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#88 -5 posti dove non si parla (solo) italiano

Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 12 novembre 2022.

Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale.

Per ascoltarlo, clicca qui.

5 posti in Italia dove non si parla (solo) italiano Salvatore racconta Podcast

 

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Quando parliamo di lingua italiana, c’è una cosa che si sente dire spesso. Decisamente troppo spesso, per i miei gusti.

Quando si parla di una regione periferica come la Sicilia o la Calabria al sud, o la Val d’Aosta a nord, prima o poi capita qualcuno che dice: “ah, ma lì non si parla mica italiano!”.

A volte questa frase viene detta per scherzare, altre volte per ignoranza, altre volte ancora con un po’ di razzismo.

In generale, c’è un po’ di confusione sul tema dei dialetti, su cosa significano e quale valore hanno nelle realtà regionali in cui sono parlate.

È un tema che affronteremo in un altro momento. Per ora, voglio solo dire che no, a parte rarissimi casi, non esistono luoghi in Italia dove oggi non si parli italiano.

Ci sono però zone d’Italia dove oltre all’italiano si parla un’altra lingua.

Le lingue parlate dalle minoranze nazionali, riconosciute dallo Stato. Per esempio, lo sloveno in Friuli-Venezia Giulia, il tedesco in Trentino-Alto Adige o il francese in Val d’Aosta.

E ci sono anche le lingue parlate dalle persone migranti che hanno deciso di costruire la loro vita sul territorio italiano. Per cui oggi è facile, soprattutto nelle grandi città, sentire parlare cinese, rumeno, arabo, russo, ucraino, bengalese.

E poi c’è un altro gruppo ancora. Quello di cui voglio parlarvi oggi.

Cinque luoghi in cui si parla una lingua diversa dall’italiano. Non parlo di dialetti, e non parlo di migranti, ma di lingue che esistono lì da secoli.

Un fenomeno che gli esperti chiamano: isole linguistiche. Ne ho scelte cinque, e oggi te le racconto.

1 – Arbareshe, l’albanese d’Italia

Una ventina di chilometri a sud di Palermo, si incontra una cittadina di poco più di 5000 anime dal nome molto chiaro. Piana degli albanesi.

Una località che, come tante altre in Sicilia, è stata fondata nel XV secolo da un gruppo di albanesi che avevano attraversato il mare scappando dall’invasione della loro terra da parte degli eserciti dell’impero ottomano. Molti degli albanesi arrivati in Italia si sono assimilati alla popolazione locale. Invece, quelli di Piana degli Albanesi hanno mantenuto la loro autonomia culturale e linguistica all’interno del contesto in cui erano arrivati. Cosa che è rimasta in parte fino a oggi.

Curiosamente, per molto tempo, la città è stata conosciuta con il nome di Piana dei Greci anziché Piana degli Albanesi. Il motivo è semplice: i nuovi arrivati celebravano la messa di rito bizantino e usavano il greco come lingua liturgica anziché il latino. E probabilmente la consapevolezza dell’esistenza di un popolo albanese non era molto comune.

Oggi invece la città riconosce con orgoglio la sua origine albanese, nel nome e nella lingua.

Se arrivate qui in macchina, fermatevi un attimo a osservare il cartello stradale che segna il suo nome. È scritto in italiano e in una lingua che forse non riconoscerete, e che si chiama arbareshe. Ovvero una variante dell’albanese di oggi, rimasto un po’ più antico rispetto a quello che si parla nella madrepatria.

La toponomastica delle strade in città è in entrambe le lingue, e gli abitanti locali -soprattutto i più anziani- parlano volentieri arbareshe tra loro anche se ovviamente conoscono alla perfezione anche l’italiano e pure il dialetto palermitano.

Con l’obiettivo di non disperdere il patrimonio culturale specifico di Piana degli Albanesi, i suoi amministratori incoraggiano sempre progetti di collegamento con l’Albania e oltre che con gli albanesi emigrati in Italia nel XX secolo e in particolare negli anni ‘90.

Per la verità, Piana degli Albanesi non è l’unico posto in Italia dove si parla arbareshe. Altre comunità che sono rimaste legate alla lingua dei loro progenitori si trovano in altre zone del sud Italia. In particolare in Calabria, ma anche in Puglia, in Basilicata e persino nel Molise. Quella in Sicilia, se vogliamo, è la più caratteristica. Una specie di capitale morale degli albanesi in Italia.

