#75 – I promessi sposi, il romanzo degli italiani
Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 13 agosto 2022.
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“Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien quasi a un tratto, a restringersi…”
Potrei continuare, ma mi fermo qui.
Ti dicono qualcosa queste parole? Probabilmente no.
A meno che tu non abbia frequentato la scuola in Italia. In tal caso, dovresti riconoscerle.
Sono le parole iniziali di uno dei libri più famosi della letteratura italiana. Uno che tutti e tutte abbiamo letto sui banchi di scuola.
Un libro che, nell’immaginario collettivo degli italiani, ha un posto simile a quello della Commedia di Dante Alighieri.
Ok, forse non così simile. In qualche modo, tutti amano Dante e la Commedia, anche chi odia leggere e con la scuola ha sempre avuto un brutto rapporto.
Questo libro invece ricorda momenti antipatici anche a persone che hanno studiato e che amavano andare a scuola.
Un po’ perché questo è il destino, ovunque, delle letture scolastiche obbligatorie. Un po’ perché questo libro in particolare ha la fama di essere un po’ noioso.
Perché è un libro del XIX secolo, pieno di lunghe descrizioni molto meticolose e tanti momenti in cui sembra non succedere niente. Inoltre, rispetto ai grandi capolavori francesi, britannici o russi, pieni di personaggi incredibili e colpi di scena, qui è tutto molto più pacato. In un certo senso, molto più italiano.
Non è del tutto vero, in realtà. Certo, non aspettatevi i dilemmi morali di Delitto e castigo o le emozioni strappalacrime di Madame Bovary, ma qui ci sono epidemie, rivoluzioni, guerre, e poi rapimenti, fughe, violenze.
Ma c’è anche altro. Il modo in cui questo libro e il suo autore hanno contribuito a creare la coscienza collettiva degli italiani e delle italiane, quando l’Italia ancora era solo un’idea.
L’autore di questo libro forse lo conosci già, perché dà il nome a tante vie e piazze importanti d’Italia.
È Alessandro Manzoni.
Il libro si chiama: I promessi sposi. E se oggi te ne parlo, è proprio perché è il romanzo degli italiani.
Come iniziare a parlare di un libro? Beh, ovviamente dalla trama.
L’intera azione si svolge nel XVII secolo in Lombardia e in particolare vicino al lago di Como, come dice l’incipit. In quel periodo, il nord Italia era parte integrante delle terre del re di Spagna e per questo in Lombardia vivevano molti nobili spagnoli che facevano il bello e il cattivo tempo.
Tra loro, uno dei protagonisti del romanzo. Per la precisione, l’antagonista, il cattivo. Un nobiluomo chiamato Don Rodrigo. È un uomo potente e capriccioso, abituato a ottenere tutto quello che vuole, con le buone o con le cattive. Un giorno viene a sapere di una giovane donna che abita sulle sue terre. È una fanciulla tranquilla e modesta, molto religiosa e molto carina. Si chiama Lucia Mondella, e Don Rodrigo decide che la vuole sposare.
Ci sarebbe un problema, però. Lucia, infatti, è fidanzata con un ragazzo del popolo che vive in quella zona. Un giovanotto tranquillo e gentile, che a volte però perde le staffe. Si chiama Renzo Tramaglino.
Renzo e Lucia dunque sono fidanzati, sono promessi sposi come dice il titolo. A Don Rodrigo però questo non importa. Come può il fidanzamento tra due popolani essere un ostacolo ai suoi desideri? Il nobile spagnolo si fa un baffo delle promesse matrimoniali dei due e decide di usare il suo potere per ostacolare il matrimonio.
Non lo fa in prima persona, i nobili non si sporcano mai le mani da soli. Il lavoro lo fanno alcuni uomini al suo servizio che si fanno chiamare “i bravi”. E che hanno il compito di impedire il matrimonio minacciando il sacerdote locale, l’uomo che avrebbe dovuto celebrare le nozze tra Renzo e Lucia. Questo prete, vigliacco e pauroso, è un altro personaggio famosissimo della letteratura italiana. Don Abbondio.
Don Abbondio è proprio un piccolo prete di campagna, uno che non ama avere problemi con il potere e anzi che non ama avere problemi in generale. Ha una gran paura di Don Rodrigo e quando una sera vede i bravi sulla sua strada già capisce che qualcosa non va. Gli uomini lo fermano e uno di loro pronuncia una frase che tutti in Italia abbiamo sentito citare almeno una volta:
“Questo matrimonio non s’ha da fare”.
