#47 – Lucio Battisti
Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 22 gennaio 2022.
Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale.
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Immaginate di essere a una festa. Una cosa informale, un po’ di amici, una bottiglia di vino e una chitarra.
Qualcuno impugna la chitarra e inizia a suonare qualcosa. Non è propriamente un virtuoso, magari suonava in passato ma adesso è un po’ arrugginito. Qualche accordo però se lo ricorda ancora.
Inizia a suonare un giro di Sol. Il giro armonico più classico da fare alla chitarra. Sol maggiore, Mi minore, La minore, Re di settima.
Suona il giro un paio di volte e poi all’improvviso tutti cominciano a cantare. Non si sono messi d’accordo. Non serve. A tutti viene naturale cantare questa canzone:
Le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi…
La conoscono tutti. Parla di giorni d’estate, ricordi di primi amori, profumi e immagini della giovinezza.
Sembra una canzone molto semplice. Un’armonia elementare, immagini quotidiane, e pure il titolo: La canzone del sole.
In realtà La canzone del sole, dentro la sua semplicità, è una canzone molto profonda, quasi poetica. E la musica alla base, benché sembri una melodia buona per qualsiasi chitarrista della domenica, è più ricercata di quanto sembri.
Proprio questo mix speciale di semplicità e complessità, di elementi quotidiani e altri molto ricercati, è il segreto del successo di questa canzone e di tutte le altre del suo autore.
Un ragazzo riservato, addirittura timido, che però sul palco si trasformava, cantando con un grande trasporto emotivo le canzoni su cui aveva lavorato per tanto tempo, definendo i dettagli a un livello maniacale.
Un ragazzo che incantava con la sua voce. Anche se era una voce strana, un po’ sgraziata, apparentemente inadatta al canto.
Quel ragazzo lì, una nuvola di capelli ricci su una faccia innocente, ha rivoltato il mondo della musica leggera come un calzino.
Quel ragazzo era Lucio Battisti, il rivoluzionario timido della canzone italiana.
Più di 25 milioni di dischi venduti per circa 20 album incisi. Sono questi i numeri di Lucio Battisti. Numeri di primissimo piano.
Ma come ci è arrivato?
È nato nel 1943 a Poggio Bustone, una cittadina del Lazio, circa 100 km a nord di Roma. I genitori sono persone semplici, senza tanti grilli per la testa.
Soprattutto il padre, Alfiero. Un dipendente statale, cresciuto con l’idea che la cosa più importante nella vita sia trovare un posto fisso per vivere tranquilli. Con questi ideali cresce anche i suoi figli, e infatti non è contento quando un Lucio quattordicenne gli chiede come regalo una chitarra. Alla fine però, gliela compra, e Lucio inizia a suonare.
Per gioco, imitando le melodie che sente alla radio. Quel gioco però diventa sempre più intrigante, fino a che il ragazzo non comincia a trascurare la scuola perché sta tutto il tempo con la chitarra in mano.
A papà Alfiero questo non piace. Lucio deve diplomarsi e trovarsi un lavoro, mica perdere tempo a strimpellare. Un giorno torna a casa dal lavoro, vede che il figlio anziché studiare prova accordi alla chitarra e così -furioso- gliela toglie dalle mani e gliela rompe in testa.
Preso da compassione, gliene compra un’altra. Però il messaggio è chiaro. La chitarra è bella, e va bene, ma devi studiare.
In quel periodo storico, per tutti i ragazzi italiani che hanno compiuto 18 anni c’è l’obbligo del servizio militare per due anni. Lucio può ottenere l’esenzione, e quindi non partire, in quanto suo padre è un invalido di guerra. Solo che a firmare la richiesta deve essere Alfiero. Che propone al figlio un patto.
Lucio si impegna a finire la scuola e prendere il diploma. In cambio, Alfiero gli firmerà la richiesta di esenzione e gli permetterà di usare quei due anni liberi per provare a guadagnarsi la pagnotta con la musica. Visto che. Affare fatto.
Nel 1962 Lucio Battisti ha 18 anni e prende il diploma di scuola. Non parte per la leva, ma per Napoli in cerca di una band.
Trova però poche occasioni e molte delusioni. Dopo un anno, torna a casa con le pive nel sacco. È pronto anche a rinunciare, ma improvvisamente incontra Roby Matano, all’epoca leader de I campioni, un gruppo che ha all’attivo già qualche disco. Matano ha bisogno di un nuovo chitarrista, sente Lucio e lo vuole con sé. È un’occasione inaspettata, arrivata proprio quando tutto sembrava andare a rotoli.
