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#51 – Dylan Dog, l’indagatore dell’incubo

Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 22 gennaio 2022.

Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale.

Per ascoltarlo, clicca qui.

Dylan Dog Salvatore racconta Podcast in italiano per stranieri

 

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Immaginate un film in cui i due protagonisti sono interpretati da Rupert Everett e Groucho Marx.

Strano, vero?

Sia perché i due attori appartengono a generazioni diverse, sia perché sembrano proprio incompatibili.

Rupert Everett, con il suo fascino britannico, la sua espressione seria e il suo accento affettato ha interpretato spesso personaggi drammatici.

Groucho Marx invece è stato un grande attore comico, protagonista di film e gag dai tempi del cinema in bianco e nero. Inconfondibile con i suoi baffi neri, gli occhiali e il sigaro sempre in bocca.

Che ci fanno insieme in un film?

Non sono insieme in un film, in realtà, ma in un fumetto.

Un fumetto italiano degli anni Ottanta.

Un momento. Vi starete chiedendo? C’era davvero un fumetto italiano negli anni Ottanta con protagonisti Rupert Everett e Groucho Marx?

No, non proprio.

Perché il fumetto non c’era solo negli anni Ottanta. C’è ancora.

E poi perché, tecnicamente, i suoi protagonisti non sono Rupert Everett e Groucho Marx, ma due personaggi ispirati a loro nell’aspetto e nel carattere.

Uno è tenebroso, malinconico e ha molto successo con le donne. L’altro scherza in continuazione e non riesce mai, ma davvero mai, a essere serio.

Lavorano insieme a Londra. Sono un investigatore privato e il suo assistente.

L’assistente è quello che somiglia a Groucho, si comporta come Groucho e si chiama… Groucho.

L’investigatore è quello che somiglia a Rupert Everett.

un duro dal cuore tenero. Un investigatore specializzato in casi molto strani. Quei casi che gli altri investigatori non accettano. Lui però sì.

Perché, come dice la targa sulla porta di casa sua, lui è un indagatore dell’incubo.

Lui è Dylan Dog.

Dylan Dog dunque è un fumetto. Uscito per la prima volta nel 1986 e che esce ancora oggi, a cadenza mensile.

Sono passati quasi quarant’anni dal primo numero, quattro decenni in cui Dylan Dog è diventato un mito per giovani, adolescenti e adulti.

Oggi, è innegabile, si vendono molti meno fumetti di quarant’anni fa. E questo riguarda anche Dylan Dog. Ma ci sono fan e collezionisti incalliti che non si perdono nemmeno una pagina di quelle dedicate al loro eroe.

Ma a cosa è dovuto questo grande successo?

Innanzitutto, alla grande intuizione di due persone. Sergio Bonelli e Tiziano Sclavi.

Alla fine degli anni Ottanta, Sergio Bonelli è il re del fumetto italiano. La casa editrice di cui è proprietario, la Bonelli edizioni, pubblica quasi tutti i titoli più popolari tra i lettori.

In particolare sono fumetti che hanno come protagonisti indiani e cowboy. Oggi può sembrare strano, ma quelle erano generazioni cresciute a pane e spaghetti western.

Gli eroi di questi fumetti sono un po’ monodimensionali. Bellissimi, fortissimi, onestissimi. Eroi tutti d’un pezzo. Senza ombra di errore.

Era normale. Erano stati creati dalla generazione che aveva vissuto la seconda guerra mondiale e che voleva vivere in un mondo chiaro e preciso. I buoni da parte, i cattivi dall’altra. E alla fine, i buoni vincono.

Con il tempo che passa e l’Italia che cambia, tuttavia, Tex e i suoi emuli sono eroi troppo perfetti.

I giovani italiani degli anni Ottanta sono una generazione in crisi d’identità. Sono stati bambini negli anni ’70, quelli del terrorismo politico, e cresceranno negli anni ’80, quelli del crack, dell’eroina, dell’Aids.

Nei fumetti questi giovani non cercano modelli impeccabili ed eroi perfetti, ma qualcuno che possano sentire vicino a loro e in cui possano immedesimarsi.

