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#63 – Alberto Sordi, il più italiano tra gli italiani

Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 21 maggio 2022.

Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale.

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Alberto Sordi Salvatore racconta Podcast in italiano per stranieri

 

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In un vecchio film di tanti tanti anni fa, Nanni Moretti, che oggi è un regista molto famoso ma all’epoca era alle prime armi, interpreta Michele, uno studente universitario un po’ inconcludente e stanco della vita.

È un film che oggi conoscono in pochi, ma quella che ci interessa è una scena in particolare.

Quella in cui Michele, l’alter ego di Nanni Moretti stesso, è in un bar, è apparentemente tranquillo ma a un certo punto impazzisce di rabbia e attacca anche fisicamente un altro avventore, che è lì a pensare ai fatti suoi e a chiacchierare con il barista.

Qual è la colpa di quest’altro cliente? Il suo qualunquismo, un modo di pensare semplificato e banalizzante. In particolare una frase che dice: neri e rossi sono tutti uguali. Neri e rossi, cioè fascisti e comunisti, per lui alla fine sono la stessa cosa.

Una banalità e una falsità intollerabili per Michele, che si alza, prende l’uomo per la camicia e inizia a gridare:

“Ma che siamo, in un film di Alberto Sordi? Te lo meriti Alberto Sordi!”

Fino a quando il barista non lo caccia malamente fuori dal locale.

Chi è Alberto Sordi? E perché Michele lo usa come simbolo negativo per attaccare l’italiano medio e la pigrizia intellettuale di chi preferisce semplificare tutto anziché analizzare la realtà?

La risposta breve è che Alberto Soldi è il più italiano tra gli italiani.

La risposta lunga è la sua storia, nel cinema e fuori.

Diciamolo subito. Il giudizio su Alberto Sordi di Nanni Moretti in quel film è ingeneroso, ma allo stesso tempo sincero.

Per capirlo meglio, partiamo dicendo che Alberto Sordi è uno dei simboli moderni di Roma. Passeggiando in centro, tra Via del Corso e Piazza Colonna, di fronte a Palazzo Chigi, che è la sede del governo italiano, c’è un’elegante galleria piena di negozi e boutique. Com’è che si chiama? Galleria Alberto Sordi.

Di Alberto Sordi possiamo limitarci a dire che è nato a Roma, ma possiamo anche essere più precisi. È nato a Roma in via San Cosimato 7, nel cuore del quartiere di Trastevere, uno dei più belli e famosi della città. In che anno? Nel 1920.

Sua madre è un’insegnante elementare e il padre suona la tuba al teatro dell’Opera.

Forse ispirato da questo, il piccolo Alberto si interessa da subito al teatro, al canto, alla recitazione. E si vede che in quel mondo lui si sente a suo agio, ci sguazza.

Tanto che, a sedici anni, decide di lasciare Roma per andare a Milano a studiare in una scuola di recitazione. Sarà un fiasco, perché il suo accento molto marcato sarà un ostacolo insuperabile per i suoi insegnanti.

Così Alberto Sordi adolescente torna a casa con le pive nel sacco e cerca altri modi per esprimersi. Sono ancora gli anni ’30, in Italia c’è il fascismo e la guerra sta per scoppiare.

Il cinema italiano non è ancora davvero nato, ma proprio in quegli anni apre Cinecittà, il complesso di studi cinematografici che sarà la casa dei grandi registi del Bel Paese. Alberto non ha sistemato il suo problema di dizione, ha ancora un accento romano bello forte, ma nel cinema chiudono un occhio perché gli interessa in particolare un altro dettaglio. Il suo bel vocione. La voce di Alberto Sordi, già da giovane, è bassa e calda, è perfetta per il doppiaggio.

Insomma, in quegli anni inizia a muovere i suoi passi nella carriera artistica. Nella sua Roma gli sembra tutto più facile rispetto a Milano. Debutta anche a teatro, divertendosi nelle commedie.

Ma il tempo per ridere finisce presto, perché arriva il 1940 e con lui, l’entrata in guerra dell’Italia.

Alberto all’epoca ha vent’anni e naturalmente viene arruolato. Per sua fortuna, non finisce al fronte, ma solo nella Banda dell’Esercito e in qualche modo esce dal conflitto completamente indenne.

Nell’Italia del dopoguerra, lentamente, nascono le condizioni per farlo diventare famoso ed eterno.

