#57 – Primo Carnera, il gigante di Sequals
Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 9 aprile 2022.
Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale.
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Nel 1997, esce nelle sale il ventottesimo film di Woody Allen. Arriva in Italia pochi mesi dopo, con il titolo di Harry a pezzi.
È la storia di Harry Block uno scrittore newyorkese geniale, ma nevrotico, ossessivo e abbandonato da tutti. Perché ha un problema. Per scrivere i suoi libri, ruba dalle vite private delle persone attorno a lui. E in pratica, spiattella i loro segreti. E quindi tutti lo detestano.
L’intero film in pratica è un percorso di analisi grottesco ed esilarante in cui Harry ripensa alla sua vita, ai suoi fallimenti, alle ex mogli che ha tradito.
Proprio con una di loro, il film dà vita a una scena diventata abbastanza famosa. Mentre Woody, cioè Harry, parla con lei, racconta la storia del suo primo matrimonio.
Dice che è finito una notte quando si è reso conto di una cosa sconfortante: che la moglie, sotto una certa luce, somigliava a Primo Carnera.
A chi?
A Primo Carnera. Un uomo nato e morto in un paesino di duemila anime in provincia di Pordenone, in Friuli Venezia Giulia.
E com’è possibile che Woody Allen conoscesse questo Primo Carnera?
Perché tra la nascita e la morte, distanti sessantuno anni, Primo Carnera ha passato poco tempo nella sua città natale.
Ne ha passato molto, invece negli Stati Uniti. Come uno dei più grandi pugili della sua generazione.
Un uomo enorme. Fortissimo. Controverso. Capace di fissare il suo nome nell’immaginario americano.
Era Primo Carnera. Il gigante di Sequals.
Sembra che tutte le storie di pugilato partano da un contesto di miseria e disperazione. Oggi è perlopiù uno stereotipo, ma per altre generazioni rispecchiava bene la realtà.
Il pugilato era lo sport dei ragazzi di strada, che entravano nelle palestre per sfogare al sicuro la rabbia sociale che avevano dentro, e a cui non avrebbero saputo dare un nome. Scaricando i loro pugni su sacchi e guantoni, evitavano di farlo su qualche malcapitato per la strada. E così, si risparmiavano la galera. O la morte.
La storia di Primo Carnera somiglia un po’ a questo scenario. La sua era davvero una famiglia povera. Viveva del solo stipendio del padre, che lavorava in Germania e mandava in Italia pochi spiccioli per mantenere mogli e figli.
Fino al 1914, con lo scoppio della guerra e Isidoro Carnera, il padre di Primo, viene mandato a combattere. Questo significa che la sua famiglia non ha più dove prendere i soldi. Primo e i suoi fratelli finiscono, letteralmente, a chiedere l’elemosina per strada.
Di studiare, ovviamente, non se ne parla. Non ci sono neanche i soldi per mangiare, figuriamoci per i libri.
Mangiare, già. Un problema di tutti, ma soprattutto di Primo. Che già da ragazzino mette in mostra una mole impressionante. È alto, grosso, e quel suo corpo ha bisogno di tanto cibo per stare in piedi.
Così lui, preso dalla disperazione, lascia la famiglia e si trasferisce in Francia. Ha uno zio, vicino a Le Mans, che gli trova lavoro come falegname. Un lavoro duro, ma Primo è un ragazzone forte e poi così può ha un letto dove dormire e un piatto caldo sulla tavola.
Un giorno, nel 1925, quando lui ha già 19 anni, a Le Mans arriva il circo. E Primo si presenta tra il pubblico. Dopo tante ore a spaccarsi la schiena, si merita un po’ di riposo e di intrattenimento.
È così grande e grosso che la sua figura spicca in mezzo al pubblico. Il direttore del circo lo nota, non può farne a meno, e dopo lo spettacolo gli fa una proposta. Unisciti a noi. Il circo fa un numero di lotta libera e uno con la tua stazza sarebbe perfetto.
Primo ci pensa un po’, ma poi accetta e diventa un fenomeno da baraccone. Oggi quest’espressione ha un significato offensivo, ma all’epoca nessuno ci faceva caso. Lui è un uomo grande e grosso, il circo ha bisogno di un uomo grande e grosso, che problema c’è?
Per un paio d’anni, così, Primo Carnera gira per la Francia con il circo inscenando incontri di lotta spettacolare. Un lavoro duro, ma onesto, nel quale dimostra di sapere il fatto suo.
