#46 – Falcone e Borsellino
Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 29 gennaio 2022.
Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale.
Per ascoltarlo, clicca qui.
Clicca qui per scaricare il pdf
Oggi Palermo è una città vivace, colorata, rumorosa. Piena di motorini che spuntano da tutti i lati, odore di cibo, commercianti che gridano, ragazzi che giocano a pallone.
Era così anche trent’anni fa. Più o meno. Con la differenza che trent’anni fa a Palermo, oltre a tutto questo, c’era anche molta paura.
Per tutti gli anni Settanta, Ottanta e parte dei Novanta a Palermo moriva qualcuno ogni giorno. Nei modi più brutali.
In quegli anni a Palermo si combatteva una guerra. Non sto esagerando. Una vera e propria guerra. Una guerra di mafia.
E anche una guerra tra la mafia e l’antimafia. Tra il potere antico e radicato di famiglie che controllavano il territorio e uomini dello Stato che provavano a portare la legalità.
Due uomini in particolare ci hanno provato. Due magistrati.
Che con anni di faticoso lavoro hanno scoperchiato la struttura della mafia tenuta segreta dall’omertà. C
he per la prima volta nella storia hanno catturato e condannato boss mafiosi tra i più spietati e violenti.
È grazie a loro che la mafia è molto più debole di un tempo, meno radicata, meno protetta dal silenzio spaventato dei siciliani.
Loro però, che hanno combattuto questa guerra in prima linea, hanno pagato caro il loro intervento. Perché chi era più in alto di loro non ha potuto, o non ha voluto, proteggerli a sufficienza.
Oggi per lo Stato italiano sono eroi. Hanno vie che portano i loro nomi, e anche piazze, monumenti, aule universitarie. Quello che conta però è che sono modelli per una società finalmente diversa da quella in cui loro stessi vivevano.
Sono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, due vittime della mafia, due eroi siciliani.
Abbiamo detto che Falcone e Borsellino erano due magistrati. In particolare due pubblici ministeri, ovvero cariche pubbliche con lo scopo di cercare i criminali per iniziare un processo contro di loro.
Falcone e Borsellino lavoravano nella procura di Palermo, quasi coetanei e attivi nello stesso campo: la lotta alla mafia.
All’inizio degli anni Ottanta il concetto di mafia per le persone era ancora vago, anche se tutti più o meno sapevano come funzionava. Perché sembrava che in Sicilia funzionasse così da sempre.
C’era quest’idea, radicata, che quando avevi bisogno di qualcosa di importante non dovevi rivolgerti alle istituzioni, che tanto era inutile, ma a qualcuno che in città o in paese contava qualcosa. Bisognava bussare alle porte giuste.
Le persone dietro quelle porte giuste sono diventate negli anni sempre più consapevoli della propria autorità, la hanno trasformata in potere e poi in oppressione. Si sono trasformati nella mafia.
Solo che non era chiaro come funzionasse davvero. Erano tutti sospetti, pensieri, voci di corridoio, ma alla fine della fiera nessuno parlava.
Perché quel sistema parallelo, non riconosciuto dallo Stato, conveniva a molti. Chi era bravo ad averci a che fare otteneva soldi e potere. Chi non era bravo, veniva controllato dalla paura. Tutti, insomma, avevano buoni motivi per tenere la bocca cucita.
A metà degli anni Settanta però la presenza della mafia diventa fin troppo evidente quando le famiglie mafiose, le cosche, cominciano a farsi la guerra. La torta degli affari mafiosi è grande e gustosa, e c’è qualcuno che la vuole tutta per sé.
Così a Palermo e nelle vicinanze cominciano a fioccare gli omicidi, la gente inizia ad avere seriamente paura, lo Stato capisce che è ora di fare seriamente qualcosa.
Lo Stato, ma in particolare Giovanni Falcone. Che è un uomo giovane, pensa in modo diverso dagli altri. Visto che non parla nessuno, lui non chiede informazioni alle persone, ma ai numeri. I numeri non mentono mai. Lavora alle sue indagini studiando i movimenti bancari. Capisce così in quali affari la mafia è implicata.
È molto, ma non è comunque abbastanza. La mafia è come una piovra, ha tanti tentacoli. Anche se ne scopri uno, non otterrai niente finché non avrai trovato la testa. Falcone da solo non può puntare alla testa. Per sua fortuna però non è solo. Nella procura di Palermo ci sono anche altri magistrati bravi, e ce ne è uno con una grande intuizione.
