#65 – Maradona e Napoli, una storia d’amore
Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 7 maggio 2022.
Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale.
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Come si fa a diventare eroi?
Un eroe è qualcuno capace di fare cose incredibili, di compiere imprese di cui tutti parlano e di suscitare l’ammirazione di tutta la comunità.
Nella cultura occidentale, ne abbiamo alcune immagini precise.
Come i cavalieri medievali, nobili d’animo, con le loro armature, pronti a uccidere draghi e salvare principesse.
O come gli eroi classici, belli e coraggiosi, pronti a mettere la gloria e l’onore davanti a tutto.
La storia di oggi parla di un eroe. Uno che però corrisponde solo in parte a questo ritratto.
Perché bello non lo è mai stato, altruista forse solo in parte, ma i suoi gesti e il suo amore hanno conquistato per sempre un’intera città.
Napoli, nello specifico. Una città che vive da sempre di grandi contrasti.
Tra ricchezza e povertà, tra solidarietà e furbizia, tra orgoglio locale e complesso di inferiorità.
Napoli aveva bisogno di un eroe per credere in sé stessa. Ma non avrebbe mai potuto avere un eroe perfetto e impeccabile. Le serviva un eroe che le somigliasse.
Geniale e scapestrato, empatico ed egoista, passionale e genuino.
Alla fine l’ha trovato, nel calcio.
Un popolo in cerca di un eroe, e un eroe in cerca di un popolo.
È stato un colpo di fulmine, ed è un amore che dura ancora oggi.
Quello tra Napoli e Diego Armando Maradona.
Diego Armando Maradona ha giocato per sette stagioni con la maglia del Napoli vincendo due scudetti, una coppa Italia e una coppa Uefa.
Ovvero, la gran parte dei trofei vinti dal Napoli in tutta la sua storia.
Per questo, oggi a Napoli Maradona è un mostro sacro. Tuttavia, se oggi Maradona è uno dei simboli più importanti di Napoli, è per motivi profondi che non riguardano solo il pallone.
Andiamo con ordine.
Diego Armando Maradona è nato nel 1960 in una famiglia poverissima della periferia di Buenos Aires, in Argentina. Da bambino, vive con i genitori e sette fratelli in una casa di tre stanze e i soldi non bastano nemmeno per comprare le scarpe. I primi calci a un pallone infatti li tira scalzo. E quello che colpisce non è nemmeno un pallone vero, ma vecchi vestiti arrotolati.
Come se non bastasse, Diego è più basso di tutti gli altri ragazzini, e la cosa si nota.
Quando è ancora piccolo, il suo talento è già molto visibile e il padre e i fratelli sudano sette camicie per fargli ottenere dei provini nelle squadre di Buenos Aires.
Certo, con il pallone tra i piedi è bravo, ma è basso e lento, non è adatto.
Dopo tante porte in faccia, finalmente se ne apre una. Quella degli Argentinos Juniors. Diego Maradona non ha nemmeno 16 anni, ma in cinque stagioni, segna 116 goal ed è chiaro che è arrivato il momento per fare il salto di qualità.
Passa al Boca Juniors, una delle squadre più importanti di tutta l’Argentina.
Del suo fisico inadatto non importa più a nessuno, tutti hanno visto cosa è capace di fare con il pallone. E quello basta e avanza. I tifosi del Boca lo riempiono subito di un amore folle, ma anche di grandi pressioni. Diego ancora non lo sa, ma questo sarà il leitmotiv di tutta la sua carriera, quello che lo renderà grande ma che finirà anche per distruggerlo.
Per ora però è giovane, riesce a godersi l’amore senza farsi schiacciare dalle pressioni.
Nel 1982, con la maglia albiceleste dell’Argentina, gioca il suo primo mondiale, in Spagna. E in Spagna finisce per restarci. Per la precisione, in Catalogna.
Perché il Boca, la sua squadra, ha problemi di soldi e lui ormai è troppo grande per l’Argentina. Il calcio più ricco è quello europeo e così dalla stagione 1982/83 Diego Armando Maradona inizia a vestire la maglia blaugrana del Barcellona.
Quando arriva in Catalogna, Diego ha 22 anni. Non ha mai vissuto fuori da Buenos Aires. E ora gioca per il Barcellona, una delle squadre più gloriose del calcio europeo.
L’ambientamento non sembra un ostacolo. Diego parla già spagnolo, e soprattutto parla la lingua universale del pallone. Barcellona però non è Buenos Aires e i tifosi catalani non sono pronti a venerarlo come se fosse un salvatore della patria. La sfortuna, poi, non lo aiuta. Si fa male diverse volte, si ammala di epatite, in campo si mostra nervoso. Nella solitudine e nella malinconia, scopre un alleato pericoloso: la cocaina.
Dopo tre stagioni tra alti e bassi, più bassi che alti, Diego decide che ne ha abbastanza. Vuole cambiare aria. Gli arrivano numerose proposte dall’Italia, che in quel periodo ha un campionato ricco di stelle.