Finché un altro incontro, di nuovo casuale, gli cambia la vita per la seconda volta.
Durante uno spettacolo, tra le persone assiepate per assistere alla sua lotta, c’è anche Paul Journée, un ex pugile campione francese dei pesi massimi.
Quando vede Primo Carnera, intuisce che quel ragazzo con quel fisico potrebbe diventare un pugile formidabile. Certo, prima qualcuno dovrebbe insegnargli la tecnica. Magari proprio lui.
Così Journée si propone a Carnera, che all’inizio tentenna un po’. Lasciare il posto al circo significa perdere un salario fisso. Ne vale la pena?
Journée alla fine lo convince. Gli offre sogni di gloria, ma anche qualcosa di molto concreto. Un lavoro per mantenersi mentre lui lo farà diventare un grande pugile.
Affare fatto.
Ci vuole un po’ prima che Carnera possa esordire sul ring. È mastodontico e potente, ma nel pugilato questo non basta. Servono tecnica, velocità, precisione e anche un pizzico di furbizia.
Durante i primi incontri, i suoi limiti sono evidenti. I giornalisti italiani sono severi con lui. Scrivono addirittura che è un gigante, sì, ma di gorgonzola. Ovvero molle come il famoso formaggio.
Lui non si scompone, anzi, è sempre più motivato. E nel giro di un anno partecipa a 16 incontri, vincendone addirittura 14.
Sembra arrivato al livello giusto per alzare l’asticella e combattere contro i più forti. Sono quasi tutti americani, e così Primo Carnera il 31 dicembre del 1929 si imbarca su un transatlantico con destinazione New York City.
Potreste immaginarvelo un po’ spaesato, questo ragazzone alto quasi due metri, che a malapena sa leggere e scrivere, nella grande metropoli americana. In realtà New York in quegli anni era piena zeppa di emigrati italiani. Primo Carnera ne incontra molti, e a dire la verità, incontra quelli sbagliati.
In pratica, finisce nelle mani della mafia italo-americana.
Con i suoi nuovi manager newyorkesi, Carnera combatte 23 incontri e li vince tutti. Una media sorprendente. Ottima. Persino troppo. Probabilmente, lui nemmeno lo sa, ma alcuni suoi incontri sono truccati. La mafia, che gestisce le scommesse, vuole che lui vinca a tutti i costi.
La cosa insospettisce molto la federazione pugilistica americana che decide di tenerlo d’occhio.
Nel frattempo Carnera continua a combattere al di qua e al di là dell’oceano. Sono anni in cui non è più un ragazzino ingenuo, ma un professionista scafato. Ha sempre problemi di soldi e, quando si accorge che i suoi manager trattengono buona parte dei premi vittoria, non ci pensa due volte a licenziarli e a trovarne degli altri.
Nel 1931 si affida a un manager italiano, un certo Luigi Soresi. Che lo convince a tornare in America dopo diversi anni molto buoni in Europa. Crede che il suo atleta ormai sia pronto per combattere per il titolo. Quello di campione del mondo dei pesi massimi.
Per sfidare il campione in carico, l’americano di origini lituane Jack Sharkey, Carnera deve prima passare dall’incontro con Ernie Schaaf.
I due incrociano i guantoni il 10 febbraio del 1933 a New York. L’incontro è duro, i due pugili non fanno complimenti. Soprattutto Carnera che, alla tredicesima ripresa, con un pugno molto potente mette al tappeto il suo avversario. Schaaf non si rialza. Perde per KO.
Carnera ha vinto. Sarà lui a sfidare Sharkey per il titolo mondiale. È galvanizzato. Ma l’euforia dura solo due giorni.
48 ore dopo l’incontro con Schaaf, riceve la notizia che il suo avversario è morto. In ospedale. Per emorragia cerebrale. Verosimilmente a causa dei pugni subiti da Carnera.
Quando Primo lo viene a sapere, è distrutto. È pieno di sensi di colpa e di rimorsi. Lui è un pugile, non un assassino. Per mesi si allontana dal ring, non vuole nemmeno vedere un paio di guantoni, poi però si fa convincere a tornare.
Lo aspetta l’incontro più importante della sua vita. Quello per il titolo di campione del mondo.
Di nuovo New York, di nuovo Madison Square Garden. Nel teatro dell’evento che ha rischiato di mettere fine alla sua carriera, Primo Carnera prova a sfidare i suoi limiti.
