#42 – Garibaldi, l’eroe dei due mondi
Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 18 dicembre 2021.
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Riassumere l’anima di un popolo in un solo personaggio è una cosa impossibile, forse anche insensata.
Per quanto riguarda l’Italia, poi, ci sarebbe l’imbarazzo della scelta. Chi rappresenta meglio il bel Paese? Magari uno degli artisti del nostro Rinascimento. O magari Dante, il nostro poeta nazionale.
Un suggerimento ce lo possono dare le strade. I nomi delle strade, intendo. Che sono quelli di grandi personaggi che hanno lasciato un segno.
E la verità è che le strade e le piazze si assegnano volentieri agli eroi. Specie agli eroi romantici. Quelli che hanno saputo unire un popolo intero in una storia di gloria.
Di gloria in quel senso, militare e combattiva, l’Italia contemporanea ne ha avuta poca. Per trovarne un po’ di più, dobbiamo andare a un paio di secoli fa, ai tempi del Risorgimento e delle guerre per l’Unità d’Italia.
Ora ci siamo. I nomi di quei protagonisti riempiono strade e piazze. Come quello di Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia. O di Camillo Benso Conte di Cavour, primo presidente del consiglio. O ancora di Giuseppe Mazzini, cospiratore, ideologo, filosofo.
Ma sono nomi che scaldano il cuore? Fino a un certo punto. Re, ministri e filosofi sono importanti. Gli eroi veri però sono i condottieri, quelli che vincono le battaglie mostrando coraggio e passione.
L’Italia ne ha avuto uno così. Un personaggio sfaccettato, ricco di contraddizioni. Uno che però è allo stesso tempo un eroe universale, a cui sono dedicate non solo strade e piazze, ma anche monumenti che si possono trovare in quasi tutte le grandi città d’Italia.
E non solo d’Italia. Perché l’uomo di cui parliamo oggi ha portato avventura e leggenda anche lontano dalla patria. Per questo è noto come l’eroe dei due mondi.
Oggi parliamo di Giuseppe Garibaldi.
Sicuramente non è un nome nuovo per nessuno. Forse lo avete sentito nominare a scuola, magari lo avete visto come personaggio di un film. Nel peggiore dei casi, avete mangiato un gelato, sorriso a una ragazza, parlato con un amico sotto una delle sue statue. E riuscite a immaginarlo. Una barba lunga e folta, baffoni arruffati, occhi verdi e profondi, una camicia rossa a coprire il suo petto e una spada nella mano destra.
Un’icona. Costruita nel tempo.
E quindi cominciamo dall’inizio.
Giuseppe Garibaldi nasce nel 1807 a Nizza. Che oggi è una città francese. E per la verità, lo era anche all’epoca. Ma che per molto tempo prima, e per un po’ di tempo pure dopo, è stata una città italiana. È una storia un po’ complicata. Fatto sta che quando nasce, Garibaldi è un suddito della Francia di Napoleone. I suoi però sono italiani, liguri, gente di mare. Garibaldi è figlio e nipote di pescatori, mercanti, navigatori.
E lo è anche lui all’inizio. Fa il marinaio e viaggia per mezzo mondo. Che nel frattempo è cambiato. Con la morte di Napoleone, sono tornati i vecchi re, quelli per diritto di sangue, e Nizza è stata riaccorpata al Piemonte, governato dalla dinastia Savoia. Garibaldi è nato francese, ora porta documenti piemontesi, ma si sente italiano e cittadino del mondo.
Nei suoi viaggi, incontra persone idee. In particolare idee di uomini un po’ dispiaciuti che il mondo di Napoleone sia finito. Certo i francesi non erano troppo simpatici, ma quelle idee di libertà, di repubblica, di popolo sono rimaste vive. E fanno breccia nel cuore del giovane Garibaldi.
