoni delle sigle, diventate di culto, perché ci fanno emozionare e ci ricordano l’infanzia.

Quell’infanzia popolata, tra le altre cose, di personaggi dagli occhi grandi e dai nomi un po’ strani alle nostre orecchie.

I protagonisti e le protagoniste dei grandi anime giapponesi. E oggi, da un punto di vista italiano, te ne parlo un po’.

Il primo impatto della tv italiana con il mondo dell’animazione giapponese arriva alla fine degli anni 70 grazie alla Rai, che manda in onda quello che sarebbe diventato un classico: Heidi, la storia di una bambina sognatrice e ribelle che vive sulle Alpi svizzere. Dunque un anime di produzione giapponese, ma con una storia e delle ambientazioni europee facilmente riconoscibili.

Il passo decisivo lo fa sempre la Rai poco tempo dopo. Nel 1978 arriva per la prima volta nelle case Ufo Robot. È una novità enorme per il pubblico italiano che resta a bocca aperta di fronte a quello che vede per la prima volta in tv. Robot spaziali che combattono battaglie galattiche per le sorti dell’umanità.

Questa volta è davvero tutto nuovo. C’è la fantascienza, c’è la lotta, e poi colori, azione, realizzazione. Ufo Robot ci mette pochissimo a fare breccia nei cuori delle persone e diventa subito di culto. Anche grazie alla sua sigla, ancora oggi una canzone famosissima e che nel 1978 era anche diventata uno dei singoli più venduti nei negozi di dischi. Ad ascoltarla oggi, colpisce per il contrasto tra la durezza delle immagini e la dolcezza candida e un po’ ingenua della canzone che le accompagna. Cantata come una marcetta, e con rime da filastrocca per bambini, parla di Goldrake come di un bambino che, cito, “mangia libri di cibernetica, insalate di matematica e a giocar su Marte va”.

Comunque sia, il successo di Ufo Robot fa da apripista a un fenomeno che forse nessuno si aspettava così grande.

Negli anni successivi, arriva il momento di un’altra grande saga cosmica, quella di Capitan Harlock, un pirata spaziale che lotta per salvare la terra dagli alieni. Quella stessa terra dove Harlock e i suoi uomini non vogliono più vivere perché c’è un governo totalitario che impone a tutti il pensiero unico.

Per questa sua immagine di difensore della tradizione e critico contro l’omologazione, Harlock è diventato ed è tuttora un simbolo particolarmente amato dai simpatizzanti di destra.

Va detto che il resto dei gruppi politici, di centro e di sinistra, guarda gli anime con la puzza sotto il naso la nuova moda dei cartoni animati giapponesi. A volte, addirittura, ne chiedono la censura giapponesi perché sostengono che portino avanti messaggi di violenza e brutalità e che siano diseducativi.

Ormai però il dado è tratto e il fenomeno non si può fermare.

Presto il successo degli anime giapponesi si espande a macchia d’olio. I diritti sono relativamente poco costosi, il doppiaggio è facile (a patto di conoscere il giapponese) e il risultato è garantito. Presto anche i concorrenti della Rai si interessano al prodotto e iniziano a trasmetterne alcuni per il loro pubblico.

I filoni per il momento sono due. Uno che si rifà ad Heidi, e che quindi propone temi europei con tecniche giapponesi, e l’altro invece genuinamente nipponico e basato soprattutto sulla fantascienza.

Al primo gruppo si rifanno anime come Anna dai capelli rossi, ispirato alla protagonista dell’omonima serie di famosi romanzi, oppure un altro cartone destinato a diventare famosissimo: Lady Oscar, la storia di una giovane donna francese nel XVIII secolo, cresciuta dalla sua famiglia come se fosse un maschio e diventata soldato della guardia di Maria Antonietta subito prima della rivoluzione francese.

Nel secondo filone invece rientrano cartoni come l’iconico Ken il guerriero, la storia di combattenti senza pietà in un mondo post-apocalittico.

Nel frattempo, la galassia di piccole tv commerciali sta per cambiare forma. Perché nel frattempo scende in campo Silvio Berlusconi. Ha un mucchio di soldi guadagnati con il mercato immobiliare e li usa per costruire il suo impero televisivo, Fininvest, con tre canali che possono fare davvero concorrenza alla Rai.

Per lanciare la sua sfida alla tv pubblica, la Fininvest di Berlusconi, fa man bassa di cartoni animati giapponesi. E inizia a fare una prima selezione.

Nei palinsesti ci sono ormai molti anime che gli esperti di mercato considerano maschili. Perché mostrano guerrieri sanguinari o robot distruttivi. Inoltre, molti sono troppo violenti per poterli lanciare negli orari della fascia protetta. Bisogna fare altre scelte.

 

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Per fortuna, dal Giappone arrivano proposte sempre nuove, molto varie e alcune che sembrano, secondo gli standard dell’epoca, fatte apposta per il pubblico femminile. Come per esempio la serie romantica, e un po’ sdolcinata, Kiss Me Licia.

Nel frattempo, le produzioni un po’ più brutali vanno in onda sui piccoli canali privati locali che così diventano la passione segreta tra i giovani ormai appassionati di anime. La Rai invece, dopo la fase di fine anni ’70, abbandona quasi del tutto l’animazione giapponese.