A farsi avanti per Maradona sono soprattutto le squadre del nord, a partire dalla Juventus. Ma tra le pretendenti ce n’è una un po’ a sorpresa. Il Napoli.
Che in quegli anni, è una squadra di mezza classifica senza i mezzi per vincere. Da qualche anno, però, il presidente è un uomo ambizioso, si chiama Corrado Ferlaino.
E Ferlaino lo ripete come un disco rotto: il Napoli ha bisogno di un campione carismatico per trascinare la squadra e sfidare le grandi del nord.
I tifosi napoletani sono totalmente d’accordo. Sono tanti, appassionati e orgogliosissimi.
Napoli è una città che, per storia e tradizione, ha sempre occupato posti di primo piano. È stata città di re e imperatori, artisti e filosofi, e proprio non le va giù di essere trattata dal resto d’Italia come una città inferiore. Del resto i problemi non mancano: povertà, disoccupazione e criminalità sono all’ordine del giorno e qualche anno prima, nel 1973, c’è stata persino un’epidemia di colera che ha aumentato i pregiudizi del resto d’Italia nei confronti di Napoli.
Insomma, i napoletani sono in cerca di riscatto e hanno bisogno di un eroe per ottenerlo. Possono offrire tutto ciò che hanno di bello e grande, a partire dal loro amore. Ma gli serve un eroe che la accetti così com’è, nelle sue contraddizioni.
E quell’eroe non può che essere Maradona. Calza a pennello. Un calciatore impulsivo e geniale, che decide con il cuore e non con la testa, nato in un quartiere povero e diventato grande. Un uomo che ha un bisogno disperato di sentirsi amato e una città intera in cerca di qualcuno da amare. Una combinazione perfetta.
Nel luglio del 1984, dopo settimane di negoziazioni estenuanti con il Barcellona, finalmente diventa ufficiale. Diego Armando Maradona è un giocatore del Napoli.
4 luglio 1984. Stadio San Paolo. Non è prevista nessuna partita quel giorno, eppure sugli spalti ci sono ottantamila persone che vogliono essere sicure che non sia tutto uno scherzo o un sogno. Che davvero Diego Armando Maradona ha scelto Napoli.
E lui arriva, entra in campo e viene accolto da un boato di approvazione. Non ha ancora fatto niente, e già tutti lo amano.
Quel ragazzo di 24 anni, bassino e tracagnotto, con la faccia ingenua e quasi spaventata, è uno dei calciatori più forti del mondo. Ed è arrivato al Napoli, una squadra che l’anno precedente ha dovuto lottare per non retrocedere. L’ha convinto l’idea di stare bene. L’ha convinto l’amore di Napoli.
Ci vuole un po’ di tempo per ingranare. Nella prima stagione con Maradona in campo, 84/85, il Napoli arriva all’ottavo posto, e l’anno dopo al terzo. Rispetto agli anni precedenti, sono passi da gigante, ma per conquistare lo scudetto serve ancora qualcosa.
Servono la consapevolezza e l’autostima. Diego, di suo, ne ha da vendere e deve contagiare anche i suoi compagni.
Riesce a farlo a distanza, nell’estate del 1986.
CI sono i mondiali, in Messico, e si gioca anche la partita più famosa della carriera di Maradona. I quarti di finale contro l’Inghilterra in cui Diego segna non uno, ma due goal entrati nella storia. E che simboleggiano perfettamente il suo spirito: impulsivo, geniale, ma anche furbo e ribelle. Un po’ come Napoli.
Il primo goal è quello de La mano de Dios, la mano di Dio. Segnato in modo rocambolesco e chiaramente con l’aiuto di una mano.
Il secondo arriva quattro minuti dopo, ed è un capolavoro sportivo. Diego parte palla al piede dalla sua metà campo, scarta tutti gli avversari che si trova davanti e quasi entra in porta con il pallone.
Dopo quella partita, l’Argentina vincerà anche la coppa. Diego Armando Maradona torna in Italia da campione del mondo. Con una promessa, quella di portare al Napoli la gloria eterna.
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Campionato 86/87. Il Napoli adesso è una squadra di giocatori forti, con al centro un autentico fuoriclasse.
La sfida non è facile, perché di fronte c’è la Juventus, una squadra abituata a vincere e a reggere la pressione. Che in campo può mostrare un campione che come talento ha poco da invidiare persino a Maradona: Michel Platini.
Il testa a testa è proprio tra queste due squadre e si decide il giorno di Juventus-Napoli. È una partita a senso unico. Sul campo dei bianconeri, gli azzurri vincono 3 a 1. Un risultato che apre le porte dello scudetto.
Il 10 maggio del 1987, il Napoli è Campione d’Italia per la prima volta nella sua storia.
Un’euforia incontrollabile invade la città. I festeggiamenti durano per giorni interi. Il Calcio Napoli ha portato alla città l’onore e la gioia desiderati per anni. Lo ha fatto con l’aiuto di tutti, calciatori, allenatore e presidente, con Diego Armando Maradona.