Qualcuno che parli delle loro paure e delle loro ansie, ma anche di quello che li appassiona e li fa ridere.

Ovviamente deve farlo nella forma di un fumetto. Con il linguaggio e gli schemi di un fumetto.

Sergio Bonelli non è nato ieri. Sa capire i segnali del suo pubblico. Pochi anni prima ha provato a lanciare una linea di fumetti d’autore, ma è stato un buco nell’acqua.

I lettori di Bonelli vogliono fumetti belli, ma allo stesso tempo popolari. Non troppo intellettuali. Vogliono azione, emozioni, colpi di scena.

Così un giorno, il vecchio Sergio chiama uno dei suoi sceneggiatori migliori. Tiziano Sclavi. Gli dà l’incarico che tutti i fumettisti del mondo sognano e allo stesso tempo temono. Gli dice: inventami un personaggio nuovo per un nuovo fumetto.

Sclavi pensa subito a un fumetto horror. Lui per primo ne è un grande fan. E poi ha una grande intuizione. Parlare delle paure dei giovani, le paure vere, esistenziali, trasformandole con paure classiche, da horror appunto. Così immagina subito un fumetto popolato di mostri, vampiri, zombie e scienziati pazzi.

Come protagonista vuole un detective. Il nome Dylan Dog esce quasi per caso. All’inizio doveva essere solo provvisorio. Poi rimane. Un detective, dicevamo. Dai tratti abbastanza classici, apparentemente. Misterioso, duro, affascinante, donnaiolo, ex alcolista. Sembra uscito da un vecchio romanzo americano. Dylan Dog però non sarà americano.

Sclavi decide di farlo vivere in Gran Bretagna, la patria del romanzo gotico, una terra piena di leggende a cui ispirarsi. E decide di dargli un assistente che sia il suo perfetto contraltare.

Tanto Dylan è serio, taciturno e tenebroso, quanto il suo braccio destro deve essere buffo, ciarliero e ridanciano. Su di lui, Tiziano Sclavi è sicuro quasi da subito. Deve somigliare a Groucho Marx. Anzi no, deve essere proprio come lui. Così nasce l’idea di Groucho, l’assistente un po’ imbranato, con un gusto discutibile per le freddure e gli scherzi inopportuni. La sua funzione narrativa è quella di stemperare un po’ il clima delle storie, piene di brividi e di mistero.

Se il personaggio di Groucho è praticamente già pronto, quello di Dylan Dog è un po’ più difficile da creare. Il disegnatore incaricato, Claudio Villa, propone una prima bozza che a Tiziano Sclavi non piace. Lo ha disegnato con un tipico volto latino, un po’ spagnoleggiante. Non va bene con Londra sullo sfondo. Così Sclavi decide di tagliare la testa al toro. Dice a Villa: oh, stasera vai al cinema, danno un film con Rupert Everett. Prendi ispirazione dalla sua faccia. Dylan Dog io me lo immagino così. Villa obbedisce, va al cinema con matita e taccuino e prepara i primi schizzi. Ci siamo, la strada è quella giusta.

Bisogna aggiungere qualche dettaglio però. Per esempio il vestiario. Dylan Dog si veste in modo sempre uguale. Cascasse il mondo, indossa sempre una camicia rossa, un paio di jeans, una giacca nera e ai piedi un paio di Clarks.

E poi le abitudini, Dylan è un ex alcolista, non fumatore, vegetariano, pieno di tic e piccole manie. Suona il clarinetto, costruisce un modellino di veliero che sembra non finire mai, si innamora letteralmente di ogni donna che incontra e finisce puntualmente deluso.

Ma la sua attività principale, come dicevamo, è quella di indagatore dell’incubo.

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I casi di cui si occupa riguardano vicende talmente incredibili che le persone non se la sentono di rivolgersi alla polizia o agli investigatori tradizionali. Vanno da Dylan Dog perché sanno che lui è pronto ad ascoltare le loro storie incredibili. Non sa bene perché, visto che lui stesso è molto scettico a proposito dei fenomeni sovrannaturali, eppure lo fa. Di fronte a chi gli parla di morti che sembrano vivi, di vampiri, di mostri, lui non batte ciglio, ascolta attentamente e accetta sempre il caso.