Tra la metà degli anni 80 e l’inizio degli anni 90 escono le serie più di culto per la nuova generazione. Come per esempio Mila e Shiro, ambientata nel mondo della pallavolo, oppure Holly e Benji che invece muove i suoi passi nel mondo del calcio.

Eppure si può fare ancora qualcosa di più. Il pubblico ormai è più esigente. E la risposta arriva dai canali Fininvest, quelli di Berlusconi, circa a metà degli anni ’90.

A partire da Sailor Moon. La storia di alcune adolescenti che scoprono un po’ per caso di essere guerriere destinate a salvare l’umanità. Le vicende delle guerriere Sailor si barcamenano così tra problemi tipici delle adolescenti e missioni molto dure e pericolose. Il successo è incredibile tra le ragazze, ma anche tra i ragazzi. Cosa che porta non pochi dubbi nell’opinione pubblica italiana. Con tanti bambini maschi che imitavano nei loro giochi le mosse di Sailor Moon, qualcuno sui giornali si chiedeva se questo cartone animato non incitasse all’omosessualità.

Sembra ridicolo, ma si diceva davvero. E dire che i canali di Berlusconi facevano già una pesante censura sui cartoni prima di mandarli in onda.

Dopo averne comprato i diritti, infatti, gli esperti di Mediaset si chiudevano in sala a tagliare le scene compromettenti -per esempio in Sailor Moon quelle in cui le ragazze si trasformavano, rimanendo nude per qualche secondo- oppure cambiando le scene di sana pianta.

Il caso emblematico è quello dell’anime dedicato alle cotte adolescenziali chiamato Temi d’amore tra banchi di scuola, che va in onda a cavallo tra gli anni Novanta e i primi Duemila.

In un episodio di questo cartone, una delle protagoniste femminili ha per la prima volta le mestruazioni, ma a qualcuno sembra che in Italia questo non si possa dire. Così la ragazza, nell’episodio in questione, nel doppiaggio italiano, dice di avere avuto… un sogno premonitore. La scena singola andrebbe anche bene, ma le altre diventano surreali. Come quella in cui la madre e le amiche la rassicurano dicendole che alla sua età è normale avere… sogni premonitori. E la scena in cui a scuola affrontano una lezione di educazione sessuale si trasforma in una scena in cui le ragazze guardano un documentario… sui sogni.

Molto ironico, persino grottesco, se pensiamo che i canali di Berlusconi mandavano in onda pubblicità e programmi con donne seminude a qualsiasi ora del giorno.

I primi anni 2000 segnano un altro momento magico per gli anime in Italia. Soprattutto quando Mediaset scopre la sua gallina dalle uova d’oro: Dragonball. La serie racconta le avventure di Goku, un bambino dalla forza sovrumana che diventa un grande campione di arti marziali e salvatore del mondo in varie occasioni. E anche se il tono generale del cartone è ironico e leggero, non mancano scene molto drammatiche e il tema della morte è presente in moltissime occasioni. Come anche quello della resurrezione, cosa che ha fatto gridare allo scandalo le associazioni religiose che lo consideravano un’offesa ai valori cristiani.

Comunque sia, il successo di Dragon Ball è stato davvero un caso di scuola.

Un ultimo grande boom è arrivato poco tempo dopo con la saga dei Pokemon, nata nel mondo dei videogiochi e poi arrivata anche sugli schermi televisivi diventando un oggetto di culto generazionale e che esiste ancora oggi, anche se in una forma diversa.

Da Goldrake ai Pokemon sono passati più di vent’anni. Due decenni nei quali i cartoni animati giapponesi, con il loro mix di immagini riconoscibili e altre innovative, hanno costruito l’immaginario collettivo di milioni di adolescenti. italiani È praticamente impossibile incontrare una persona che oggi ha tra i 25 e i 45 anni che non conosca almeno di sfuggita i personaggi che abbiamo citato.

E la stessa fortuna, se non ancora maggiore, è capitata anche alle canzoni delle sigle. All’inizio abbiamo parlato di quella di Ufo Robot, ma molte altre sono entrate in qualche modo nella musica italiana. Un’interprete in particolare, una cantante che si chiama Cristina D’Avena, è diventata famosa proprio per avere cantato moltissime delle sigle degli anime più famosi. Ancora oggi durante i suoi concerti le capita piuttosto spesso di cantare con i fan alcune delle sigle più amate.

Il fenomeno degli anime continua ancora in Italia, anche se in modi diversi rispetto a prima, dovuti anche al fatto che non si guarda più la televisione nel modo in cui lo si faceva negli anni 80, 90 e 2000.

L’universo degli amanti di questo genere oggi si divide tra gli appassionati che vanno a caccia di titoli sempre nuovi, anche prima che arrivino sul mercato italiano e tra gli eterni nostalgici che si commuovono guardando quelli che li emozionavano da bambini.

Come succede con tutti i fenomeni di cultura pop, c’è chi li ama e chi li odia, ma non si può non dire che il vocabolario emotivo di due generazioni di italiani e di italiane senza questi riferimenti sarebbe inimmaginabile.

 

 

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