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#7 Fabrizio De André, un poeta con la chitarra

Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 17 aprile 2021.

Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale.

Per ascoltarlo, clicca qui.

De André Salvatore racconta

 

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A Genova a gennaio fa molto freddo. È una città di mare, quindi in inverno è molto umida e c’è vento. Ci sono giorni che chi può restare a casa, resta a casa. E esce solo se è davvero necessario.

Il 13 gennaio del 1999, a Genova molti pensano che sia davvero necessario. Escono, e si radunano in una piazza, davanti a una chiesa.

Sono persone molto diverse tra loro. Giovani e anziani. Uomini e donne. Persone elegantissime, e altre vestite come capita. Hanno in comune il fatto di essere molto tristi.

Sono riuniti per dare l’ultimo saluto a un grande genovese e un grande poeta. Due giorni prima, è morto Fabrizio De André.

Ho detto ‘grande poeta’ e forse vi immaginerete un uomo anziano, con la giacca a quadri e un libro sotto il braccio. Niente di più sbagliato di così. De André era un poeta, sì, ma di tipo diverso. Un poeta con la sigaretta in bocca e la chitarra in mano.

Qualcuno storcerà il naso. Dirà che il poeta è chi scrive poesie. Chi suona la chitarra, al massimo scrive canzoni, e quindi è un cantante.

È vero, ma fino a un certo punto. Pensate a Bob Dylan. Ha scritto canzoni per tutta la vita, e ha vinto il Nobel per la letteratura.

Fabrizio De André ha molte cose in comune con Bob Dylan. Anche lui ha usato la canzone per fare poesia, e anche lui ha lasciato dei versi bellissimi che oggi si trovano nelle antologie e nei libri di letteratura.

In italiano, si dice che è un cantautore. Una parola che unisce il cantante, la persona che canta, e l’autore, la persona che scrive. È una definizione che esiste dagli anni Sessanta. Prima, scrivere canzoni non era una cosa seria. Una cosa che è cambiata anche grazie al ruolo di De André nella musica italiana.

Fabrizio De André ha avuto una vita breve, è morto a 59 anni. Ha fatto in tempo a scrivere decine di canzoni, a pubblicare 14 album e tantissimi singoli. Ha conosciuto artisti e musicisti internazionali. Ha vissuto intensamente dentro la storia d’Italia, da spettatore e anche da protagonista.

Ha manifestato una grande umanità, mostrando amore e compassione per tutti, soprattutto gli ultimi della società. Ma ha anche affrontato i temi più alti e colti della filosofia e della religione.

Ha iniziato la sua carriera cantando canzoni semplici da suonare alla chitarra e l’ha finita creando arrangiamenti ricchissimi e complessi.

Tutto quello che ha incontrato durante la sua vita è entrato nelle sue canzoni. Che per questo motivo sono così belle e intense. Il modo migliore per scoprirlo è ascoltarle. Chiudere gli occhi e vivere le storie dei suoi protagonisti. Figli disperati, madri abbandonate, ladri, assassini, ubriaconi, giudici, chimici, prostitute, soldati. In poche parole, esseri umani imperfetti per i quali De André ha sempre provato una grande e sincera pietà.

Ma andiamo con ordine.

Fabrizio De André nasce a Genova nel 1940, anche se poi passa l’infanzia lontano dalla città per via della guerra. La famiglia di sua madre possiede della terra nella campagna piemontese e i De André scappano lì per evitare i rischi della guerra in città. Così il piccolo Fabrizio passa i suoi primi anni in mezzo alla natura e agli animali.

Poi, quando torna la pace, i De André tornano a Genova. Fabrizio deve adattarsi a una nuova realtà, ma lo fa abbastanza velocemente. Genova è fatta di strade strette e poco illuminate, che si chiamano carruggi. E qui il piccolo De André si trova presto a suo agio. Gli piace quel senso di libertà. Molto diverso dall’aria seria e ufficiale che respira quando è a casa. Suo padre è un uomo molto serio, che crede nel lavoro e nell’istruzione. Fabrizio invece si mostra subito ribelle, non ama andare a scuola, e in poco tempo diventa la pecora nera della famiglia. Quando diventa adolescente, poi, le cose si fanno ancora più serie. Beve, fuma, va con le prostitute, partecipa alle risse.

È anche un ragazzo molto sensibile. Ad esempio ama leggere. Soprattutto i classici francesi, russi, e poi anche gli americani. In quel periodo impara anche a suonare la chitarra, e scopre di avere talento.

