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#67 – La pasta italiana. Storia e simboli di un mito

Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 18 giugno 2022.

Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale.

Per ascoltarlo, clicca qui.

Salvatore racconta Podcast in italiano per stranieri La pasta italiana

 

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Se dovessi indicare un simbolo, uno solo, che identifica l’Italia quale sarebbe?

C’è l’imbarazzo della scelta, ma sono sicuro che molti di voi si sono detti: la pasta!

Non c’è nulla di più italiano di un bel piatto di pasta fumante. Con nomi e formati diversi, unisce tutti da nord a sud e non c’è casa italiana dove non si mangi la pasta praticamente ogni giorno.

La pasta è un simbolo italiano perché non esiste praticamente un’altra cucina in cui sia un elemento altrettanto dominante della dieta e della tradizione.

È un simbolo italiano, e lo dimostra il fatto che gli italiani sulla pasta litigano tantissimo.

Pancetta o guanciale nella carbonara? Tortellini in brodo o con la panna? Spaghetti interi, mi raccomando! Mai spezzati! Niente cipolla nell’amatriciana!

Anche in questo, non c’è niente di strano. La cucina e le ricette sono uno degli aspetti culturali più radicati in tutte le comunità. Sono legate, più di molte altre cose, alla tradizione, all’infanzia e alla famiglia.

Per l’Italia, che è da sempre un Paese fatto di piccole comunità locali, cittadine o addirittura familiari, si capisce perché la pasta nelle sue varie forme sia diventata un simbolo di identità, unitaria e divisa allo stesso tempo.

La pasta, insomma, non riguarda il solo atto del mangiare. Tocca le corde più sensibili dell’emotività degli italiani, ci fa stare tutti insieme attorno alla tavola contenti e a volte ci fa litigare, ci fa sentire orgogliosi della nostra provenienza e a volte ci fa credere cose meno vere di quanto noi stessi pensiamo.

Se ti va, oggi, te ne parlo un po’. Di storia, preparazione, simboli e leggende legati alla pasta italiana.

Gli italiani mangiano tanta pasta. È un dato assodato e indiscutibile. Ma è vero? E da quando?

Vi voglio tranquillizzare. È vero. Ma la cultura della pasta è molto più recente di quanto non ci possa sembrare.

La pasta arriva in Italia più o meno nel medioevo, attraverso gli Arabi che la portano in Sicilia dopo averla presa a loro volta, molto probabilmente, dalle culture asiatiche dove del resto ancora oggi è un alimento molto importante.

In Sicilia, terra dove si coltiva molto grano, l’abitudine a mangiare la pasta attecchisce facilmente, ma resta piuttosto isolata. Si allarga un po’ con il tempo, ma quasi solo alle regioni del sud. I contadini del nord, come alimento base, continuano ad avere la polenta. Un piatto a base di farina di granoturco, ancora oggi simbolo della cucina povera settentrionale.

Quando la pasta inizia a diventare popolare è perché si tratta di un alimento abbastanza economico, facile da trasportare e da preparare, e che non è facilmente deperibile. I maccheroni diventano abbastanza presto, almeno al sud, un simbolo della vita semplice e popolare. Un cibo che costa poco e che si mangia per strada. Pensate che nel XVI secolo nasce la parola maccheronico per definire il latino parlato dalle persone semplici, rozzo e grammaticalmente scorretto.

Con la scoperta dell’America e l’arrivo del pomodoro, lentamente la passione per la pasta cresce nel sud Italia e in particolare a Napoli, ma la vera italianizzazione della cultura della pasta arriva molto tardi. Dopo le guerre d’indipendenza del XIX secolo che hanno unito l’Italia, arriva un fenomeno collettivo che unisce gli italiani. Ed è l’emigrazione.

Perché alla fine del XIX secolo, l’Italia è un posto povero dove si muore letteralmente di fame. Gli italiani si imbarcano per l’America in cerca di fortuna. E lì trovano soprattutto… altri italiani. Magari di regioni lontane, ma improvvisamente vicini. Negli stessi quartieri si trovano a vivere piemontesi e siciliani, veneti e pugliesi, napoletani e bolognesi. Persone che in Italia non si sarebbero mai incontrate si ritrovano vicini di casa. E condividono alcune abitudini. Una su tutte, la pasta.

Gli emigrati del nord, in buona parte, non la conoscevano. La scoprono grazie ai meridionali. E si accorgono che è un terno al lotto. Buona, nutriente, semplice da preparare, economica.

Sono quegli stessi emigrati, tornando in Italia, che diffondono la cultura della pasta dove prima non la immaginavano nemmeno. E la fanno diventare un mito nazionale.