In men che non si dica, Lucio Battisti si trasferisce a Milano per lavorare a tempo pieno come nuovo chitarrista de I campioni.
È l’inizio di una grandissima storia.
Clicca qui per scaricare il pdfSuonando con la sua nuova band, in Italia e anche all’estero, Lucio Battisti ha il suo vero battesimo musicale.
Accumula esperienza e abilità, e scopre che oltre a suonare la chitarra è bravino anche a comporre canzoni. Ne fa ascoltare alcune a Matano e addirittura ne suonano un paio durante i concerti de I campioni.
Con questa spinta di autostima, Battisti decide di fare un passo avanti. Nel 1965, sempre a Milano, ottiene un provino in una casa discografica. Per fare sentire le sue canzoni e capire se possono funzionare.
Possono, possono sì. I discografici sentono di avere messo le mani su un diamante grezzo. Siccome Battisti scrive la musica, ma non i testi, lo fanno incontrare con il paroliere Giulio Rapetti, meglio conosciuto con il suo nome d’arte Mogol.
Che vuol dire che Mogol è un paroliere? È una specie di scrittore, specializzato nello scrivere canzoni. Un lavoro delicato. Le melodie di Battisti poi sono un po’ diverse da quello che si sente di solito. Per unirle alle parole giuste serve un vero maestro. E per fortuna, Mogol lo è.
Battisti-Mogol sarà una coppia di nomi che per i prossimi anni dominerà il panorama musicale italiano, ma ci vuole tempo per oliare il meccanismo tra l’esperto Mogol e il giovane Battisti. Inoltre, Mogol pensa che Lucio dovrebbe cantare le sue canzoni, invece lui all’inizio non ci pensa proprio. È troppo timido Scrivere è un conto, cantare un altro.
Alla fine Mogol lo convince a cantare. È una scelta lungimirante, ma anche rischiosa. La voce di Battisti è particolare. Alta, un po’ stridula, non ha la dolcezza né il calore tipici dei cantanti di musica leggera.
Infatti alla casa discografica all’inizio puntano i piedi. Farlo cantare? Non se ne parla! Mogol però insiste, e forte del suo carisma, riesce a fare accettare ai discografici sua scommessa.
Una scommessa vinta alla grande. A partire dal 1968.
Il 1968 è un anno incredibile per tutta l’Europa. In Cecoslovacchia comincia la primavera di Praga. In Francia, e poi anche in Italia, scoppia la rivolta studentesca.
Anche per la musica, è un anno fondamentale: esce White Album dei Beatles. Più in piccolo, in Italia, esce il primo 45 giri di Lucio Battisti. Contiene la sua prima canzone diventata famosa: Balla Linda. Il testo ovviamente è di Mogol.
Sembra una canzone come le altre, parla di una bella ragazza di nome Linda, di cui sappiamo quasi solo che ama ballare. Leggera, come deve essere una canzone italiana in quegli anni. Però è anche l’inizio di una rivoluzione. Negli arrangiamenti, piuttosto beatlesiani, nel ritmo e anche nello stile.
È un successo che fa conoscere Battisti in giro e gli vale anche l’invito a partecipare in prima persona al festival di Sanremo, nell’edizione del 1969.
Lucio si presenta a Sanremo, il tempio un po’ conservatore della canzone italiana, e sembra un alieno appena sceso dall’astronave. Vestito con una giacca da studente, con un enorme foulard davanti e la sua nuvola di lunghi capelli ricci in testa, presenta una canzone molto innovativa. L’avventura.
I giornalisti non sono teneri nei giudizi su di lui. Ne criticano la voce, l’aspetto e anche la canzone. Alla fine del festival, si classificherà nono. In realtà però è già lanciato verso il successo.
Per tutti gli anni settanta, i singoli e gli album firmati da Battisti e Mogol sono in cima alle classifiche dei dischi più venduti.
Sono canzoni che in Italia tutti hanno ascoltato almeno una volta, alcune talmente famose che bastano due note per riconoscerle. Cercatele, brani come Acqua azzurra, acqua chiara, La canzone del sole, I giardini di marzo, Il mio canto libero. Dischi da centinaia di migliaia di copie vendute.
Con la sua aria sbarazzina e le sue canzoni leggere, Battisti conquista il pubblico tradizionale della musica leggera, ma anche ascoltatori più raffinati, attratti dai testi semplici ma intriganti e dalle melodie ricche di piccole novità, una continua sorpresa nel repertorio un po’ stantio della canzone italiana.
