#73 – Il Milan degli olandesi
Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 30 luglio 2022.
Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale.
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Vittoria e sconfitta sono due concetti opposti.
Eppure sono molto legati.
A volte capita che arrivi una sconfitta dopo tante vittorie.
Altre volte, arriva una vittoria dopo tante sconfitte.
E in entrambi i casi ci sono valutazioni da fare, decisioni da prendere, cambiamenti da attuare.
Il Milan a cavallo tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90 è stata una delle squadre di calcio più forti della storia.
È nato dalle ceneri del vecchio Milan, arrivato alla frutta. Privo di idee, di motivazioni, di soldi.
Il nuovo Milan è potuto rinascere grazie all’estro e ai soldi di un imprenditore sopra le righe, un rivoluzionario del modo di fare affari e fare calcio. Silvio Berlusconi.
Ed è potuto rinascere anche grazie alle idee di un allenatore maniacale, profeta di un’idea tattica quasi scandalosa per quanto era nuova. Arrigo Sacchi.
E ovviamente un ruolo importante lo hanno avuto i calciatori.
Quel Milan era pieno di campioni, ma aveva in particolare tre fuoriclasse.
Nati tutti e tre nei Paesi Bassi, e dotati di un talento fuori dal comune.
Sono loro i protagonisti di questa storia.
La storia del Milan degli olandesi.
Il modo in cui Berlusconi ha cambiato l’Italia è passato anche dal calcio. E non poteva essere diversamente, dato che l’uomo che è stato per tre volte presidente del consiglio, e che possiede ancora oggi il gruppo televisivo privato più grande d’Italia, è stato anche proprietario di una squadra di calcio. Una squadra vincente come poche altre.
Berlusconi ha comprato il Milan nel 1986, alla fine di un lungo braccio di ferro con il suo precedente proprietario che aveva portato la società sull’orlo del fallimento.
In quel periodo, nel calcio, dominava la Juventus, anche se ancora per poco. E quasi dal nulla era apparso il Napoli, che aveva dalla sua parte il giocatore più forte del mondo: Diego Armando Maradona.
Il Milan invece da anni navigava in cattive acque. Anche a causa di uno scandalo legato alle scommesse e a due stagioni passate in serie B. E come se non bastasse, i problemi finanziari e il rischio di fallimento.
Quando arriva Berlusconi, insomma, il Milan è con l’acqua alla gola.
Berlusconi racconta di avere comprato il Milan in quanto tifoso rossonero da sempre, preoccupato per il destino della sua squadra del cuore.
È vero? Forse. Anche se sappiamo che dieci anni prima Berlusconi aveva già provato a comprare una squadra di calcio. E no, non era il Milan, ma l’Inter.
Perché la verità è che Berlusconi ha capito che con il calcio può guadagnare tanto.
La passione più grande degli italiani unita a delle reti TV che lui controlla e che può riempire di pubblicità.
Un affare perfetto.
Alla fine ci riesce. Nel 1986 arriva l’annuncio ufficiale. Con una presentazione in stile molto americano. Arrivo di elicotteri sullo stadio e La cavalcata delle valchirie di Wagner in sottofondo. Milan, preparati. È arrivato Berlusconi.
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Il primo anno del nuovo Milan è transitorio. Ci sarà pure un nuovo presidente, ma la squadra e lo staff tecnico sono quelli di prima.
L’allenatore non è il primo venuto, anzi. È Nils Liedholm, un tecnico esperto, chiamato il Barone per la sua eleganza, ma è un uomo del passato. Non è destinato ad andare d’accordo con il suo nuovo presidente che, invece, è un uomo del futuro.
Berlusconi è un imprenditore spregiudicato. Ha uno stile molto diverso dagli uomini d’affari della generazione precedente. Rispetto a loro che sono compassati e prudenti, lui è veloce e aggressivo. È così, per esempio, che compra il suo primo giocatore: Roberto Donadoni. Era promesso sposo della Juventus, ma Berlusconi l’ha soffiato sotto il naso ai dirigenti bianconeri.
È uno stile che alcuni ammirano, altri invidiano, altri ancora disprezzano profondamente.
Intanto però, il campo dà i suoi verdetti. Il primo Milan di Berlusconi è una squadra che somiglia poco al suo nuovo presidente. Fa un gioco prudente, difensivo, all’italiana. Berlusconi vorrebbe altro, i fuochi d’artificio, lo spettacolo, il colore. Ma non c’è niente da fare. La squadra non è ancora pronta.