Sempre grazie alla sua voce, dopo la guerra, Alberto Sordi riparte dalla radio. Con una voce buffa e un po’ nasale, crea dei personaggi schematici e satirici, quelli che poi porterà avanti per tutta la sua carriera, e che in italiano si chiamano macchiette.

Con queste esibizioni radiofoniche, Alberto Sordi coglie nel segno. Funziona, fa ridere, con leggerezza e ironia riesce a mostrare i difetti e i peccati degli italiani dell’epoca, quasi tutti impegnati nel mostrarsi al mondo come persone per bene, almeno all’apparenza.

Ed è così che, tra una cosa e l’altra, dalla radio passa al cinema. Parte con il botto, tra i suoi primi film ce ne sono addirittura due con Federico Fellini. Ma la vera notorietà arriva con la sua prima pellicola da protagonista.

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Esce nel 1954 e si chiama Un americano a Roma. In questo film, Alberto Sordi interpreta un giovane di nome Nando Mericoni. Pigro, infantile e pasticcione, ma uno a cui non puoi non voler bene. Nando vive a Roma negli anni Cinquanta ed è letteralmente ossessionato dal mito americano. Ama a prescindere tutto quello che arriva dagli Stati Uniti, sogna di partire per l’America, indossa vestiti che gli sembrano americani ma che messi insieme hanno un effetto grottesco. E soprattutto è convinto di sapere parlare inglese. Ma il suo è un inglese a dir poco maccheronico, mischiato con romanesco stretto, e ovviamente incomprensibile per gli americani veri.

Il film è un grande successo perché coglie davvero la mania per l’America che c’è in Italia in quegli anni. I soldati yankee arrivati alla fine della guerra hanno portato un modello da sogno tutto da imitare, solo che l’Italia non è ancora pronta e le sue imitazioni sono molto goffe. Proprio come quella del povero Nando Mericoni.

Da lì, la carriera di Sordi spicca il volo. Gira decine di film, soprattutto commedie, dove i suoi personaggi continuano a mostrare in modo divertente tutti i difetti più classici degli italiani del tempo. Sempliciotti che sperano di diventare ricchi senza sforzo, arroganti con le persone semplici e servili con i potenti, non molto istruiti e ossessionati da miti effimeri. Come l’America o il calcio.

Del resto, Alberto Sordi era davvero un grande appassionato di calcio e in particolare un grande tifoso della Roma, cosa che ha mostrato apertamente anche in alcuni dei suoi film come Il marito del 1956.

Negli anni successivi, Sordi cambia un po’ registro e sviluppa i suoi personaggi. Non rinuncia a mostrare con leggerezza i vizi dell’italiano medio, ma comincia a farlo con una profondità diversa.

Se i suoi personaggi degli anni Cinquanta sono comici ma un po’ monodimensionali, quelli degli anni Sessanta e Settanta sono più sfaccettati e aggiungono un tono di malinconia.

È il caso ad esempio del film La grande guerra, del 1960, ambientato durante la prima guerra mondiale. Qui Alberto Sordi interpreta un soldato, naturalmente romano, che è tutto meno che un eroe. Anzi, è cinico e codardo, e aspetta solo il momento buono per scappare. Solo alla fine, tragicamente, ha l’occasione per redimersi e muore da eroe, fucilato dai nemici per non avere voluto consegnare delle informazioni preziose sui piani dell’esercito italiano. La sua morte da eroe, tuttavia, resta nell’ombra. Perché i compagni non ne sanno niente, e per loro resterà sempre il solito codardo.

È soprattutto per film come questo che Alberto Sordi è rimasto nel cuore degli italiani. Perché ha saputo concentrare in un solo personaggio i vizi e le virtù che il popolo del Bel Paese ha sempre sentito di avere. Saremo spesso pigri, approfittatori e codardi, ma anche profondamente leali nei confronti dei nostri cari e pronti a morire per questo. Anche se nessuno lo saprà mai davvero.

L’apice di questo atteggiamento dialettico e riflessivo nei confronti della commedia, arriva anni dopo, nel 1971. Con un film intitolato Un borghese piccolo piccolo, diretto da Mario Monicelli come del resto anche La grande guerra.

Alberto Sordi qui interpreta Giovanni Vivaldi, un piccolo borghese, impiegato vicino alla pensione, cattolico praticante, uomo molto tranquillo e che sembra avere un solo obiettivo. Trovare un lavoro stabile a suo figlio Mario, un ragazzo succube e non molto intelligente. Per raggiungere il suo obiettivo di sistemare il figlio, Giovanni è pronto a tutto, anche a un grottesco ingresso nella massoneria, pur di avere le conoscenze giuste.