Mogol e Battisti portano avanti una rivoluzione gentile. Non cambiano quasi nulla, ma cambiano quasi tutto.
Come si sente lui in questo ruolo di alfiere della nuova canzone italiana? Non molto bene, per la verità. Almeno, non a livello mediatico.
Quando ha scelto di diventare un musicista, ha fatto una scelta consapevole, sapeva a cosa andava incontro. La notorietà a tutti i costi però non gli piace. Si sforza di tenere lontani i giornalisti e di mantenere una vita riservata e nascosta. Intanto il sodalizio con Mogol si fa sempre più stretto. I due fondano insieme una casa discografica, la Numero Uno, e fanno anche un viaggio a cavallo, un po’ improbabile, da Milano a Roma che sarà di grande ispirazione per entrambi.
In tutto quel grande successo, Battisti non piace proprio a tutti. Come dicevamo, in Italia c’è stato il 68 e molti cantautori hanno scelto la strada della musica impegnata. Scrivono canzoni dai testi politici e sociali, si fanno bardi del sentimento popolare. Battisti invece? Continua a scrivere le sue canzonette d’amore, piene di sospiri, capelli biondi e baci sperati. Qualcuno nell’ambiente musicale fa girare la voce che Lucio non si impegni politicamente per le battaglie del 68 perché in realtà è un simpatizzante di estrema destra. Per la verità, sembrano speculazioni senza molto senso, visto che su temi politici lui non si è mai esposto nemmeno minimamente.
Intanto, dopo dieci anni di vita e lavoro gomito a gomito, Battisti e Mogol sentono di dovere prendere strade separate. Senza rancore né rabbia, chiudono la collaborazione. Un’era è appena finita. Un’altra sta per cominciare.
Quando gli chiedono del divorzio artistico da Mogol, Battisti spiega che si tratta di divergenze creative. Il paroliere ama essere originale, ma nel solco della tradizione. Lucio invece ha voglia di continuare a sperimentare.
Lo fa già nel suo primo album pubblicato senza Mogol. Esce nel 1982 e si chiama E già. Rispetto ai vecchi dischi di Battisti, è tutta un’altra storia. Non solo nei testi, scritti dalla moglie, ma anche nella musica. Al posto degli strumenti acustici tradizionali, riempie le nuove canzoni di suoni elettronici e tanto uso del sintetizzatore. Per la musica italiana di allora è veramente roba esotica. Il disco vende bene, perché Battisti è Battisti e la gente lo compra a occhi chiusi, ma i numeri non sono gli stessi di prima.
C’è un altro passo da fare, però. Nel 1982, Lucio incontra il poeta Pasquale Panella e inizia a collaborare con lui come paroliere.
In coppia, i due pubblicano diversi album totalmente sperimentali. I testi di Panella sono ermetici, quasi esoterici, del tutto incomprensibili per la maggior parte delle persone. Anni luce lontani dalla dolce quotidianità dei successi degli anni 70. Il disco più sperimentale della collaborazione esce nel 1994 ha un titolo che è tutto un programma: Hegel.
Sì, Hegel. Proprio come il grande filosofo tedesco. Sono dischi strani, che incuriosiscono e allo stesso tempo insospettiscono. Tuttavia, nel 1998, quattro anni dopo Hegel, tutti aspettano il nuovo album con grande curiosità.
Ricevono invece un’altra notizia. Inaspettata, violenta, dolorosissima. Il più famoso cantante italiano è ricoverato in ospedale a Milano in condizioni gravi. La famiglia non vuole divulgare i dettagli.
Otto giorni dopo il ricovero, il 9 settembre del 1988, viene comunicata la notizia che tutti temevano: Lucio Battisti è deceduto. Nel rispetto della sua discrezione, la vedova e gli amici organizzano un funerale privato per pochissimi ospiti. Tra loro, c’è ovviamente Mogol.
Si può immaginare l’Italia di oggi senza Lucio Battisti. Sinceramente, no. Proprio per la forza magnetica con cui le sue canzoni sono ricordate e cantate da tutti. Canzoni, almeno le più famose, fatte di parole e immagini semplici, che appartengono alla vita di tutti. A prescindere dalla classe sociale, dalla generazione, dalle idee politiche. Possono anche non piacere, ovviamente, ma sono lì, un monumento eterno.
Come un monumento eterno è anche la figura di Lucio Battisti. Con i suoi capelli folti e disordinati, e il sorriso timido di un rivoluzionario gentile.
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