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#5 Coppi e Bartali

Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 3 aprile 2021.

Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale

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Coppi e Bartali

 

 

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Milano, gennaio 1946. Nella redazione della Gazzetta dello Sport c’è molto entusiasmo. I giornalisti sono tornati al lavoro da pochi mesi, dopo la chiusura per la guerra. Ora sono pronti ad annunciare una grande notizia. Fra sei mesi esatti, torna il Giro d’Italia.

Sembra un po’ assurdo forse. Nel ’46, quando la guerra è finita da pochi mesi, come si può pensare al Giro d’Italia?

Il Paese è devastato, le strade sono distrutte, gli ospedali sono pieni, i negozi vuoti. Manca praticamente tutto e questi si mettono a organizzare una gara di biciclette?

La risposta, banalmente, è: sì. L’Italia uscita dalla guerra era piena di divisioni e di ferite. E con solo due certezze. La fine del fascismo e la voglia di ricostruire una vita normale. E in una vita normale ci sono tante cose, e anche le gare di biciclette.

Perché prima della guerra il ciclismo era lo sport nazionale. C’era il calcio, certo. Che piaceva a molti, ma non ancora a moltissimi. E per giocare a calcio servivano tante persone, un campo, un pallone.

Una bicicletta invece ce l’avevano praticamente tutti. Quello era un mondo con poche macchine e dove la benzina era carissima. Tutti andavano in bici e potevano capire e amare il ciclismo.

Nel ’46, quando la Gazzetta annuncia il ritorno del Giro, non si corre da sei anni. L’ultimo Giro d’Italia è stato nel 1940 ed è finito esattamente un giorno prima dell’entrata in guerra dell’Italia.

Dopo quella lunga pausa, gli appassionati sono curiosi di sapere chi sarà il nuovo campione italiano.

I candidati sono due. Uno era già fortissimo prima della guerra. È un toscano dal fisico tozzo, duro come la roccia, di carattere è un po’ burbero, e sui pedali è tutto cuore e istinto. Si chiama Gino Bartali. L’altro è un piemontese, alto e magrissimo, in bicicletta è razionale e preciso, sembra un robot. Il suo nome è Fausto Coppi.

 

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Bartali e Coppi, Coppi e Bartali. Sono loro l’argomento più popolare, quasi ossessivo, in tutti i bar e in tutte le piazze d’Italia. Tra una partita a carte e un bicchiere di vino, tutti discutono di questo. Chi è più forte? Chi vincerà il Giro del ‘46?

Moltissimi dicono Coppi. Ha 29 anni ed è al massimo della forma.

Altri, e non sono pochi, dicono Bartali. È vero, ha 34 anni, che per un ciclista sono tanti, ma prima della guerra era lui il più forte di tutti.  Senza alcun dubbio.

Gino Bartali ha vinto il suo primo Giro d’Italia a 22 anni. Sorprende tutti con la sua potenza e con la sua tenacia. Soprattutto in montagna. È un talento nato, e pronto a dominare.

E pensare che, dopo la prima vittoria al Giro, pensa già di mollare tutto, di ritirarsi. Suo fratello Giulio, ciclista anche lui, muore in seguito a un incidente. E per Bartali è un trauma terribile.

Il motivo che gli fa cambiare idea si chiama Adriana. È una giovane commessa fiorentina, timida ma molto  carina. Bartali la vede tutti i giorni, perché beve il caffè in un bar di fronte al negozio dove lei lavora. Presto saranno marito e moglie.

Motivato da Adriana, e dall’idea di avere una famiglia, Bartali allora torna sui pedali. L’anno dopo vince di nuovo il Giro d’Italia. E partecipa, per la prima volta, al Tour de France.

Naturalmente è felicissimo di farlo. Ogni ciclista sogna di partecipare al Tour. Bartali sogna anche di vincerlo. Ha tutte le carte in regola per farlo, ma quella prima volta la sfortuna gli mette i bastoni fra le ruote. Cade, si fa male, è costretto a ritirarsi.

Intanto, però, la pressione su di lui è molto forte. Non solo quella dei tifosi, che già lo adorano, ma anche della politica.

Perché, bisogna ricordare, prima della guerra, in Italia governano i fascisti. E Mussolini è uno che lo sa che lo sport è uno strumento di propaganda potentissimo. Per l’immagine dell’Italia nel mondo, sarebbe perfetto avere un ciclista italiano che vince il Tour de France. E se qualcuno può farlo in quel momento, è proprio Gino Bartali.

Che così nel 1938, ha una missione. Vincere il Tour, e farlo per l’onore dell’Italia.

Bartali di queste pressioni non è molto contento. Sia perché ha un caratteraccio, sia perché per il fascismo non ha nessuna simpatia, anzi. Però è anche un professionista. Ha conquistato due volte la maglia rosa, simbolo del Giro, ora vuole la maglia gialla che tocca ai vincitori del Tour.

Il Giro e il Tour sono abbastanza simili, ma il Tour è più duro. Perché è più lungo, le sue montagne sono più alte, e le condizioni meteo sono imprevedibili.