In quel periodo, conosce Giuseppe Mazzini. Che sogna, e progetta, l’unità d’Italia e la libertà degli italiani in un quadro comune e un po’ utopico di libertà per tutti i popoli del mondo. Garibaldi ne rimane folgorato. Così entra nei circoli clandestini dei mazziniani. Nel 1834, quando Garibaldi ha 27 anni, partecipa a una rivolta in Savoia per ribaltare il potere dei re. È un fiasco colossale. La polizia e l’esercito scoprono tutto. Garibaldi viene condannato a morte per alto tradimento e si salva per il rotto della cuffia, riuscendo a imbarcarsi su una nave diretta in Brasile. Dove comincia una nuova avventura.
Marinaio, commerciante, cospiratore, condannato a morte, fuggiasco in Sud America. E tutto questo prima di compiere trent’anni! Arrivato sulle coste brasiliane, Garibaldi, trova lavoro come commerciante e si fa conoscere all’interno della grande comunità di italiani in Sud America. La rivolta in Piemonte sarà pure andata male, ma le sue idee sono più vive che mai.
Carismatico com’è, e carico dei suoi ideali, si trova presto un ruolo più adatto al suo spirito. Nel 1837 entra in contatto con la repubblica del Rio Grande, un giovane stato separatista che aveva l’obiettivo di liberarsi dall’impero brasiliano. Garibaldi diventa un corsaro del Rio Grande. Vale a dire che ora, con la sua nave, può attaccare legalmente navi brasiliane. In questo nuovo emozionante ruolo, Garibaldi combatte la sua prima battaglia. È un arrembaggio, una vera e propria storia da pirati, dove viene ferito per la prima di tante tante volte.
Da lì, e da una storia iniziata quasi per caso, inizia la sua carriera militare. Negli anni successivi viene coinvolto nella nascita dell’Uruguay, in guerra per ottenere la sua indipendenza dall’Argentina. Libertà e indipendenza sono parole che scaldano il cuore di Garibaldi che in men che non si dica raduna un gruppo di italiani a Montevideo e organizza una brigata di combattenti contribuendo alla vittoria. Motivo per cui oggi nel cuore della capitale uruguayana c’è un’altra statua di Garibaldi. Questa però senza cavallo. Perché quel Garibaldi è ancora, soprattutto, un marinaio.
Qualcuno racconta che abbia imparato a cavalcare proprio a Montevideo, e che glielo abbia insegnato la sua prima moglie e amore della sua vita, la leggendaria Anita.
Da marinaio con idee rivoluzionarie a condottiero militare il passo sembra lungo, eppure è breve. Garibaldi l’ha fatto in men che non si dica. Anche in Italia se ne sono accorti, nel mondo non fa altro che parlare di lui.
L’idea di questo condottiero coraggioso al comando di volontari dalle camicie rosse diventa presto familiare a moltissimi.
Nel 1848 l’Europa esplode di rivoluzioni. A Palermo, a Vienna, soprattutto a Milano. Ne abbiamo parlato in un vecchio episodio di questo podcast. In quell’occasione, la città lombarda comincia la rivolta contro il dominio austriaco e sembra addirittura che possa vincere. Il re di Piemonte, Carlo Alberto, coglie l’occasione. Forse è il momento buono per annettere la Lombardia e cacciare finalmente l’Austria dal nord Italia. È una scelta improvvisa, in controtendenza rispetto a quello che la sua dinastia ha fatto fino a quel momento. È una scelta che confonde molti. Anche Garibaldi. Che fino a quel momento, era un convinto repubblicano, nemico della dinastia Savoia. Ma Garibaldi è anche un uomo pratico. In quel momento intuisce che forse davvero i Savoia possono liberare e unire l’Italia. Così, torna in Europa e offre il suo aiuto.
Re Carlo Alberto non lo vede di buon occhio. È un repubblicano, un rivoluzionario. Sarà pure bravo, ma lui non si fida troppo. Decide di accettarlo come alleato, ma gli dà un ruolo minore. La guerra del 1848 si rivela un disastro, gli austriaci vincono e spengono la rivoluzione a Milano, senza che Garibaldi possa davvero fare qualcosa.