Lo pratica pian piano con gli amici, poi nei piccoli locali della città. Intanto scopre i dischi del francese George Brassens che per lui sarà una grande fonte di ispirazione. Brassens parla di gente che De André conosce bene. Nelle canzoni del francese ci sono gli stessi personaggi ai margini che Fabrizio vede ogni giorno nei carruggi. Decide che anche lui scriverà canzoni così.

A vent’anni incontra una ragazza, Enrica Rignon detta Puny. Lui di ragazze ne ha sempre tante, ma quella è diversa, è speciale. Fabrizio se ne innamora, la sposa e fanno un figlio: il piccolo Cristiano.

Solo che all’epoca Fabrizio non ha un soldo. Quindi lui, Puny e il bambino vivono a casa dei De André. Non è una convivenza facile, perché il padre di Fabrizio spera di indirizzarlo, lo obbliga a iscriversi all’università e lo esorta a essere un buon padre. Fabrizio però ha altro per la testa. Continua a passare il tempo nei locali e soprattutto scrive le sue prime canzoni. Negli anni del matrimonio, pubblica il suo primo singolo: “La ballata del Miche’”.

È una ballata, appunto, con una struttura semplice e un ritmo allegro. Eppure, la canzone parla di un giovane che si è suicidato in carcere. È una canzone dolce e malinconica, ancora oggi una delle sue più belle.

La canzone piace, ha successo, e lui ne scrive e ne registra altre. Fino a quando non ha abbastanza materiale per pubblicare il suo primo album. Si chiama Volume I ed è un disco abbastanza variegato. Contiene canzoni molto profonde e malinconiche, ma anche altre dissacranti e provocatorie. Si mostra da subito l’anima artistica di De André, che ama mischiare l’altissimo e il bassissimo. Quello che non gli interessa è quello che sta in mezzo, come la classe media e la sua morale.

Il disco è un successo di pubblico, anche perché il suo produttore ha l’idea di mettere un quaderno con i testi dentro la confezione. Chi ascolta le canzoni di Fabrizio, ne può leggere i testi con calma e provare a cantarli. Le attenzioni che riceve, però, non sono tutte positive. La Rai, ad esempio, decide di non trasmettere le sue canzoni in radio. Troppo blasfeme e volgari alcune, secondo la morale del tempo.

Intanto, arriva il 1968, anno di grande attivismo politico. Nel ’68 sono ormai adulti tutti quelli nati dopo la guerra e hanno una visione del mondo molto diversa da quella dei loro padri, che la guerra l’hanno vissuta.

De André in quel momento ha quasi trent’anni e sta passando un momento difficile. Beve molto, litiga spesso con la moglie, non si sente pronto a fare il padre di un bambino piccolo.

Il risultato inaspettato di questo periodo è il suo secondo album. Questa volta non è una raccolta di canzoni, ma un disco concettuale, un concept album. Si chiama Tutti morimmo a stento, è un disco molto malinconico, quasi straziante. Il pubblico lo adora.

Nel 1970, esce con un altro disco ancora. Si chiama La buona novella. Tutte le canzoni sono ispirate alla vita e alla figura di Gesù e molti fan di De André reagiscono male. Non capiscono perché in quel momento, proprio mentre si parla di rivoluzione e libertà, proprio lui pubblichi un disco che parla di temi così tradizionali. In realtà non è così, ovviamente. De André non è cambiato all’improvviso. Non era religioso e non lo è adesso, ma la figura di Gesù per lui è affascinante. Gesù nel Vangelo è vicino agli ultimi, come De André stesso si sente. I poveri e gli umili che Gesù incontra in Palestina somigliano a quelli che vivono nella Genova di Fabrizio.

Intanto per lui e sua moglie Puny è arrivata la fine. Si separano con malinconia, ma senza rancore. Ispirato da quell’esperienza, Fabrizio scriverà una delle sue canzoni più belle. La canzone dell’amore perduto.

Per la nuova fase della sua vita, De André decide di trasferirsi in Sardegna. Ha sempre vivo nella memoria il ricordo della sua infanzia in campagna, e proprio in Sardegna lo può realizzare comprando una fattoria dove stare a contatto con la natura.

 

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In quel periodo lavora a un disco nuovo, questa volta ispirato all’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. L’album esce con il titolo Non al denaro, non all’amore né al cielo ed è un altro capolavoro. Ogni canzone è dedicata a un personaggio che racconta la propria storia dopo la morte. Per esempio Il chimico, che racconta di essere morto solo perché credeva solo nella scienza e non nella casualità dell’amore. O il Giudice, che ha scelto quella carriera per vendicarsi di chi per tutta la vita lo ha deriso per la sua altezza.