2 – Grico e grecanico, i greci del Sud

Restiamo al sud Italia, ma questa volta ci spostiamo in una città che su questo podcast abbiamo già raccontato. Sto parlando di Lecce, il capoluogo del Salento, la parte più meridionale della Puglia dove possiamo incontrare comunità che parlano un dialetto di origine greca, come il nome grico dice chiaramente.

A differenza dell’arbareshe, è più difficile rintracciare le origini del grico. Ci sono comunità greche nel sud Italia dalla notte dei tempi, da quando le antiche città elleniche fondavano colonie sulle coste italiane. Eppure, la teoria più fondata sull’origine del grico guarda a un periodo più recente. Perché questo greco salentino è più simile al neogreco, parlato oggi, che al greco classico di Platone e Euripide.

E questo ci porta a pensare che le comunità grecofone del Salento derivino dai contatti dell’Italia medievale con l’impero bizantino. Quello che sulla carta era ancora il vecchio impero romano d’oriente, ma che era ormai da secoli culturalmente greco e di romano aveva solo il nome.

Il grico si parla in sei comuni in provincia di Lecce. Lo parlano soprattutto i più anziani. Anche se, le giovani generazioni provano a mantenere il contatto con le loro radici grazie alla musica. Ci sono molti artisti e gruppi salentini che usano il grico nelle loro canzoni o comunque si rifanno a quella tradizione.

Un’altra comunità grecofona importante è quella che si trova in provincia di Reggio Calabria, in una quindicina di paesi ai piedi dei monti Bova. Il nome di quella lingua è grecanico, ha delle differenze rispetto al grico ma condivide con il suo cugino salentino l’origine medievale. E come per il grico, oggi la comunità che parla e conserva il grecanico lo fa attraverso la poesia e la musica popolare.

 

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3 – Slavisano, il croato del Molise

Il Molise è una regione sulla quale spesso in Italia si scherza. È piccola e se ne parla sempre poco, tanto che il mondo di internet si è sbizzarrito a creare grafiche e meme che dicono che il Molise non esiste.

In realtà il Molise esiste eccome, è una regione molto ricca da un punto di vista paesaggistico e culturale. E qui abita la piccola comunità croata molisana.

I rapporti tra l’Italia e la Croazia sono molto antichi. La Repubblica di Venezia nei suoi secoli di dominio sul mediterraneo aveva fondato diverse colonie sulla costa della Dalmazia e ancora oggi diverse città di quella zona conservano tracce italiane nella lingua e soprattutto nell’architettura.

I croati del Molise hanno fatto il percorso inverso. Sono arrivati in Italia per le stesse ragioni per cui sono arrivati gli albanesi: la volontà di fuggire dall’invasione ottomana. Secondo gli storici, le comunità croate e slave in generale arrivate in Italia erano abbastanza numerose anche fuori dal territorio dell’attuale Molise. La maggior parte di loro però sono arrivate in Italia in modo isolato e si sono assimilate. I croati molisani invece sono arrivati in blocco e in blocco sono rimasti, al punto di mantenere la propria identità.

Lo zoccolo duro dei croati del Molise vive oggi in due paesini: Montemitro e Acquavilla Collecroce, in provincia di Campobasso. Sono due paesini piccolissimi, messi insieme non arrivano a contare nemmeno mille abitanti. Per questo motivo, il croato di Molise sta scomparendo, lo parlano solo pochi anziani.

Restano alcune tracce nella cultura popolare, vecchie canzoni, preghiere, poesie. Dalle quali possiamo intuire la vicinanza con il croato moderno, ma anche alcune differenze. In un certo senso, il croato molisano è rimasto nel passato, ancorato a quello di chi in Molise ce l’ha portato.

4 – Alghero, provincia di Barcellona

Nel contesto delle minoranze linguistiche europee, il catalano ha un posto di primo piano. Perché la Catalogna, e in particolare Barcellona, sono posti famosi, ricchi e soprattutto molto orgogliosi della propria identità.

Il più grande sponsor del catalano nel mondo è sicuramente il Barcellona, squadra di calcio che a partire dal suo motto mas que un club porta sugli scudi l’identità catalana anche dove non ci sono catalani.