Sulle montagne francesi, anche a luglio, fa molto freddo. I ciclisti pedalano per ore in salita, senza fermarsi, mentre piove, c’è vento, addirittura nevica. Praticamente è una gara di resistenza fisica.

Su quelle montagne infernali, nel fango e nella neve, Bartali dimostra di essere il più resistente. Il più duro di tutti. Il giorno dell’arrivo a Parigi, la maglia gialla, sporca di fango, è sua. Ha vinto il Tour de France.

Alla cerimonia di premiazione, tutti si aspettano che ringrazi Mussolini. Bartali però non lo fa. Ed è un piccolo scandalo. I giornali italiani, che sono tutti controllati dai fascisti, smettono di trattare Bartali come un dio e iniziano addirittura a ignorarlo.

A lui questo non importa. E forse nemmeno a molti altri. La situazione in Europa è sempre più critica. C’è aria di guerra. E nel settembre del 1939, con l’invasione nazista della Polonia, arriva la conferma.

Per un po’, in Italia la vita continua quasi normalmente, anche se in un clima molto strano. Nella primavera del ‘40, i soldati nazisti entrano in Francia, e in Italia si corre ancora il Giro.

Bartali è ancora una volta il favorito, ma ha un incidente, per colpa di un cane. Cade e si fa male. Non è nulla di grave, può continuare, ma ha perso molto tempo e non ha più possibilità di vincere. Decide allora che aiuterà a vincere un giovane compagno di squadra. Un ragazzo molto promettente che lui stesso ha voluto nella sua squadra. Quel ragazzo è un giovanissimo Fausto Coppi.

Coppi ha solo 21 anni, ma ha la stoffa del campione. Bartali lo ha notato, ha l’occhio lungo. E durante quel Giro, visto che lui non può più vincere, spinge Coppi a farlo. Siccome il ragazzo è bravo, ma non ha esperienza, Bartali lo esorta, lo carica, lo provoca anche. E Coppi alla fine vince il suo primo Giro d’Italia.

Non ha molto tempo per festeggiare, però. Come dicevamo, il giorno dopo l’Italia entra ufficialmente in guerra.

 

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Bartali viene arruolato nell’esercito, ma ha una leggera aritmia e il medico dice che non può partire per il fronte. Così, resta in Italia. Vive anni molto duri, con pochi soldi, tanta paura. La maggior parte del tempo, va in bicicletta tra la Toscana e l’Umbria. Dice a tutti che si sta allenando per quando ricominceranno le corse.

È vero, ma fino a un certo punto. In quei mesi Bartali non va in bicicletta solo per allenarsi. Trasporta segretamente documenti falsi per salvare gli ebrei italiani dalla deportazione nei lager. Con i soldati nazifascisti che lo fermano lungo la strada, Bartali ha salvato moltissime vite, rischiando la sua tante volte.

Negli stessi anni, Coppi partecipa alle gare su pista, guadagna tanti soldi e conquista tanti record. Poi è il momento di andare al fronte, lo mandano a combattere in Africa, ma gli inglesi lo catturano subito e lui passa due anni da prigioniero.

Quando torna in Italia, la gente si ricorda di Fausto Coppi. Lui ha bisogno di una bicicletta per tornare in forma. E la ottiene in un modo molto particolare.

Quando è da poco arrivato a Napoli, si presenta a un giornale locale e dice più o meno così: Buongiorno, sono Fausto Coppi e ho bisogno di una bicicletta. Il direttore mette la richiesta in prima pagina e il giorno dopo Coppi riceve una bici in regalo da un tifoso. Può ripartire.

Così arriviamo al punto da cui abbiamo iniziato. Al Giro del 1946.

Lo chiamano il Giro della rinascita. Davanti a tutti ci sono naturalmente Coppi e Bartali. Non sono più compagni di squadra, ma rivali. Tutti e due vogliono vincere.

Inizia così una rivalità diventata leggendaria. Quell’anno, vince Bartali e Coppi arriva secondo con pochissimo ritardo. L’anno dopo, vince Coppi, con Bartali secondo con pochissimo ritardo.

Nel frattempo, la nuova Italia sta prendendo forma. C’è stato un referendum con cui gli italiani hanno scelto di abolire la monarchia e fondare la repubblica. Inoltre si preparano le elezioni per scegliere il nuovo parlamento. I due partiti più forti in quel momento sono i democratici cristiani, o democristiani, e i comunisti.

Sono due visioni del mondo molto diverse. E gli italiani si dividono in modo radicale. Così come si dividono, tra tifosi di Coppi e tifosi di Bartali.

Nel 1948 succedono due cose molto importanti. I democristiani vincono le elezioni, e gli italiani tornano al Tour de France. Non è una cosa semplice. Italia e Francia sono state nemiche durante la guerra. E i tifosi francesi non hanno nessuna simpatia per i ciclisti italiani.

Bartali in quel momento si sente perseguitato. In Italia, gli dicono tutti che è vecchio, che lui è il passato e Coppi è il futuro. I tifosi avversari lo insultano e lo provocano, e lui a volte risponde. Con le parole, e anche con le mani. Anche in Francia, giornali e tifosi lo trattano male. Ovviamente tifano per i ciclisti francesi.

