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#8 Trieste. Una città, tante anime

Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 24 aprile 2021.

Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale.

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Trieste Salvatore racconta

 

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C’è una città in Italia famosa per il mare e per il caffè. Ma non sto parlando di Napoli. È una città con una propensione economica e finanziaria antica nei secoli. E non sto parlando nemmeno di Milano.

È una città che ha tanti nomi, a seconda di chi ne parla. Perché è una città di confine, dove sono passate e passano tante lingue e tante culture.

Se ci siete stati, forse avete capito di che città sto parlando. Se non l’avete mai visitata, invece, vi ci porto io.

Andiamo a Trieste.

Se guardate su una mappa, o su Google Maps, scoprirete che Trieste è in un posto un po’ strano. Sembra una virgola di terra che allunga l’Italia verso oriente. Se uno non guarda bene, può pensare che in quel punto l’Italia sia già finita, e sia già iniziata la Slovenia.

Non è una cosa casuale. Anzi, grande parte dell’identità di Trieste viene proprio da lì, dalla sua posizione, all’incrocio tra due nazioni, o forse tre.

Come al solito, partiamo da un po’ di storia.

Per molti secoli Trieste è stata una città relativamente piccola. Oscurata in particolare dalla potenza di Venezia. Fino al diciottesimo secolo, quando l’area di Trieste diventa interessante per le sorti del sacro romano impero, che poi sarà l’impero austro-ungarico.

Nel 1719, l’imperatore Carlo VI d’Austria ha un’idea simile a quella avuta da Ferdinando I di Toscana un secolo e mezzo prima per Livorno. Vi ricordate? Il governo di Vienna ha bisogno di un porto sul mediterraneo per contrastare Venezia e il suo predominio. Decide di farlo a partire da Trieste, che diventa un porto franco e così comincia a crescere molto rapidamente. Arrivano famiglie da tutti gli angoli dell’impero asburgico e Trieste diventa grande e cosmopolita.

A parte la parentesi delle guerre napoleoniche, Trieste resta sotto il controllo austriaco per due secoli.

Duecento anni in cui diventa grande e ricca, una delle più importanti città dell’impero. Una città austriaca, dunque, dove chi comanda parla tedesco. Anche se per le strade, soprattutto tra i mercanti, i professionisti e gli studenti, molti si sentono italiani e parlano italiano. E molti altri ancora parlano sloveno e si sentono sloveni.

Le cose cominciano a cambiare nella seconda parte del dominio austriaco.

A metà del XIX secolo, cominciano le guerre di indipendenza italiane. Gli austriaci in quel periodo non controllavano solo Trieste, ma anche tutto il Veneto e tutta la Lombardia. Con le guerre del Risorgimento, devono cedere quel territorio al Regno d’Italia. Così l’Austria perde Milano e anche Venezia. Ma non Trieste. Per gli austriaci è molto importante, gli italiani non hanno i soldi né le energie per arrivare così lontano.

Come dicevamo, però, a Trieste vivono molti italiani. Che ora vedono un Regno d’Italia così vicino alla loro città e cominciano a pensare seriamente che Trieste ne debba fare parte.

Gli austriaci percepiscono questa insoddisfazione e cercano di frenarla in tutti i modi, ma il nazionalismo italiano in città sembra inarrestabile.

Nella prima guerra mondiale, Italia e Austria si scontrano al fronte. L’obiettivo del Regno d’Italia è dichiarato da subito: completare l’unità italiana conquistando Trento e Trieste. E con grande fatica, alla fine le ottiene, con il trattato di Rapallo del 1920.

L’ingresso in Italia non è una decisione a cuor leggero per i triestini. Il nazionalismo italiano in città è forte, ma lo è anche quello degli sloveni, che speravano che la città venisse unita al regno di Jugoslavia appena nato. Invece si trovano in Italia. Stranieri in un Italia molto nazionalista e molto arrabbiata.

Da quel clima di insoddisfazione, sarebbe nato il fascismo, con la sua idea di superiorità italiana sulle altre nazioni e il disprezzo per tutto ciò che non è italiano.

A Trieste, per esempio, i fascisti hanno subito le idee chiare. Il 13 luglio del 1920 attaccano e incendiano il Narodni Dom, il centro culturale e simbolo degli sloveni triestini. Poco tempo dopo, quando il fascismo è ormai solidamente al potere, la città viene italianizzata con la forza. Chiudono le scuole slovene, i centri culturali, i giornali. I cittadini di etnia slovena devono italianizzare i loro nomi.