Si chiama Rocco Chinnici ed è l’inventore del pool antimafia.
Mentre Falcone e gli altri indagano e processano, una cosa è chiara. Se la mafia lavora in modo organizzato, mentre noi agiamo da cani sciolti, non ce la faremo mai a vincere. È necessario lavorare insieme.
L’idea ce l’ha proprio Rocco Chinnici che, assieme a Falcone, Borsellino e Giuseppe Di Lello costituisce un gruppo di lavoro sulla mafia che lavora in modo organico e collettivo. Condividono le informazioni, i documenti, si scambiano ogni giorno opinioni e incrociano i sospetti. Funziona.
Trovano collegamenti che prima non avrebbero immaginato, scoprono piste nuove e promettenti. Organizzano arresti, retate, processi.
I capi di Cosa Nostra, che fino a quel momento erano concentrati nella loro guerra interna ed eventualmente ad ammazzare qualche poliziotto un po’ troppo curioso, cominciano a sentirsi minacciati.
E reagiscono.
Clicca qui per scaricare il pdfQuando le indagini del pool antimafia si avvicinano un po’ troppo al cuore degli affari di Cosa Nostra, i boss fanno uccidere il capo del pool, Rocco Chinnici. È il 29 luglio del 1983.
Per Falcone, Borsellino e gli altri è una notizia dolorosa e spaventosa, ma allo stesso tempo il segnale che hanno pestato i calli della mafia, stanno facendo bene.
Dopo la morte di Chinnici, il pool antimafia resta in piedi. Viene chiamato a dirigerlo un magistrato esperto da Firenze. Si chiama Antonino Caponnetto e assume il suo ruolo con grande intelligenza. Sa che i suoi colleghi su questioni di mafia sono più competenti di lui. Gli dà carta bianca su come lavorare e si limita a coordinare.
Il lavoro procede certosino e le circostanze sono favorevoli. La guerra di mafia tra le cosche di Cosa Nostra per il potere fa sì che molti mafiosi di basso livello inizino ad avere paura di finire uccisi, così chiedono protezione alle forze dell’ordine in cambio di informazioni.
Sono informazioni utili, anche se insufficienti all’obiettivo di Falcone e Borsellino: ovvero conoscere precisamente la struttura delle cosche.
L’occasione per farlo arriva all’improvviso, servita su un piatto d’argento atterrato a Palermo dal Brasile. È Tommaso Buscetta, un vecchio pezzo da novanta di Cosa Nostra, latitante e ora pronto a collaborare.
Giovanni Falcone passa intere giornate con Buscetta, e alla fine ottiene da lui quello che gli serve. A quel punto, in quattro e quattr’otto, il pool organizza un blitz di polizia. Il 29 settembre del 1984, con agenti mandati in tutta Palermo, arresta quasi 400 persone.
Cosa Nostra però non resta a guardare. Il 28 luglio di quell’anno uccidono due poliziotti legati al pool e fanno sapere che i prossimi omicidi programmati sono proprio quelli di Falcone e Borsellino. Che per sicurezza vengono mandati in Sardegna, nel carcere di massima sicurezza dell’Asinara.
I due vivono letteralmente da carcerati per quasi un mese. Giorni di paura, ma anche di duro lavoro. In quei giorni mettono in ordine il materiale raccolto. Alla fine del 1985 è tutto pronto per il maxi-processo.
L’espressione ‘maxi-processo’ è una trovata giornalistica molto efficace.
Le indagini hanno portato a quasi 400 arresti, ci sono centinaia di testimoni da ascoltare, migliaia di pagine da leggere, decine di giudici e avvocati da convocare.
Il processo di primo grado dura per quasi due anni, fino al dicembre del 1987. Alla fine, i giudici dichiarano colpevoli 346 imputati.
Nell’ambiente della giustizia c’è eccitazione.
Negli ambienti mafiosi invece c’è un misto di rabbia e calma. La rabbia per le condanne. La calma perché molti sono sicuri che in appello le cose cambieranno. E in silenzio, affilano i coltelli per la vendetta.
Nel frattempo qualcosa è cambiato all’interno del pool antimafia. Paolo Borsellino è stato nominato procuratore a Marsala. È una promozione prestigiosa, ma lo allontana da Palermo. Il capo del pool, Caponnetto, torna a Firenze. A quel punto, sembra chiaro che a prendere il suo posto debba essere Falcone.