Così Bartali in Francia corre contro tutto e contro tutti.

All’inizio fatica, sembra che per lui non ci siano speranze. Poi però, in montagna, la musica cambia. Bartali fa quello che ha fatto dieci anni prima. Quando gli altri perdono la forza e la motivazione, lui continua a lottare. E alla fine vince. L’entusiasmo in Italia è grande e fa dimenticare anche la politica. Almeno per un po’.

Bartali è molto felice. Ancora non lo sa, ma quella sarà la sua ultima vittoria importante.

Coppi invece è pronto a vincere ancora molto. Praticamente tutto. Anche se nel frattempo ha alcuni problemi personali.

Succede che nel 1948, durante una gara, conosce una donna molto elegante e sua grande tifosa. Si chiama Giulia Occhini ma diventerà famosa sui giornali come la Dama Bianca. Coppi e la Dama Bianca si innamorano e vorrebbero vivere insieme. Il problema è che Coppi è sposato, e la Dama Bianca anche. Nell’Italia degli anni Quaranta il divorzio non esiste e per una relazione extra-coniugale si può andare anche in prigione.

Così la loro storia d’amore somiglia a una telenovela. I due vivono insieme di nascosto, la polizia entra in casa loro come se fossero dei criminali. A Coppi sequestrano il passaporto mentre la Dama Bianca è costretta ad andare ogni domenica in questura a firmare un foglio di presenza davanti ai poliziotti. Tempo dopo lei, incinta del figlio di Coppi parte per l’Argentina. Il bambino, che in Italia sarebbe illegittimo secondo la legge, nasce a Buenos Aires e può chiamarsi Faustino Coppi.

Questa situazione non impedisce a Fausto Coppi, quello vero, di dominare il ciclismo.

Nel ’49, il più forte di tutti è lui. Bartali comincia a essere davvero un po’ vecchio, inoltre gli piace la bella vita: mangiare bene, bere vino, ogni tanto anche fumare il sigaro. Cose che oggi sembrano impensabili per un atleta professionista. Coppi invece in questo è modernissimo. Fa una dieta molto severa e studia continuamente la meccanica e l’aerodinamica della sua bicicletta.

Anche grazie a questo, nel ‘49 fa una cosa che sembrava impossibile. Vince il Giro e il Tour nello stesso anno. E ci riesce di nuovo, nel 1952. Per anni, il signore delle strade d’Italia e d’Europa è Fausto Coppi.

Alla fine, Bartali ha vinto tre volte il Giro e due volte il Tour. Coppi ha vinto cinque volte il Giro, due volte il Tour e una volta i campionati del mondo. I numeri dicono che tra i due, il più forte è stato Coppi.

Ma le imprese di Bartali sono state più sofferte. Come ha detto una volta lo scrittore Curzio Malaparte, Bartali è un eroe romantico, ultimo erede della vecchia Europa del XIX secolo. Coppi è un eroe razionale e materialista, esponente puro della nuova Europa del XX secolo.

Anche se sono stati per tutta la carriera grandi rivali, Coppi e Bartali non erano così diversi come i giornali a volte li hanno raccontati. Nell’Italia spaccata tra democristiani e comunisti, molti associavano Bartali ai democristiani. Perché era molto cattolico, perché era sempre stato fedelissimo alla moglie, perché quando vinceva, gli arrivavano i telegrammi di congratulazioni anche dal Papa. E invece Coppi, che aveva scandalizzato tutti abbandonando la moglie, era associato ai comunisti. Oggi sappiamo che Coppi comunista non lo è mai stato. È vero, è andato contro la chiesa, ma si è sempre ritenuto un sincero cattolico. Nonostante quello che dicevano i giornali.

C’è anche un aneddoto simpatico a riguardo. Pare che un giorno un gruppo di lavoratori abbia accolto il ciclista con un mazzo di garofani rossi, i fiori simbolo del movimento operaio, e che lui abbia reagito dicendo: “bene, grazie, adesso però portateli all’altare della Madonna per favore”.

Insomma, Coppi e Bartali erano diversi sotto tanti aspetti, ma nello spirito erano molto simili. Rivali, ma leali, come mostra la famosa foto della borraccia che è anche copertina di questo episodio.

La morte, invece, li ha divisi. Fausto Coppi è morto tragicamente giovane, nel 1960. Tornato da un viaggio in Africa, ha scoperto di avere la malaria. Che lo ha ucciso in pochi giorni.

Al funerale, oltre a tutta la famiglia, ci sono pochi amici fidati. E tra loro, il rivale di sempre, Gino Bartali.

Che a sua volta è morto quarant’anni dopo, nel 2000, nella sua casa di Firenze, con a fianco la sua amata moglie Adriana.

Coppi e Bartali non sono solo due ciclisti. Sono i nomi e i volti di un mondo che non esiste più.

L’Italia del dopoguerra e del boom economico è stata ispirata anche da due uomini sui pedali, amici e rivali, simboli eterni.

 

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