Diego che in quei mesi diventa per i napoletani praticamente un dio. E lui accetta ben volentieri questo trattamento, ama essere amato e riconosciuto. Si sente uno di loro. Napoli è una città di strade strette piene di ragazzini che giocano a pallone. Proprio come lo era stato lui. Maradona riesce a mettersi nei panni della città, ad amarla e essere amato da lei. A un livello molto profondo.
Persino troppo profondo.
Perché qui cominciano anche le note dolenti del rapporto di Diego con Napoli. Conosce una ragazza, se ne innamora, ma quando lei resta incinta, lui decide di non riconoscere quel figlio come suo.
Inoltre, la grande fiducia che offre lo fa avvicinare dalle persone sbagliate, legate alla camorra, che incentivano la sua dipendenza da cocaina iniziata a Barcellona.
L’amore tra Maradona e Napoli sta diventando tossico. La città, da casa, sta diventando prigione.
Tutti vogliono che sia loro amico, che sia il più forte, che sia il più grande. In quei momenti Maradona si fa molte domande: è davvero quello che voglio? Darsi una risposta è difficile, forse troppo per un ragazzo semplice come lui.
Il destino a un certo punto ci mette lo zampino. Nel 1990, ci sono di nuovo i mondiali. E sono in Italia. Ovviamente partecipa anche l’Argentina, e il caso vuole che Italia e Argentina si incontrino in semifinale e che la partita si giochi proprio allo stadio San Paolo di Napoli.
Per capire quello che succede in quei giorni, bisogna dire un paio di cose. Il resto d’Italia, in buona parte, non amava Napoli né Maradona. Per gli stessi motivi. Perché Napoli e Maradona sono simili in tante cose. La furbizia, l’estro e anche la fantasia. Caratteristiche che la borghesia italiana non ha mai potuto sopportare, credendo sempre nel lavoro duro e nella discrezione.
Quando si avvicina la partita, comincia a girare la voce che a Napoli lo stadio tiferà Argentina per Maradona. Le polemiche sono furibonde, tra napoletani e resto d’Italia volano gli stracci.
Diego in quei giorni si dimostra furbo. Usa l’amore dei napoletani come un’arma. Rilascia interviste in cui dice chiaramente quello che molti napoletani pensano. Che l’Italia si ricorda di Napoli solo quando le fa comodo. E che se i napoletani tiferanno Argentina quel giorno, faranno bene. Perché tiferanno per lui, che li ama sempre e incondizionatamente.
Vero o no, a tifare Argentina quella notte di luglio al San Paolo di Napoli sono in tanti. E forse, quando l’Argentina vince e l’Italia viene eliminata, alcuni piangono con un occhio solo.
L’anno dopo, Maradona riporta una grande gioia a Napoli, con il secondo scudetto. Che si aggiunge alla Coppa Uefa vinta un anno prima.
Qualcuno lo ammette, qualcun altro no, ma la verità è davanti agli occhi di tutti. Maradona è il calciatore più forte del mondo.
Ma come sempre per quanto lo riguarda, paradiso e inferno sono due facce della stessa medaglia.
L’anno successivo comincia la decadenza. Diego appare sempre più fuori forma, schiavo di sé stesso, del suo personaggio, dell’amore di Napoli che lo stringe e non lo lascia andare. E lui cerca il conforto nella fuga, nell’evasione, e gliela dà la cocaina.
Quella che sarà la sua ultima stagione napoletana è un’autentica via crucis. In campo Diego stenta, arranca, sembra il fantasma di sé stesso. E il Napoli lo segue.
Da campioni d’Italia, finiscono al settimo posto. Maradona conclude la sua stagione a marzo. Dopo che, a un controllo antidoping, risulta positivo alla cocaina e viene squalificato.
Il resto della sua vicenda, calcistica e umana, continua lontano da Napoli.
Gioca ancora un anno a Siviglia, poi torna in Argentina per alcune stagioni prima di ritirarsi e darsi a una carriera da allenatore giramondo piuttosto fallimentare.
In seguito a molti problemi di salute, Diego Armando Maradona muore nel 2020, a 60 anni.
La città di Napoli, a tempo di record, cambia il nome del suo stadio. Non sarà più lo Stadio San Paolo, ma lo stadio Diego Armando Maradona.
Perché è vero che Diego se ne è andato nel peggiore dei modi, ma quello che ha fatto per Napoli e per il Napoli non può essere cancellato.
Perché lui per Napoli è stato un eroe che non ha mai guardato la città dall’alto in basso, ma ci è stato dentro. Fino in fondo. Con i suoi pregi e i suoi difetti. E forse nessun posto al mondo quanto Napoli è capace di amare i pregi e accettare i difetti come parte della vita. Nessuna città al mondo conosce le contraddizioni come Napoli. E nessun’altra città così facilmente chiude un occhio sulle cose brutte quando si trova di fronte al puro genio e alla pura bellezza.
È così che Diego e Napoli si sono trovati, si sono amati e saranno legati per sempre.
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