Le sue canzoni che parlano di ultimi e criticano la morale borghese diventano un mito per la generazione del Sessantotto. Gli studenti e i giovani che si sono ribellati alla morale italiana del dopoguerra vedono in lui il loro profeta. E De André alla fine decide di rispondere a questa responsabilità. Nel 1972, pubblica il suo album più politico. Storia di un impiegato.

De André è sempre stato politico. I temi di cui parla riguardano una visione del mondo. Storia di un impiegato però è molto più diretto. Parla apertamente delle proteste, di bombe, prigione, e manifestazioni.

Il disco piace molto al pubblico, piace meno alla critica, non piace per niente alla polizia. Che da quell’anno decide di tenerlo sotto controllo, perché le autorità cominciano a pensare che sia un pericoloso sovversivo.

Lui però non vuole fare il rivoluzionario, ma solo il cantante. Anche se in quel momento attraversa una fase di crisi. Non riesce a scrivere nulla di nuovo, e quindi traduce. Registra delle cover, alcune molto belle, di famose canzoni del suo amato Brassens, di Jacques Brel e di Leonard Cohen.

A metà degli anni Settanta, Fabrizio trova nuovamente la vena per scrivere. Lo fa anche grazie a due incontri fondamentali. Il primo è con Dori Ghezzi, una giovane cantante, di cui lui si innamora perdutamente e che sposerà qualche tempo dopo. L’altro incontro è con un giovane cantautore romano. Uno che si ispira a Bob Dylan in tutto, anche nel modo di vestirsi, e si chiama Francesco De Gregori. I due scrivono delle canzoni insieme e De André così ritrova l’ispirazione per tornare a scrivere.

Il risultato di questa nuova fase è Rimini, uscito nel 1978. Il suo singolo più fortunato si intitola Andrea, e racconta per la prima volta nella canzone italiana un amore omosessuale.

Sembra andare tutto per il meglio. Fabrizio è felice con Dori Ghezzi, hanno anche una figlia insieme. È un momento felice e quasi idilliaco, ma non è destinato a durare.

Nell’estate del ’79, Fabrizio e Dori sono in Sardegna, nella loro fattoria isolata. Al tramonto, inaspettato arriva qualcuno. Sono dei criminali che li vogliono rapire per ottenere un riscatto. Una cosa che in quegli anni in Sardegna succede spesso.

De André e Dori Ghezzi restano prigionieri per sei mesi. È un’esperienza drammatica, e loro ne escono traumatizzati. Fabrizio De André tuttavia esprimerà sempre un senso di empatia con i suoi rapitori  e a quell’esperienza dedicherà una canzone famosa. Hotel Supramonte.

È vero comunque che De André torna dal sequestro molto cambiato. Anche musicalmente.

Già da tempo, non è più solo uno che scrive canzoni alla chitarra. Nel 1982 mette insieme un gruppo di musicisti molto bravi, studia a lungo, e produce un album sperimentale ma molto amato, soprattutto dalla critica. Si chiama Creuza de ma, ed è un disco dagli arrangiamenti complessi e dalle ispirazioni molteplici. De André è stanco delle solite canzoni e vuole ricreare musiche e atmosfere del mediterraneo. Usa strumenti antichi, melodie popolari italiane, turche, algerine. E scrive i testi in dialetto genovese antico. Anche per gli italiani, sono quasi incomprensibili, ma affascinanti e magici.

Nella fase più matura della sua carriera, De André si riavvicina a suo figlio Cristiano, che nel frattempo è diventato adulto ed è un bravo musicista. Padre e figlio collaborano a due dischi, Le nuvole e Anime salve. Non lo sa ancora nessuno, ma saranno gli ultimi di Fabrizio De André.

Anime salve, in particolare, sembra profeticamente un testamento artistico. C’è dentro tutto quello che De André ha amato e ha raccontato. La vita ai margini, la bellezza della natura, la ribellione e il gusto per la provocazione. Più tardi, i medici scoprono nei suoi polmoni un cancro terminale.

Fabrizio De André ci ha lasciato canzoni indimenticabili e un’idea di musica leggera completamente rivoluzionata. Quello che prima era lo spazio delle emozioni semplici e moderate, con De André si è riempito di vita vera. Di persone, storie e luoghi di cui un po’ ci vergogniamo e che vorremmo nascondere sotto il tappeto. Ma che fanno parte della vita, e non si possono ignorare.

Dopo aver chiuso questo podcast, vi consiglio di andare subito ad ascoltare le sue canzoni. Le trovate su Spotify, iTunes, un po’ ovunque. Anche se non capirete tutto dei testi, la voce e la chitarra di Fabrizio De André vi conquisteranno.

 

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