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#60 – Aosta, tra Roma e le Alpi

Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 30 aprile 2022.

Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale.

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Aosta Salvatore racconta Podcast in italiano per stranieri

 

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Hai mai visto il Colosseo sotto la neve? Oppure i fori imperiali? O l’arco di Costantino?

Statisticamente, è piuttosto improbabile. Perché la neve su Roma cade molto raramente, e anche quando succede, resta lì per poco.

Le rovine della Roma imperiale e la neve, insomma, sembrano elementi destinati a non incontrarsi troppo spesso.

In realtà non è così. Se Roma è stata così grande nella storia, è proprio perché ha portato la sua grandezza molto lontano dal suo centro.

Con un po’ di fortuna, si trovano oggi resti di città romane in tanti luoghi, non solo in Europa.

Per esempio anche in una città che da Roma è lontana, ma non troppo.

Perché è una città italiana, anche se si trova lì dove l’italianità sbiadisce pian piano per incontrare altre lingue e culture.

Ed è una città che conserva reperti di epoca romana in splendido stato di conservazione. Un teatro, un arco, una famosa porta.

Pezzi di storia imperiale che qui si riempiono di neve piuttosto spesso. E non la neve di Roma che dura il tempo di un amen. Ma una neve solida, compatta, di quella che gli abitanti della zona conoscono da sempre.

Perché qui la neve è di casa. Fa parte della vita di ogni giorno, anzi, per molti è fonte di lavoro e di sostentamento.

Una neve a cui tutti qui danno del tu. E che a volte copre di bianco i resti di un impero che a questo luogo aveva dato un nome importante e solenne: Augusta Praetoria.

Oggi non si chiama più così, ma conserva la sua storia antica e la sua identità. Fatta, tra le altre cose, di neve e di Roma.

Cerchiamo di scoprirla un po’ più da vicino. Andiamo ad Aosta.

Se non ami sciare, è possibile che tu non l’abbia mai sentita nominare. Aosta è una città che non molti conoscono al di fuori dell’Italia. E anche molti italiani e italiane in realtà non l’hanno mai vista dal vivo.

Cosa si sa, generalmente, di questo posto? Che è una delle città più a nord d’Italia, incuneata tra le Alpi e tra due confini che delimitano il territorio della repubblica italiana. Per la precisione, quello con la Francia e quello con la Svizzera.

Che altro? Ah sì, naturalmente. Aosta è il capoluogo della Valle d’Aosta, la più piccola delle venti regioni italiane, così piccola da non dovere essere nemmeno divisa in province. Una regione di valli e montagne costellata di tanti piccoli paesi. Tanti dei quali hanno nomi che in bocca italiana suonano un po’ esotici. Come Chamonix o Saint-Cristophe, tanto per dirne due.

Nomi francesi per paesi italiani. È una peculiarità di questa terra di confine, a cui tutti i locali sono abituati. Anche perché loro, molto spesso, portano cognomi francesi. E per i loro figli scelgono nomi francesi, perché suonino bene con la fonetica dei cognomi.

Del resto, il francese qui è lingua co-ufficiale. Un privilegio che la regione Valle d’Aosta ha ottenuto per la sua storia e per il suo tessuto sociale. Qui il francese lo conoscono tutti, lo studiano a scuola a fianco dell’italiano e volendo possono usarlo in uffici pubblici e situazioni ufficiali. Anche se poi, per quello che raccontano i residenti, non capita così spesso. Al massimo, i locali tra loro, quando non parlano italiano, usano uno dei dialetti della zona. Che, coerentemente con tutto quello che abbiamo detto, sono una parlata un po’ mista tra italiano e francese.

Di questo mondo di confine, fatto di tanti piccoli paesi spesso un po’ isolati a causa del territorio montuoso, Aosta è il centro principale. E, in fondo, l’unica vera città.

La fondazione di Aosta, come detto prima, si deve all’arrivo degli eserciti romani. Che sconfiggono le locali popolazioni di origine celtica e piantano le basi di quella che diventerà Augusta Praetoria. Una città importante perché vicina alle Alpi e ai suoi passaggi.

Un ruolo, questo, che manterrà nella storia.