Durante la seconda guerra mondiale nelle campagne intorno a Trieste ci sono scontri feroci a sfondo etnico, con atti di violenza compiuti dall’esercito fascista e rappresaglie di vendetta da parte dei partigiani jugoslavi. Nella seconda parte della guerra, quando l’esercito del Reich occupa direttamente Trieste, viene aperto il più importante campo di concentramento nazista in Italia, alla Risiera di San Sabba.

Sono anni di enorme caos e dolore la cui fine è ancora lontana. Nel 1945, alla fine della guerra, Trieste viene liberata. Ma da chi? Arrivano in città due eserciti anti-nazisti. Uno è quello degli alleati anglo-americani. Per la precisione, reggimenti neozelandesi. Un altro è quello dei partigiani jugoslavi guidati dal Maresciallo Tito.

Gli uomini di Tito arrivano per primi, con l’obiettivo politico di portare Trieste nella nuova Jugoslavia socialista. Ottengono il controllo militare della città per qualche tempo, poi si accordano con gli Alleati e si accontentano della parte bassa dell’Istria.

Trieste passa agli anglo-americani. Ma non all’Italia. Tra il 1947 e il 1954, Trieste è una città senza nazione. Si chiama ufficialmente Territorio Libero di Trieste, ha una sua moneta, i suoi francobolli e un suo passaporto. Inoltre è affollata da migliaia di soldati americani.

Solo nel 1954, un nuovo trattato riporta Trieste e la sua provincia sotto l’amministrazione della repubblica italiana. Dove si trova ancora oggi.

Una storia lunga e complicata, ma che rende Trieste così affascinante.

 

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Anche se il dominio austriaco sulla città è finito più di un secolo fa, Trieste conserva un’anima asburgica e centroeuropea molto forti. Lo stile dei palazzi e delle strade ricorda un po’ quello di Vienna. E il simbolo architettonico principale della città, il Castello di Miramare, è anch’esso un’eredità austriaca. È tutto in pietra bianca, di gusto neo-medievale, costruito sul promontorio che guarda il mare. Ha un’aria molto malinconica, come la storia di chi lo ha voluto. Doveva essere infatti la casa di Massimiliano I d’Asburgo, fratello dell’imperatore d’Austria, e di sua moglie, Carlotta del Belgio. Solo che, per una storia un po’ strana, Massimiliano è morto in Messico, fucilato da un esercito di ribelli repubblicani, e Carlotta ha avuto problemi mentali ed è poi tornata in Belgio, senza mai più rivedere né il suo amato Massimiliano né il Miramare.

Anche la tradizione culinaria di Trieste è molto legata al mondo austriaco. Il piatto più tradizionale in città è la cosiddetta “porzina”, ovvero una composizione di pezzi di carne di maiale bolliti insieme e serviti con un po’ di pane, della senape e il kren, ovvero radice di rafano grattugiata. È chiaro che è un tipo di tradizione più austriaca che italiana.

Il posto migliore dove mangiare la porzina sono i vari buffet triestini. Attenzione, però. A Trieste “buffet” non è quello che pensate. Non è un posto dove ognuno prende quello che vuole, ma un tipo locale semplice e informale, dove si mangia anche in piedi e costa poco. Praticamente un fast-food, ma alla triestina.

Trieste ha una grande tradizione vinicola. Se oggi uno dei suoi quartieri si chiama Prosecco, non è certo un caso. Ma da città dell’impero austro-ungarico, non può non avere una storia legata alla birra. E infatti c’è la birra Dreher, ennesimo simbolo dell’anima cosmopolita di Trieste. Anton Dreher, nipote del birraio boemo Franz famoso come inventore della birra lager, nel 1870 apre a Trieste un birrificio che diventa molto importante. Oggi la birra Dreher esiste ancora, prodotta e distribuita dal marchio Heineken, ma i triestini la sentono ancora come la loro birra.