Un bel gioco che però dura poco. Perché arriva il fascismo a dire che mangiare la pasta non va mica bene! Eh sì, tra le tante colpe da addebitare a Mussolini c’è pure questa!

L’iniziativa, per la verità, la aveva avuta prima di lui il poeta Tommaso Marinetti. Un artista radicale, che odiava la tradizione e sognava un futuro veloce, potente, virile.

Mangiare la pasta causa lentezza e sonnolenza, non va bene per nutrire i nuovi italiani coraggiosi, combattivi e pronti a costruire un impero. Mussolini, anni dopo, gli dà ragione.

Lo fa, per la verità, per ragioni pratiche più che ideologiche. Il consumo di pasta degli italiani richiedeva continue importazioni di grano dall’estero, visto che quello italiano non bastava. E importare prodotti non era accettabile per il fascismo, che voleva raggiungere l’autarchia. Così il fascismo ha provato, in qualche modo, a convincere gli italiani a nutrirsi di un altro cereale, coltivato in abbondanza in Italia. Il riso.

Com’è finita? Beh, il fatto stesso che oggi parliamo di pasta italiana ci dimostra l’ennesimo fiasco del fascismo!

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Questo è un podcast di lingua italiana, no? E allora dedichiamo un po’ di spazio alle parole.

Se ci pensiamo un attimo, “pasta” è una parola un po’ strana.

Perché in realtà ci fa pensare a qualcosa di appiccicoso e dalla consistenza indefinita. Basti pensare all’impasto, cioè la preparazione cruda di torte e pizze. O all’aggettivo pastoso, che indica qualcosa dalla consistenza molle. Per non parlare di pasticcio. Che in cucina indica un piatto un po’ mischiato, indefinito. E in musica, una composizione che mischia vari stili. E se qualcuno dice di avere combinato un pasticcio, si dichiara responsabile di una situazione caotica e problematica.

Che c’entra la pasta in tutto questo?

Ci viene in aiuto il vocabolario, a ricordarci che pasta viene da una parola greca dal significato preciso. Farina mescolata con acqua e sale.

Detto fatto, abbiamo la nostra risposta. Effettivamente, per fare la pasta dobbiamo mescolare acqua e farina. E l’effetto iniziale non è molto diverso da quello che abbiamo descritto prima. Molle e appiccicoso.

La pasta è l’evoluzione di quel processo nella direzione di un prodotto commestibile, invitante e anche gustoso.

Dunque parte tutto da acqua e farina. Sull’acqua, beh. È chiarissimo a tutti che cos’è.

Ma della farina siamo così sicuri?

La farina è il prodotto derivato dalla macinazione di un cereale. Nel nostro caso, il frumento. O grano, se preferite.

Dunque acqua e farina di grano, giusto? Beh sì, fino a un certo punto.

Perché esistono vari tipi di grano, ma per fare la pasta se ne usa solo uno. Almeno, per fare la vera pasta italiana.

Lo so, lo so, la sto tirando un po’ per le lunghe, ma è importante!

Dunque, esistono due principali varietà di grano. Il grano duro e il grano tenero. I nomi di queste due varianti parlano da soli.

Il grano duro ha un frutto duro che, macinato, produce una polvere di colore giallognolo. È la farina di grano duro, comunemente chiamata semola. Ed è quella con cui si fa la pasta.

Il grano tenero ha un frutto più tenero e produce una polvere di colore bianco. La farina propriamente detta. Quella con cui di solito si prepara la pizza o i dolci, per capirci.

La pasta si fa a base di semola di grano duro e acqua. Lo dice la tradizione, certo, ma lo dice anche la legge italiana.

A volte, nella preparazione si possono aggiungere le uova. Che danno alla pasta un colore giallo più intenso, una maggiore elasticità nella preparazione e un apporto proteico superiore che la rende più nutriente. Senza troppa fantasia, si chiama pasta all’uovo.

La pasta che acquistiamo e mangiamo si può trovare in due modalità di conservazione. Nella maggior parte dei casi, si tratta di pasta secca. Ovvero, pasta che viene disidratata ed essiccata con l’obiettivo di durare più a lungo. È quella più classica. Ma esiste anche la pasta fresca, l’avrai vista sicuramente. È quella venduta nei banchi frigo in confezioni di plastica oppure sfusa, a peso, nei pastifici.

In particolare in Emilia-Romagna e in altre zone della pianura Padana, è molto popolare un tipo di pasta peculiare: la sfoglia. Ovvero, una pasta sottilissima, fatta con farina di grano tenero e uova. Per capirci, è quella con cui si fanno i tortellini, i ravioli e le tagliatelle.