Tra Londra, dove vive, e la Scozia, dove viaggia spesso, i casi di questo tipo si moltiplicano indagine dopo indagine. Dylan Dog, nel tentativo di risolverli, viene spesso coinvolto direttamente e rischia continuamente la vita assieme al fidato Groucho che, persino a un passo dalla morte, non smette di scherzare.

All’inizio, sappiamo di Dylan che è un ex poliziotto con un grande trauma alle spalle: la morte dell’amore della sua vita, Lillie Connolly, una giovane irlandese, attivista rivoluzionaria, morta in carcere in seguito a uno sciopero della fame. È a causa sua che Dylan Dog è stato un alcolista ed è in suo onore che si veste sempre nello stesso modo. Nel modo in cui era vestito il giorno del loro ultimo incontro.

Nonostante sia fedele al ricordo di Lillie, Dylan è anche uno sciupafemmine appassionato. Le sue clienti sono spesso giovani donne molto attraenti e lui le corteggia sfacciatamente dall’inizio alla fine. Finendo deluso il più delle volte.

Del suo passato, scopriamo lentamente elementi inaspettati e terribili. Che rendono i traumi di Dylan ancora più profondi. Per esempio, l’identità del suo vero padre, Xabaras, un alchimista che ha scoperto il siero della vita eterna e che per molti episodi è il suo peggior nemico. Oppure l’identità della madre, Morgana. Anche lei, come Xabaras, è diventata immortale e quando Dylan la incontra, senza sapere chi sia davvero, se ne innamora. Scenari sorprendenti che lasciano di stucco sia il protagonista che i lettori.

Insomma, in questo mondo a metà strada tra una realtà riconoscibile e un’altra realtà dove niente è quello che sembra, non è facile essere Dylan Dog!

Per circa 400 numeri, la struttura degli albi di Dylan Dog è stata abbastanza rigida. Come succede spesso nel fumetto, i protagonisti non cambiavano molto né invecchiavano, restando fedeli a quelli che erano nel primo episodio. Dal numero 401 in poi sono arrivate delle modifiche, la creazione di un nuovo multiverso, ma mantenendo lo stile di un tempo.

Tiziano Sclavi, il creatore di Dylan Dog, da anni non scrive più storie in prima persona, ma non ha del tutto abbandonato la sua creatura. Continua a lavorare facendo da supervisore.

In un mondo in cui si leggono sempre meno fumetti, Dylan Dog continua a essere un oggetto di culto, amato non solo dagli appassionati di fumetti ma anche dai lettori che di solito sono un po’ scettici verso questo genere considerato a volte sempliciotto e infantile.

Sembrerà banale da dire, ma la forza di Dylan Dog è nella sua qualità. L’attenzione ai dettagli nei disegni, all’inizio della serie, era la cosa più apprezzata. In particolare nei primi albi, quelli degli anni Ottanta e Novanta, Dylan Dog era davvero un fumetto splatter dove le scene con vampiri, zombie e altri mostri erano ritratte perfettamente. In modo crudo, da fare venire la pelle d’oca.

Ma parliamoci chiaro, nel mondo di oggi non si può impressionare nessuno con il disegno di un mostro che si strappa la pelle dalla faccia o con una scena di zombie che escono dalle case e circondano i protagonisti.

Il grande successo di Dylan Dog sta nel fatto che i mostri evocati fanno paura durante la lettura della storia e anche dopo la lettura della storia. C’è sempre qualcosa di più profondo dietro le storie di Dylan Dog, un tarlo che si insinua nella testa senza uscirne.

Vampiri, zombie e altre creature sovrannaturali ci fanno paura e ci sembrano assurdi. Dopo averli eliminati però, cosa ci resta? Di certo non un mondo ideale. Come dice un personaggio in uno degli episodi più belli, forse non sono normali i vampiri, ma la guerra, le classi sociali, la prepotenza sono cose normali?

La morale è che ci sono molto dolore e molto orrore nella vita che facciamo ogni giorno. E combattendo mostri inventati, Dylan Dog ci mostra l’orrore invincibile dei mostri reali. È questa la sua grande forza.

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