Fino a che non succede la tragedia. Mentre padre e figlio camminano in centro, finiscono in mezzo a una sparatoria tra i poliziotti e dei rapinatori di banca. Uno dei rapinatori spara, colpisce il giovane Mario e lo uccide. Lasciando Giovanni distrutto dal dolore e desideroso di vendetta. La sua morale piccolo borghese, secondo cui la cosa migliore è vivere tranquilli senza fare troppo rumore, deve fare i conti con il fatto che l’unica cosa che dava senso alla sua vita gli è stata tolta. Non può non esserci una vendetta.

Con questo film, la commedia italiana sembra finire per sempre. Del resto, sono anni duri in Italia, gli anni del terrorismo, delle bombe, pieni di paura. Sembra che non ci sia poi molto da ridere.

Alberto Sordi in qualche modo prova a resistere. Decide che la sua missione è ancora quella di ridere e fare ridere, ma senza rinunciare alla malinconia e alla riflessione.

Dei suoi ultimi lavori, il più apprezzato è ancora un film diretto da Mario Monicelli e si intitola Il marchese del Grillo.

Ambientato nella Roma del XIX secolo, prima dell’Unità d’Italia, il film racconta la storia del Marchese Onofrio del Grillo, un nobile pigro, volgare e arrogante. Che non fa altro che bere nelle osterie, sperperare denaro e fare scherzi di cattivo gusto.

È un uomo spregevole, arrogante, che usa la sua posizione di potere ogni volta che gli fa comodo e non fa niente per nascondere la sua posizione di privilegio.

È un personaggio che tutti odiamo guardandolo sullo schermo, eppure ci fa ridere e lo guardiamo con piacere. Ecco il segreto alla base del grande successo di Alberto Sordi.

Oltre che al cinema, Albertone -come lo chiamano affettuosamente i romani- si è dedicato anche alla musica scrivendo canzoni ironiche in romanesco e alla tv, partecipando spesso a trasmissioni della Rai come ospite o anche come conduttore.

Di sicuro il suo più grande contributo lo ha dato al cinema e in particolare alla commedia, con un tipo di comicità che ha fatto scuola.

Ma Alberto Sordi resta unico perché ha avuto il talento veramente unico di rappresentare l’italiano medio. Senza la presunzione di volerlo giudicare, migliorare o maltrattare.

Ha creato personaggi in cui per molti era facile riconoscere sé stessi, o magari i propri parenti, i propri vicini, i propri colleghi di lavoro.

Secondo alcuni critici un po’ duri nei suoi confronti, facendo così Alberto Sordi ha fatto credere agli italiani che i loro difetti alla fine non erano nulla di grave, e anzi erano una cosa da accettare e di cui ridere.

È proprio l’accusa indiretta che gli ha fatto Nanni Moretti nel suo film Ecce Bombo di cui abbiamo parlato all’inizio. L’uomo al bar che fa discorsi qualunquisti e banali sembra proprio un personaggio di Alberto Sordi, uno pigro senza voglia di capire davvero le cose.

In un certo senso è vero. Alberto Sordi ha rappresentato quell’Italia e lo ha fatto con ironia. Ha reso simpatico e divertente l’italiano medio che tradisce la moglie, che pensa solo al pallone, che per ottenere un privilegio farebbe di tutto.

Ma è davvero un’ironia accondiscendente? Direi proprio di no. Come detto, i suoi personaggi ci fanno tutti ridere, ma molti di loro lo fanno con malinconia. E permettono agli italiani di guardarsi allo specchio e chiedersi: ma io sono davvero così?

Nei cinquant’anni che Alberto Sordi ha passato sotto i riflettori, l’Italia è naturalmente cambiata. Alcuni tratti tipici degli italiani sono stati smussati, altri sono ancora più evidenti di prima e la commedia cerca ancora oggi di mostrarli per ridere e riflettere.

Quando Alberto Sordi è morto, nel 2003, ha lasciato un vuoto nella cultura italiana. Un vuoto che più di duecentomila persone hanno provato a riempire andando al suo funerale, nella Basilica di San Giovanni a Roma.

Nella sua amata e insostituibile Roma. Di cui è stato uno dei simboli più importanti del XX secolo.

Anche se lui, di fronte a queste parole così solenni, risponderebbe con una calorosa e fragorosa risata. L’inconfondibile risata di Alberto Sordi.

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