All’angolo opposto del ring, c’è Jack Sharkey. Tutto attorno a loro ci sono 40.000 persone.
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L’incontro inizia in modo equilibrato. Al sesto round però arriva il momento decisivo. Carnera sferra un montante destro potentissimo, che colpisce Sharkey in piena faccia. L’arbitro conta, Sharkey non si rialza. KO. È ufficiale, Primo Carnera ha vinto. È lui il campione del mondo dei pesi massimi. È lui il pugile più forte della terra.
Subito dopo la vittoria, Carnera scrive due telegrammi per annunciare la vittoria. Uno è destinato a sua madre. L’altro porta l’indirizzo di Palazzo Venezia a Roma. E il nome del destinatario è Benito Mussolini.
Ebbene sì. Non dimentichiamo che sono gli anni Trenta e che Primo Carnera è un atleta italiano che lotta per la fama internazionale. Il fascismo è sempre in cerca di personaggi simili, da usare come modelli, e lui si presta al gioco.
Ci crede davvero? Lo fa per convenienza? Ci crede solo perché è un ragazzo ingenuo e un po’ ignorante? Oggi è facile fare supposizioni, fatto sta che negli anni d’oro del fascismo, Primo Carnera è la faccia e il corpo del regime. Si presenta accanto a Mussolini a Palazzo Venezia, appare su giornali, manifesti e fumetti, si presenta anche sul ring indossando una camicia nera.
Ma il pugilato è lo sport più crudele. Bastano pochi secondi per passare dalla gloria alla polvere.
Carnera negli anni successivi difende il titolo due volte.
Sono due vittorie che lo esaltano e lo fanno sentire sempre più forte. Ma il terzo sfidante sembra fatto di un’altra pasta. Si chiama Max Baer ed è pronto a strappargli il titolo di campione del mondo.
La sfida tra Carnera e Baer si combatte ancora una volta al Madison Square Garden. Uno scontro feroce, che dura undici riprese durante le quali, a un certo punto, Carnera cade e si fa male a una caviglia. Sembra solo slogata, ma invece è proprio rotta. Lui stringe i denti, continua a combattere, ma alla fine perde per ko tecnico.
Dopo nemmeno un anno da campione del mondo, Carnera deve cedere la cintura.
Da lì comincia un lento, ma inesorabile, declino. Vince degli incontri importanti, ma ne perde altri dal valore piuttosto simbolico. Per esempio quello contro Joe Louis, all’epoca astro nascente del pugilato americano.
Come se non bastasse, ci si mette di mezzo la storia. Carnera passa indenne dalla seconda guerra mondiale, ma alla fine della stessa, le sue simpatie per il fascismo gli creano non pochi problemi. Rischia anche di essere fucilato dai partigiani, ma si salva per un pelo.
Di sicuro a quel punto la sua carriera nel pugilato è agli sgoccioli. Ci prova ancora per qualche anno, ma con scarsi risultati. Ormai quarantenne, decide di appendere i guantoni al chiodo con un record invidiabile di 70 incontri vinti.
Questo però non significa che smette del tutto di combattere. Anzi, torna al suo vecchio amore, la lotta libera. E poi si trasferisce in America dove inizia una seconda vita da attore del cinema. Hollywood ha sempre bisogno di uomini forzuti e nerboruti per i suoi kolossal e lui calza a pennello.
La salute però non è delle migliori. È inevitabile dopo una vita passata a prendere pugni. Da tempo è diabetico e vive con un solo rene. Negli anni Sessanta, scopre di soffrire anche di cirrosi epatica.
Quando capisce che gli rimangono pochi giorni da vivere, esprime il suo ultimo desiderio. Vuole morire a casa sua. A Sequals, dove tutto è cominciato.
E ci riesce. Nel paese che gli ha dato i natali, Primo Carnera esala il suo ultimo respiro il 29 giugno del 1967.
Di lui rimane una figura epica, quasi leggendaria, quella di un Ercole dei giorni nostri, grande e potente. Diverso dai pugili moderni, privo della velocità o della spacconeria di Mohammed Alì.
Ma si è preso comunque il suo posto nell’immaginario. Si è anche fatto perdonare l’imperdonabile, come la sua amicizia con Mussolini, ed è diventato un simbolo. Grande e forte, come tutti gli eroi.
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