Sapete invece dove i catalani ci sono? Ad Alghero. Città del nord ovest della Sardegna. Una regione che già di per sé rappresenta un unicum nel contesto linguistico italiano. Il sardo ha lo status di lingua ed è il risultato dell’incontro tra le varie forme che si parlano sull’isola. E accanto a tutto questo, c’è la pecora nera rappresentata da Alghero, dove il dialetto locale è a tutti gli effetti catalano.

Le radici del catalano algherese sono facili da ritrovare. Nel XIV secolo, il regno Aragona -che poi sarebbe diventato il regno di Spagna- invase e conquistò la Sardegna, dove all’epoca oltre agli abitanti autoctoni vivevano nobili genovesi e pisani che facevano il bello e il cattivo tempo.

Sotto il nuovo regno aragonese-catalano, gli abitanti di Alghero non si mostrarono docili e anzi organizzarono una ribellione contro i nuovi padroni. Che però non fu sufficiente a cambiare i piani di re Pietro d’Aragona, che l’anno dopo riuscì a sottomettere gli algheresi e -per evitare nuove sorprese- li cacciò in massa dalla città. Al loro posto, portò ad Alghero persone nuove, più fedeli, direttamente dalla sua Catalogna. E che naturalmente parlavano catalano.

Nel 2008, il 22% degli abitanti della città ha dichiarato il dialetto algherese catalano come prima lingua, ma solo il 14% ha dichiarato di parlarlo abitualmente.

Per ascoltare il catalano algherese, tuttavia, oggi non serve necessariamente cercare casa per casa gli anziani del luogo. Ci sono istituzioni che lavorano per mantenere l’uso di questa lingua. Tra queste, anche la tv locale di Alghero che si chiama Catalan TV e che trasmette metà del suo palinsesto proprio in catalano.

5 – Guardiolo, dalle Alpi alla Calabria

Completiamo il nostro viaggio tornando nell’Italia meridionale, e in particolare in Calabria. Abbiamo già visto che da queste parti ci sono comunità che parlano grecanico e altre che parlano albanese, e tutto sommato è una storia coerente con il territorio della regione.

Se andiamo verso nord, in provincia di Cosenza, troveremo qualcosa di molto particolare.

Un paesino chiamato Guardia Piemontese. E già il nome è il primo campanello d’allarme. Che ci fa un posto che si chiama piemontese in Calabria? Dalla Calabria al Piemonte ci sono di mezzo più di mille chilometri di strada.

Il nome “piemontese” per la verità è abbastanza recente, ma le motivazioni sono antiche. La comunità che vive qui da secoli infatti è arrivata da alcune valli del Piemonte, ma anche dalla Provenza e dal Delfinato, regioni alpine del sud della Francia.

Ed è per questo motivo, che Guardia Piemontese porta questo nome e che la lingua tradizionale del paese è un dialetto che nulla ha a che fare con il cosentino e le altre parlate calabresi, bensì è occitano, un dialetto che ancora oggi si parla in alcune zone della Francia del sud, della Val d’Aosta e del Piemonte. Oltre che, naturalmente, a Guardia Piemontese.

Ma come ci è arrivata in Calabria una lingua delle valli alpine? Ce l’ha portata la storia.

Nelle zone dove si parlava occitano, nel medioevo si era diffusa la fede valdese, ovvero un movimento cristiano riformatore che contestava la Chiesa romana di allora e che poi è diventata vittima dell’Inquisizione. Quell’Inquisizione che cercava e arrestava gli eretici ovunque fosse possibile. Grandi comunità di valdesi sono scappate dal Piemonte cercando pace altrove. Alcuni sono arrivati nel profondo sud, in Calabria, portando la propria fede e il proprio dialetto.

Per un po’, i valdesi hanno vissuto in pace a Guardia Piemontese. Finché poi l’Inquisizione, accompagnata dalle armi dell’esercito spagnolo, li ha trovati anche lì e li ha praticamente sterminati. Infatti a Guardia Piemontese la fede valdese è sparita presto. In compenso è rimasta la lingua, che nel tempo si è mischiata un po’ ai dialetti calabresi, ma ha mantenuto la sua identità.

I parlanti occitani autentici a Guardia Piemontese sono sempre di meno. Perché il paese è sempre meno popolato e perché nel mondo di oggi preservare identità locali uniche è sempre più difficile.

Sembra che il destino delle isole linguistiche sia segnato. Soprattutto in assenza di istituzioni o persone che lottano per salvarle. Peccato. Ma finché c’è, godiamoci la ricchezza di storie che queste lingue e i loro parlanti ci possono raccontare.

 

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