L’altra bevanda simbolo di Trieste è il caffè. Ancora una volta, una storia legata all’impero austro-ungarico. Succede nel 1914 che un giovane ungherese di nome Ferenc Illy viene arruolato nell’esercito asburgico. Va  a combattere sul fronte meridionale e poi resta a Trieste. Conosce e sposa una ragazza triestina, e inizia a lavorare in un’azienda di cacao e torrefazione del caffè. Scopre di essere bravo, inventa un modo per tenere il caffè sempre fresco, e soprattutto inventa la prima macchina per l’espresso. Il caffè Illy ancora oggi è uno dei più famosi in Italia e nel mondo, e la famiglia Illy continua a lavorare a Trieste. Riccardo Illy, nipote di Ferenc, è stato anche sindaco della città, per quasi dieci anni. Il famoso espresso insomma è nato qui, ha una tradizione specifica e anche nomi molto diversi. Un triestino al bar non ordinerà mai un caffè, ma “un nero”. E se lo vuole in un bicchiere di vetro, dirà che vuole “un nero in b”. E per un caffè macchiato? Allora “un capo”. Sono nomi che nessuno fuori Trieste usa. Anzi. Se arrivate a Udine o a Gorizia e chiedete un “nero”, vi daranno un bicchiere di vino!

Abbiamo parlato della Trieste asburgica e austriaca, ma non possiamo mancare quella slava, e slovena in particolare. Ormai in città parlano tutti quasi esclusivamente italiano, ma c’è un quartiere in città che porta un nome sloveno. Si chiama Opicina ed è collegata al centro da un tram leggendario, anche se spesso fuori servizio. Ci sono altre due figure, oggi scomparse, molto simboliche dei rapporti tra Trieste e la Slovenia.

Uno è quello delle cosiddette Mlekarice. Se parlate una lingua slava, la parola mleko o mljeko vi suonerà familiare. Le mlekarice erano donne slovene del Carso, ovvero la zona attorno a Trieste, che venivano in città a vendere prodotti agricoli. Ovviamente, il latte in particolare. Un altro è quello dei jeansinari, dove quel suono “gens” è la storpiatura di jeans. Negli anni in cui la Jugoslavia era unita e socialista, i jeansinari facevano affari milionari con il commercio oltre il confine di prodotti occidentali e americani introvabili, a cominciare dai blue jeans. Con la morte di Tito e la fine della Jugoslavia sono scomparsi anche loro.

Trieste è anche una città legata ai nomi e alle storie di grandi scrittori. Qui ha vissuto per esempio Franz Kafka, quando era un infelice impiegato delle Assicurazioni Generali. E poco tempo più tardi, pure James Joyce, che in città inizia a scrivere l’Ulisse, fa una vita un po’ movimentata e impara a parlare in triestino. Soprattutto le parolacce. Sono nati a Trieste invece Boris Pahor, il più importante scrittore della letteratura slovena contemporanea, e uno dei grandi maestri del Novecento italiano: Italo Svevo.

È triestino anche uno dei più importanti poeti italiani del ventesimo secolo, Umberto Saba. Il nome di Saba, per altro, è legato alla storia dello sport a Trieste. Il poeta si è trovato un giorno, quasi per caso, ad assistere a una partita della squadra locale, la Triestina, che gli ha ispirato alcune poesie dedicate al calcio oggi molto famose.

La Triestina di Saba esiste ancora, gioca le sue partite allo stadio Nereo Rocco, in onore del calciatore e poi allenatore più importante della storia del calcio a Trieste. Oggi partecipa al campionato di serie C e manca da molto tempo nelle serie più alte, ma ha sempre tanti tifosi appassionati.

C’è anche un’altra storia di calcio legata a Trieste, quella della squadra dell’Amatori Ponziana, che per qualche anno partecipa al campionato jugoslavo e non a quello italiano. È una storia molto interessante, vi prometto un episodio a parte. Come un altro episodio a parte merita l’epopea della Stefanel Trieste, la squadra di basket cittadina che con un mix fortunatissimo di italiani e jugoslavi ha sfiorato la vittoria del campionato.

Come avete sentito, non è facile riassumere la storia e l’anima di una città così ricca e complessa come Trieste. Vi consiglio di visitarla, per mangiare la Porzina, bere un “nero” e fare una passeggiata in Piazza dell’Unità d’Italia, magari in un giorno senza Bora, il fortissimo vento tipico di queste parti. A Trieste si respira un’atmosfera unica. Allo stesso tempo molto italiana e poco italiana. Come è giusto che sia, per una città di confine.

Devo fare un ringraziamento particolare al mio amico Fabio, triestino doc innamoratissimo della sua città, che mi ha fornito tante informazioni precise e appassionate su Trieste. Le cose interessanti di questo episodio sono merito suo. Gli errori invece sono sempre e solo i miei. A presto!

 

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