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Di fronte alle minacce ricevute, Don Abbondio decide di non celebrare più il matrimonio. Renzo e Lucia sono sorpresi, un po’ arrabbiati, e all’inizio cercano di risolvere il problema con uno stratagemma, sposandosi di nascosto. Solo che loro sono persone semplici, mentre Don Rodrigo è potente. I loro piani vanno all’aria e i due devono lasciare il loro amato lago e separarsi. Lucia trova rifugio in un convento di suore dove fa la conoscenza della badessa, una donna dalla storia controversa, la monaca di Monza. Renzo invece va a Milano dove si mette nei guai, perché finisce per errore in mezzo a una ribellione di cittadini che protestano contro il prezzo troppo alto del pane.
I problemi però non sono finiti. Perché Don Rodrigo ne sa una più del diavolo, viene a sapere dove è nascosta Lucia e organizza il suo rapimento grazie a un criminale misterioso che tutti chiamano L’Innominato. Un uomo cinico e senza scrupoli che però cambia improvvisamente di fronte alla forza morale di Lucia. La nostra protagonista infatti non è una ragazza ingenua in balia degli eventi, anzi. Certo, non è un’eroina o una combattente, ma ha una grande fede religiosa e la consapevolezza interiore di essere dalla parte giusta. Colpito da Lucia, l’Innominato si pente della sua vita di crimini e la lascia libera di tornare da Renzo.
A proposito, Renzo. Che fine ha fatto? È in fuga, perché la polizia di Milano lo crede responsabile delle proteste. Intanto però in città hanno altre grane da risolvere: è scoppiata un’epidemia di peste. È in quella situazione di caos che Renzo prima si ammala, poi guarisce, e scopre che Don Rodrigo ha preso la peste ed è morto. Infine ritrova Lucia, ed è pieno di entusiasmo. Ora che Don Rodrigo non c’è più, possono sposarsi. In realtà, ci sono ancora un paio di complicazioni di mezzo, ma non mi voglio dilungare. In conclusione, dopo tante peripezie, c’è il lieto fine. Renzo e Lucia possono finalmente sposarsi.
Che cosa ha reso questo romanzo così famoso? La trama probabilmente non ti è sembrata poi così originale e avvincente, e dunque che c’è di speciale?
C’è il fatto che, quando Manzoni ha pubblicato I promessi sposi, in Italia non c’erano ancora molti romanzi di livello letterario.
Ma soprattutto, non c’era l’Italia. Manzoni, nato e cresciuto a Milano, all’epoca era suddito del Regno Lombardo-Veneto, parte integrante dell’Impero d’Austria-Ungheria. È qui la chiave.
Quando esce l’edizione definitiva de I promessi sposi, nel 1840, di Italia libera e unita si parla molto. Magari non tra il popolo, ma certamente negli ambienti intellettuali e nobiliari, quelli che Manzoni frequentava. Da giovane, l’autore era anche stato un grande ammiratore di Napoleone e della sua missione, un po’ controversa, di liberazione dei popoli d’Europa. E proprio al grande imperatore francese, Manzoni aveva dedicato una delle sue poesie più famose, il 5 maggio. Il titolo si riferisce alla data della morte di Napoleone, il giorno in cui sembrava definitivamente tramontata l’idea di un’Italia libera dall’Austria.
Ma quell’idea, nel cuore di Manzoni e di molti altri, era rimasta. Politici e rivoluzionari hanno iniziato a lavorare per cambiare la situazione politica. Manzoni, da scrittore, si è rimboccato le maniche per cambiare la situazione culturale. Ha scritto un romanzo con l’obiettivo di parlare a tutti gli italiani.
Come lo ha fatto? Innanzitutto, mettendo in primo piano persone semplici, del popolo. Renzo e Lucia sono operai di piccole fabbriche tessili della Lombardia, ma in fondo i loro valori e le loro emozioni potrebbero essere quelle di qualunque altro popolano di tutta Italia. Sono persone semplici, religiose, un po’ ingenue anche. Sembrano incapaci di reagire di fronte ai potenti e alla loro arroganza, e sembra che il loro destino sia quello di finire schiacciati come formiche. Eppure alla fine non va così. Grazie alla loro pazienza, alla loro onestà e alla fede religiosa.