Nel medioevo, mentre lentamente l’unità del mondo romano si frantuma, il latino parlato ad Aosta e nelle valli comincia ad assumere sfumature particolari, con una cadenza e un accento simili a quelli della vicina Provenza. Aosta intanto trova una nuova collocazione. Roma come capitale imperiale non c’è più, ma è rimasto un grande frutto della sua storia. La Chiesa.

Per la città si prospetta un futuro come sede di diocesi. Dove si stabiliscono poteri locali, consuetudini locali, e dove si trovano a passare mercanti, cardinali, re e imperatori.

Un momento decisivo nella storia di Aosta arriva in un anno ben preciso: il 1032. In quell’anno si chiude per sempre la storia del medievale Regno di Borgogna e la sua strada si divide in due. Una parte continuerà con il regno di Francia, un’altra andrà nelle mani di una dinastia destinata a segnare il suo nome a grandi lettere nella storia italiana. La famiglia Savoia.

Quei Savoia che poi sarebbero stati i primi e ultimi re d’Italia prendono Aosta nel 1032 e la accompagnano nei secoli fino al Risorgimento. Nel giro di ottocento anni, i rapporti con la Francia sono a volte tranquilli e a volte burrascosi, da queste parti si combattono battaglie con la spada, con il moschetto, con i cannoni, ma alla fine Aosta resta saldamente in mano sabauda.

Nel 1860, quando buona parte dell’unificazione italiana sta per concludersi, i Savoia prendono una decisione chiara dal grande valore simbolico. Nelle trattative con Napoleone III, cedono alla Francia la contea di Nizza e persino la Savoia -la regione che dà il nome alla dinastia- ma tengono per sé la Valle d’Aosta. Che entra così dalla porta principale nel nuovo Regno d’Italia.

Nelle valli, come detto, si parla soprattutto il dialetto francoprovenzale, ma questo nella neonata Italia non è certo soltanto un problema aostano.

Un problema, nel senso negativo di questo termine, lo diventa qualche decennio dopo. Quando nell’Italia di Re Vittorio Emanuele III arriva Benito Mussolini, con l’ideologia fascista che vede con il fumo negli occhi le differenze culturali e linguistiche. Come in altre zone di confine, anche ad Aosta arriva l’italianizzazione forzata di nomi e luoghi e la chiusura di tante piccole scuole delle valli dove non è possibile controllare tutto nemmeno con il capillare sistema burocratico messo in piedi dal fascismo.

Il modo certosino con cui Mussolini e i suoi vogliono sopire l’identità valdostana fa sì che i locali, alla prima occasione, siano pronti a rendergli pan per focaccia. Nella seconda parte della seconda guerra mondiale, Aosta e le valli si riempiono di partigiani che partecipano attivamente alla Resistenza. Uno di loro, il più famoso della zona, è morto ad Aosta in carcere, torturato dalle SS. Si chiamava Émile Chanoux e oggi il suo nome è quello della piazza principale della città.

Alla fine della guerra, per un breve periodo, si fa strada l’idea che la Valle d’Aosta possa infine passare alla Francia. Il progetto però, accarezzato dal futuro presidente francese De Gaulle, non va in porto. I valdostani non sentono di avere granché in comune con la storia francese e capiscono che potranno avere più autonomia e tranquillità in Italia.

La storia gli darà ragione. Dopo la fine della guerra, la Costituzione della nuova Repubblica italiana concede alla Valle d’Aosta lo statuto speciale. Che garantisce un’autonomia locale che fa di Aosta la città che è ancora oggi.

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Un giro per Aosta non può non cominciare dalle sue antiche tracce romane. Il nome di Roma delle Alpi, che operatori turistici e amministratori locali amano usare, non sembra immeritato. E certo non può mancare una passeggiata per il centro della città, in particolare nei pressi di piazza Chanoux, quella dedicata al partigiano locale menzionato poco fa.

Non va dimenticato però che la città deve molto del suo splendore allo status avuto nel Medioevo come sede vescovile e snodo politico e commerciale. Lo mostrano in particolare due grandiosi esempi di architettura sacra: la Cattedrale di Santa Maria Assunta e la Collegiata di Sant’Orso con il suo chiostro particolarmente suggestivo.