Così, mentre la stagione va avanti e il Milan tira a campare, Berlusconi gira per l’Europa in cerca di calciatori. Il meglio del pallone europeo, in quel periodo, arriva dai Paesi Bassi. Una vera e propria fucina di talenti, da cui emergono in particolare due nomi. Ruud Gullit e Marco Van Basten, attaccanti rispettivamente del PSV Eindhoven e dell’Ajax. Non sono in vendita, ma questo per Berlusconi non è un problema. I due olandesi, dalla stagione successiva, vestiranno la maglia rossonera.
E chi li allenerà? Alla fine del campionato 86/87, il primo di Berlusconi da presidente, il Milan è arrivato al quinto posto. Il Barone Liedholm ha le ore contate. Perché il presidente si è innamorato di un altro allenatore. Uno alle prime armi, che allena il Parma, una squadretta di serie C, ma che propone un calcio brillante e offensivo. Una boccata d’aria fresca nel panorama tattico italiano. Berlusconi l’ha visto a sue spese, quando il piccolo Parma ha battuto il suo Milan. E lì ha capito. Abbiamo bisogno di quell’uomo. Abbiamo bisogno di Arrigo Sacchi.
Sacchi ha allenato solo squadre minori, ma ora ha il compito di portare in alto il Milan. Nessuno crede in lui, tranne il presidente Berlusconi, che per il suo nuovo allenatore è pronto a mettere la mano sul fuoco.
Sacchi riceve in eredità una squadra forte, anche grazie agli innesti di Gullit e Van Basten. Gullit è un vulcano umano. In campo sorprende con la sua energia, la sua velocità e la sua potenza. Fuori dal campo, tutti lo amano per il suo essere schietto e poco convenzionale. Van Basten invece fuori dal campo è molto più discreto, ma sul rettangolo di gioco è un vero artista.
Insomma, gli ingredienti ci sono tutti, solo che per fare le rivoluzioni c’è bisogno di tempo, e quella di Sacchi è radicale. L’inizio della stagione per il Milan è altalenante, a volte vince, ma raramente convince. Gullit è strepitoso da subito. È il Pallone d’Oro in carica e si vede. Van Basten invece si fa male dopo poche partite, e resta fuori dal campo fino ad aprile. Una bella gatta da pelare.
I giornali e gli addetti ai lavori intanto massacrano Sacchi, ma Berlusconi continua a dargli fiducia e alla fine avrà ragione lui. Dopo un inizio a singhiozzo, il Milan non smette di vincere e alla fine del campionato arriva davanti a tutte. Pure davanti al Napoli di Maradona.
Trascinato dai goal dei suoi due olandesi, il Milan è campione d’Italia.
L’estate successiva, intanto, si giocano gli europei per nazionali e la coppa va ai Paesi Bassi. La partita più famosa è la finale contro l’Unione Sovietica, segnata da un goal di Van Basten da cineteca. E mentre i milanisti si fregano le mani all’idea di rivederlo in rossonero, mentre Sacchi prende appunti. Oltre a Gullit e Van Basten, ha visto un altro giocatore con la maglia arancione che sembra perfetto per il suo Milan. È un centrocampista di grande intelligenza tattica e capacità fisica. Si chiama Frank Rijkaard.
Non è un giocatore che ruba l’occhio, e quindi non piace tanto a Berlusconi. Ma Sacchi lo vuole. Insiste, addirittura. Alla fine Berlusconi cede, e accontenta il suo allenatore.
Adesso però Sacchi non ha scuse. Deve portare le vittorie.
La scommessa si dimostra da subito vinta.
A metà della stagione 88/89, arrivano i verdetti del pallone d’oro. È un trionfo olandese e milanista. A vincere il premio è Marco Van Basten, seguito sul podio da Ruud Gullit e Frank Rijkaard.
I tre giocatori più forti del mondo sono tre rossoneri.
E la cosa si vede in campo nei mesi successivi. In Italia alla fine vincono i cugini dell’Inter, ma il Milan splende in Europa con la vittoria della Coppa dei Campioni. Di quella stagione, i tifosi milanisti ricordano in particolare due partite. La semifinale di ritorno, vinta 5-0 contro il Real Madrid, e la finale vinta al Camp Nou di Barcellona 4-0 contro i rumeni della Steaua Bucarest. Adesso il Milan è anche campione d’Europa.