Uno dei messaggi di Manzoni ai suoi lettori è proprio questo. Il popolo italiano, a nord come a sud, ha dei valori comuni che possono servire per lottare contro l’arroganza dei potenti. Soprattutto, se sono stranieri.
E qui c’è l’altro punto cruciale della questione. Come abbiamo detto, I promessi sposi sono ambientati nel XVII secolo, duecento anni prima rispetto all’autore. Un periodo in cui la Lombardia era dominata dagli spagnoli che trattavano con prepotenza e senso di superiorità la popolazione locale.
Manzoni sperava, anzi, era abbastanza sicuro, che i suoi lettori capissero il riferimento. Scrivo dei dominatori spagnoli di due secoli fa, ma in realtà voglio criticare i dominatori austriaci di oggi. Funziona nello stesso modo. Capito, milanesi?
Capito, decisamente. Non è un caso che otto anni dopo la pubblicazione del romanzo, sia scoppiata la rivoluzione in Lombardia e siano arrivate le Cinque giornate di Milano.
Ovviamente non si può dire che I promessi sposi abbiano ispirato direttamente la rivoluzione. Tuttavia, è evidente che Manzoni avesse colto nel segno. Aveva percepito nell’aria la volontà di cambiamento e aveva cercato di renderla il più universale possibile.
Anche attraverso la lingua. Probabilmente l’elemento più importante di tutta questa storia, e il motivo per cui I promessi sposi sono davvero il romanzo degli italiani.
Scrivere in italiano al tempo di Manzoni era molto diverso dal farlo oggi. L’italiano all’epoca era quasi esclusivamente una lingua colta, e la usavano come forma di comunicazione soltanto le classi sociali più elevate, e nemmeno sempre.
Renzo e Lucia, in quanto semplici popolani lombardi, quasi sicuramente avrebbero parlato tra loro in dialetto. E farli parlare così sarebbe stato più verosimile. A Manzoni però della verosimiglianza interessava solo in parte. Per lui, era molto più importante che il suo romanzo fosse disponibile per tutti gli italiani. Perlomeno, per quelli colti.
Così ha deciso di scrivere tutto il romanzo in italiano. Ovvero, in toscano. Una lingua che lui conosceva, a livello intellettuale, ma che non era quella con cui esprimeva le sue emozioni di tutti i giorni, così importanti quando si scrive un romanzo.
Così, da perfezionista, dopo avere pubblicato le prime due edizioni dei Promessi sposi, Manzoni si trasferisce per un po’ a Firenze. Ha il sospetto che il toscano che ha usato sia un po’ troppo antico, libresco e affettato. Per i suoi obiettivi sociali, non avrebbe senso scrivere un romanzo basato su una lingua così, serve che sia il più simile possibile a come le persone parlano davvero. E infatti, la versione finale dei Promessi sposi, che leggiamo ancora oggi, si basa sul toscano dei contemporanei di Manzoni, la lingua destinata a diventare lo strumento di comunicazione di tutto il futuro Regno d’Italia. Missione compiuta.
Leggere oggi I promessi sposi è possibile, a patto di avere le giuste aspettative. Bisogna accettare il fatto che siamo di fronte a un libro scritto duecento anni fa, in un mondo in cui non esisteva il cinema e quindi le descrizioni servivano come il pane. E poi bisogna accettare che tante regole narrative, che oggi ci sembrano ovvie, sono nate solo molto dopo. Insomma, se pensiamo di leggere I promessi sposi come guarderemmo una serie su Netflix, prenderemo un granchio.
Leggere I promessi sposi è piacevole se lo facciamo con la giusta prospettiva.
Per esempio andando alla scoperta di quegli italiani di Manzoni così incredibilmente simili a noi oggi, notando le ipocrisie del potere, la codardia di chi -come Don Abbondio- pensa solo a non avere problemi, la facilità impressionante con cui cerchiamo qualcuno a cui dare la colpa di tutto, anche irrazionalmente, come succede a Renzo durante la peste a Milano.
Insomma, molte persone in Italia vi diranno che questo libro fa venire il latte alle ginocchia. Rispettate quest’opinione, perché in parte è un po’ vera, ma sappiate anche che è dovuta quasi sempre a tristi ricordi di scuola.
I promessi sposi non sono davvero una tortura per studenti, ma un libro prezioso. Da leggere, rileggere, scoprire. Perché ha creato gli italiani quando ancora non c’era l’Italia e parla ancora di noi, molto molto più di quanto non vorremmo ammettere.
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