Solo che nell’ambiente giudiziario non sono tutti entusiasti di lui e ci sono molti che aspettano il momento buono per fargli le scarpe. Al posto di Falcone, viene scelto Antonino Meli, un giudice con più anzianità di lui, ma senza esperienza nell’antimafia.
Per Falcone è uno schiaffo in faccia. Ora lui, agli occhi di chi lo guarda da fuori, è debole. I mafiosi lo vedono e lo sentono. E sono pronti a colpire.
Scoraggiato e spaventato, Falcone si trasferisce a Roma. Il nuovo governo gli offre un ruolo al ministero della giustizia. All’inizio sembra un incarico di facciata, ma Falcone con il suo carisma riesce a incidere ed essere decisivo.
Ancora una volta, Cosa Nostra non sta con le mani in mano. Il 13 marzo del 1992 uccidono a Palermo il politico Salvo Lima. Un uomo molto legato al presidente del consiglio Giulio Andreotti.
La mafia ha ucciso Lima per mandare un segnale. A Roma sono troppo zelanti con l’antimafia. O Falcone si calma, o la prossima vittima sarà lui. E Falcone non si calma.
Il 23 maggio del 1992 lui e la moglie tornano a Palermo in aereo da Roma. Atterrano poco prima delle 17 e partono verso Palermo. Viaggiano su tre automobili, con cinque agenti di scorta.
Alle 17:58, le tre auto sono in autostrada all’altezza di Capaci quando il sicario mafioso Giovanni Brusca riceve il segnale che aspettava. Preme un pulsante e aziona un detonatore a distanza. In quel momento, cinque quintali di tritolo, nascosti sotto la strada, esplodono. Le auto saltano in aria.
Poco dopo le 19, i telegiornali in edizione straordinaria danno la notizia a tutta l’Italia. A causa di un attentato spaventoso a Capaci, in provincia di Palermo, sono morti tre poliziotti, la magistrata Francesca Morvillo e suo marito, il giudice Giovanni Falcone.
L’uccisione brutale di Giovanni Falcone non è una grande sorpresa per i palermitani. Eppure sentono che la città ha toccato il fondo.
Tra le persone più sconvolte, c’è ovviamente Paolo Borsellino, che era tornato a Palermo dopo la partenza di Falcone per Roma. Doveva essere il suo braccio destro in Sicilia. Lo è stato per un poco, fino a quel giorno di maggio in cui ha visto con i suoi occhi l’amico respirare per l’ultima volta su un letto di ospedale.
Borsellino in quei mesi è distrutto, ma ormai non ha paura di niente. In cuor suo sa quello che lo aspetta.
Per 57 giorni, dopo la strage di Capaci, Borsellino lavora senza sosta. Il suo zelo non piace a tutti e molte cose succedono alle sue spalle.
Fino al 19 luglio del 1992. Quel giorno, dopo pranzo, Borsellino accompagnato dalla scorta va in Via D’Amelio dove vivono la madre e la sorella. Appena si avvicina al portone, una fiat 126 zeppa di tritolo esplode. Muoiono sul colpo cinque agenti della scorta e muore anche Paolo Borsellino.
Nel giro di nemmeno due mesi, il pool antimafia è finito per sempre.
Come finisce questa storia?
Ha vinto la mafia? Ha perso l’antimafia?
Le risposte precise non sono risposte sincere.
Il contributo di Falcone e Borsellino alla lotta alla mafia è stato enorme.
D’altro canto, nonostante il loro lavoro, Cosa Nostra esiste ancora. Molti misteri sui legami tra la mafia e lo Stato italiano non sono stati risolti, e forse non lo saranno mai.
Di sicuro Falcone e Borsellino hanno vinto una battaglia culturale. Grazie a loro, il sistema di potere segreto su cui si fondava la mafia oggi non è più così segreto.
Questo non vuol dire che la mafia abbia smesso di avere potere, ma almeno sa di non potere contare sull’indifferenza della cittadinanza.
È poco? È tanto? È valsa la pena morire per questo? Non spetta a me dirlo.
Quello che è sicuro è che un potere prepotente diventa più debole quando chi lo subisce smette di essere indifferente.
Cosa Nostra è ancora viva, ma ha subito un colpo duro alla paura che incuteva alle persone. Un potere senza paura è come un gigante dai piedi d’argilla. Può resistere, ma è destinato a crollare.
E questo lo dobbiamo soprattutto a due persone. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Vittime, ma soprattutto eroi.
Clicca qui per scaricare il pdf