In Italia è importante distinguere anche i modi di mangiare la pasta. Quello più classico, della pasta cotta in acqua e poi scolata, è la pastasciutta, cioè la pasta propriamente detta.

La pasta cotta in brodo, invece, prende il nome di minestra. A volte è molto liquida, altre volte invece è particolarmente densa. Come nel caso di alcuni piatti della tradizione napoletana.

Una nota finale sui nomi dei formati di pasta. È impossibile elencarli tutti, perché ne esistono tantissimi, in tante varianti regionali, e il marketing ne inventa sempre di nuovi. Limitiamoci a definire le categorie di base.

La pasta corta, come per esempio farfalle, fusilli o penne. La pasta lunga, come spaghetti, tagliatelle o pappardelle. La pasta ripiena, come tortellini, agnolotti o ravioli. La pastina, quella che si usa per le minestre.

A Napoli e dintorni, è possibile trovare anche la pasta mista. Confezioni di pasta con dentro vari formati, venduti così per richiamarsi alla tradizione povera delle minestre fatte con gli avanzi di pasta rimasti in casa. E diventati un simbolo.

Un simbolo la pasta lo è da tempo anche per l’immaginario culturale italiano. Contare tutti i film, libri, o spettacoli teatrali dove i personaggi mangiano della pasta è una missione impossibile. Esistono però dei casi in cui mangiare la pasta non è solo una cosa che succede sullo sfondo, ma diventa una parte cruciale della storia.

Come per esempio nel dramma Natale in casa Cupiello, opera geniale del drammaturgo napoletano Edoardo De Filippo. Nel terzo atto, il protagonista ormai molto malato e sul punto di morte, quasi incapace di parlare, ricorda commosso la pasta e fagioli che gli preparava la moglie.

Gli ascoltatori più accaniti di Salvatore racconta forse hanno pensato anche a una scena del film Un americano a Roma, con Alberto Sordi che -con un tragicomico accento americano- parla con un piatto di spaghetti dicendo: “maccarone, tu m’hai provocato e io ti distruggo”.

E forse qualcuno di voi avrà in mente una scena indimenticabile di un grande film del comico napoletano Totò, dal titolo Totò, Peppino e la malafemmena. Dove i protagonisti arrivano in treno a Milano pronti, secondo loro, ad affrontare un periodo difficile in una città straniera e misteriosa. Arrivano con addosso pesanti pellicce, colbacchi russi, e le valigie… piene di spaghetti!

I tortellini invece trovano posto addirittura in un poema del XIX secolo. Non un grande poema, dobbiamo dire la verità. Va detto che a Bologna si conosceva già, da almeno due secoli, un altro poema che parlava delle secolari guerre tra Modena e Bologna e della volta che a una battaglia parteciparono persino gli dei dell’Olimpo! Bene, nel poemetto del tortellino, l’autore inventa la continuazione di questa storia. Dicendo che gli dei dell’Olimpo, dopo la battaglia si sono fermati a riposare in una locanda. Tra loro, anche Venere, la dea della bellezza. Che, per errore e per fretta, si mostra un po’ svestita al padrone della locanda che vede il suo ombelico e, ispirato da quella visione, crea il tortellino. Come detto, non è poesia di livello sublime, ma è molto divertente!

In un film o un libro di oggi, è molto più facile trovare i protagonisti gustare un bel piatto di carbonara. Anche se, come ho raccontato nell’episodio 64, si tratta di un piatto molto meno tradizionale di quanto molti italiani pensino! Inventato in fretta e furia con gli ingredienti in possesso dei soldati americani alla fine della seconda guerra mondiale. Ma anche per questo, in fondo, molto italiano. Cosa c’è di più italiano, se ci pensate, dell’arte dell’arrangiarsi?

A parte la carbonara, ci sono anche altri piatti dal gusto vagamente italiano, ma che in realtà hanno poco a che fare con la tradizione del Bel Paese. Come per esempio le Fettuccine Alfredo, gli spaghetti con le polpette o gli “spaghetti bolognese”, tutti piatti più o meno legati agli Stati Uniti e che nessun ristorante in Italia inserisce sui menù. A meno che non voglia proprio andare a caccia di turisti poco attenti. Quindi, statene alla larga!

Comunque la preferiate, pastasciutta o minestra, corta o lunga, all’uovo o normale, la pasta unisce davvero un po’ tutti. È più di un alimento, un rito collettivo attorno a cui radunarsi. Una bella spaghettata è il modo migliore per parlare di affari, di vacanze, di amori appena nati o di amori perduti. Il resto mettetecelo voi. Guanciale o pancetta, panna o brodo, aglio o cipolla. L’importante è che non ci sia il ketchup.

Scherzo! O forse no?

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