Naturalmente non si può passare del tempo ad Aosta senza dedicare almeno un po’ di attenzione a un elemento onnipresente nel panorama cittadino: le Alpi. Aosta e le Alpi sono un tutt’uno quasi inseparabile. Le montagne sono visibili da molti punti, ma soprattutto sono presenti nell’aria, nella topografia della città, al punto di segnarne l’identità nel profondo. In inverno, per chi ama lo sci e la neve, ma anche in estate, per chi preferisce godersi lo spettacolo entusiasmante della natura che si riprende la vita dopo il gelo.

La presenza delle montagne per Aosta si riflette anche, e soprattutto, nell’elemento culturale che più di tutti è influenzato da quello naturale. Parlo naturalmente della cucina.

Non c’è nulla di più valdostano della fonduta, ovvero un bel pentolone di formaggio fuso in cui inzuppare crostini di pane o patate novelle. Per essere davvero valdostana, va fatta con il formaggio DOP di questa regione: la fontina.

Altrimenti potete propendere per la polenta concia. È un po’ meno esclusiva, perché la polenta si mangia in tutta l’Italia settentrionale, ma qui la servono sempre con un po’ di burro fuso delle valli.

Tanti prodotti caseari, insomma, e non poteva essere diversamente per una città che si trova al centro di tante valli alpine. E per lo stesso motivo, non manca certo la carne e in particolare la cacciagione. Che trova il suo massimo esempio gastronomico nel civet di camoscio, una specie di spezzatino fatto con carne di camoscio marinata a lungo e servita con molte spezie locali e un contorno di polenta.

A fine pasto, concedetevi qualcosa di dolce con le tegole. Biscottini sottili e croccanti profumati alla vaniglia, da mangiare sorseggiando un caffè o anche un bicchiere di vino. I locali consigliano di abbinare alle tegole un bianco secco, per la precisione un Nus Malvoisie.

Per chi invece preferisce i rossi, per accompagnare i sapori intensi e penetranti dei piatti aostani, il consiglio cade sul Torrette, molto amato da queste parti. Forte e rosso per resistere al freddo delle Alpi!

Le persone che ascoltano questo podcast dall’inizio, sanno che ogni città che trova spazio su Salvatore racconta ha una storia di calcio da presentare. Perché poche cose come il calcio parlano dell’identità italiana.

Aosta non è da meno, anche se a fatica. Non tanto per la sua identità autonoma e di frontiera, ma più probabilmente per la sua posizione isolata, ad Aosta il calcio non ha mai attecchito profondamente. Una squadra chiamata Unione Sportiva Aosta fa segnare il suo nome sugli almanacchi dal 1911 con alterne fortune, ma senza mai brillare. Il risultato migliore mai raggiunto è stato il campionato di serie C2, all’epoca quarto livello del calcio italiano, nella metà degli anni ’90. Nel frattempo quella squadra è fallita, ma un’altra è recentemente rinata. L’Aosta Calcio 1911 prende il testimone della vecchia società andata in bancarotta dopo 23 anni di assenza. Un barlume di speranza per i tifosi locali che sperano anche di salvare lo stadio cittadino, dedicato all’alpinista Mario Puchoz morto mentre tentava di scalare il K2.

Le montagne tornano sempre quando si parla di Aosta. Come detto, sono un elemento onnipresente del paesaggio e forgiano l’anima delle persone che vivono qui.

Quanto tempo passare ad Aosta spetta a voi deciderlo. Sono abbastanza sicuro che ora avrete voglia di vedere i suoi reperti romani abbarbicati qui in alto in mezzo alle Alpi, provare i vini forti e i saporiti formaggi locali, sedervi in piazza a bere un caffè per sentire la gente parlottare tra sé. Per cogliere nel loro italiano una vena locale, o magari per sentire quel dialetto francoprovenzale che qui è ancora molto radicato come simbolo di identità.

Per Aosta e per tutta la regione, che offre all’Italia, a chi ci vive e a chi la ama, un lato originale e inconsueto di cui essere molto orgogliosi.

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