E si ripete anche l’anno dopo, in finale contro il Benfica.
Sembra una squadra imbattibile. Il giocattolo perfetto costruito con i soldi di Berlusconi, le idee di Sacchi e le giocate degli olandesi. Questo Milan è il simbolo di un’Italia che sta cambiando e si sta, volente o nolente, berlusconizzando. Basta con i valori della vecchia generazione. Basta con la modestia, il rispetto e la prudenza. Il Milan, come le tv di Berlusconi, è una macchina di propaganda. Racconta una storia.
Una storia vincente, gioiosa, colorata.
Ma non eterna.
Il primo passo falso, infatti, arriva nel 1991. Dopo tre anni incredibili, si spengono le luci sul Milan degli Immortali.
Si spengono letteralmente le luci. Quelle dello stadio di Marsiglia durante la partita che il Milan gioca proprio contro i padroni di casa in Coppa dei Campioni. Si rompe un riflettore e improvvisamente il campo finisce al buio. Non è un buio totale, si potrebbe giocare, ma i dirigenti rossoneri si convincono di no e costringono i giocatori a tornare negli spogliatoi. Una reazione inspiegabile che viene punita. Il Milan è squalificato dalle coppe per l’anno successivo.
Alla fine di quella stagione strana, dice addio al rossonero il suo grande stratega. Arrigo Sacchi lascia la panchina del Milan per prendere quella della nazionale italiana. Al suo posto a Milano arriva un uomo molto diverso da lui.
Eppure, un uomo necessario per ridare vita alla sua eredità. Si chiama Fabio Capello.
Capello è un allenatore molto diverso da Sacchi. Meno teorico, più psicologo. Meno profeta, più gestore. È consapevole di avere davanti a sé una squadra di campioni, uomini a cui non deve insegnare a giocare, ma che deve motivare nel modo giusto perché diano il meglio.
Nel frattempo, Berlusconi non bada a spese. Compra nuovi giocatori per rafforzare la squadra e riportarla alla vittoria.
Una vittoria che arriva subito. La prima stagione di Capello sulla panchina rossonera è stupefacente. Van Basten segna 29 goal e il Milan non perde nemmeno una partita durante tutto il campionato. È scudetto. Lo scudetto degli Invincibili.
Con ritrovato entusiasmo, e nuovi campioni, il Milan di Capello vince lo scudetto anche l’anno successivo e arriva in finale di Coppa dei Campioni. Per uno scherzo del destino, di fronte ai rossoneri nella partita per il titolo c’è l’Olimpique Marsiglia. È una partita strana, forse condizionata dai fantasmi del passato, e finisce 1-0 per i francesi.
A Milano lentamente capiscono che è il momento di fare dei bilanci.
E in maniera improvvisa, il Milan degli olandesi finisce lì.
Ruud Gullit lascia il Milan per andare alla Sampdoria. Frank Rijkaard invece torna in patria, al suo Ajax. Marco Van Basten sulla carta resta rossonero. Ma i suoi problemi fisici sono seri e alla fine quella infelice finale contro il Marsiglia sarà la sua ultima partita da professionista.
I rossoneri di Capello restano comunque una squadra fortissima. Nella prima stagione senza olandesi, il Milan vince il campionato e la Coppa dei Campioni distruggendo il Barcellona 4-0 in finale. E poi ancora finali, scudetti, e vittorie. Per una storia di successi che è durata a lungo, fino quasi alla fine della presidenza Berlusconi.
Insomma, il Milan degli olandesi è durato pochi anni, ma che sono bastati a renderlo una delle squadre più forti della storia.
Con quelle vittorie, il Milan ha dato una spinta in avanti al calcio italiano. Ha messo spalle al muro squadre abituate a vincere con lo stile di sempre, e le ha obbligate ad evolversi.
Inoltre, con quelle vittorie, il Milan ha davvero contribuito a cambiare l’Italia. I successi europei dei rossoneri, arrivati nelle case grazie alle tv, sono stati la cartina di tornasole dei grandi successi imprenditoriali e politici di Berlusconi.
Probabilmente oggi si vergognerebbero ad ammetterlo, ma molti molti italiani hanno votato Berlusconi la prima volta nella vita perché erano milanisti grati.
Quindi è inevitabile chiederselo: ma l’Italia oggi sarebbe la stessa se non ci fosse stato il Milan degli olandesi?
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