Le rivoluzioni però non sono finite. A Roma, ad esempio, continua. I romani hanno tolto il potere al Papa e fondato una repubblica. Garibaldi, vecchio repubblicano, non resiste alla tentazione, arruola volontari e partecipa alla difesa della repubblica romana. È un’altra sconfitta, però. Il 1848 non è l’anno giusto, evidentemente. Succede di tutto. La sua amata moglie Anita muore, Garibaldi viene arrestato e poi liberato. A condizione che se ne vada lontano. E lui lo fa. Parte di nuovo come marinaio. A Gibilterra, in Gran Bretagna, persino in America.
L’atmosfera però è troppo calda perché uno come lui possa restare con le mani in mano. Nel 1859, il re non è più Carlo Alberto ma suo figlio Vittorio Emanuele II. Il primo ministro è Cavour. I due insieme ci riprovano, dichiarano guerra all’Austria per togliere al nemico almeno Milano e la Lombardia. Dalla loro parte hanno la Francia. Garibaldi si offre ancora e viene accettato. Gli offrono il comando di un gruppo di volontari, I cacciatori delle Alpi, e con loro vince battaglie importanti. La guerra finisce bene a metà. Il regno d’Italia ottiene Milano e la Lombardia, ma non il Veneto. Per Cavour e il re, in quel momento può bastare. Per Garibaldi no.
In Sicilia e nel sud Italia, dopo le rivolte del ’48, sono ancora carichi di entusiasmo rivoluzionario e stanchi della dinastia reazionaria dei Borbone. Sono pronti a un’altra rivoluzione.
E Garibaldi è pronto ad aiutarli. Con la spedizione dei Mille.
Clicca qui per scaricare il pdfParlando della spedizione dei Mille, realtà e leggenda si confondono. Quello che è vero è che Garibaldi, nel maggio del 1860, raduna volontari nel porto di Quarto, vicino a Genova. Sono davvero mille? Di più? Di meno? Non importa. Quello che conta è che, senza averlo concordato con nessuno, sta per partire con navi piene di uomini armati alla conquista della Sicilia. Sbarca a Marsala, vicino a Trapani, e sbaraglia in poco tempo l’esercito dei re delle due Sicilie. Libera l’isola e la dichiara terra di Vittorio Emanuele re d’Italia.
Il comportamento di Garibaldi è scandaloso agli occhi dei grandi del mondo. Il re Vittorio ufficialmente non lo può approvare, ma sottobanco lo fa. Nel giro di poco tempo, molto meno di quanto il re e il suo primo ministro Cavour avrebbero mai immaginato, il regno delle due Sicilie è in mano ai Savoia. Carichi di entusiasmo, i sudditi dei piccoli stati dell’Italia centrale e settentrionale cacciano duchi, granduchi e principi e ottengono come risultato di unirsi al Piemonte. Ovvero, all’Italia.
Forse sarebbe successo lo stesso, ma non così velocemente. L’entusiasmo e il coraggio di Garibaldi fanno sì che, nel 1861, un anno dopo la sua partenza clandestina da Quarto, Vittorio Emanuele II si può dichiarare al mondo primo re d’Italia.
L’Italia è unita da nord a sud, completa. O quasi. Manca il Veneto, ancora austriaco. E manca soprattutto Roma, dove ancora resiste il Papa. A Garibaldi in particolare questa cosa non va proprio giù. Nel 1862 ci riprova. Sempre alla guida di un gruppo di volontari. Vuole fare di nuovo quello che è riuscito bene in Sicilia. Agire da ribelle e portare le conquiste in mano al re.
Solo che Roma non è la Sicilia. La situazione geopolitica è diversa. Cacciare il Papa è una cosa molto più delicata, anche perché a difenderlo ci sono i francesi. E il giovane Regno d’Italia non può permettersi di avere i francesi nemici. Mentre Garibaldi e i suoi uomini sono in Calabria, sulle montagne dell’Aspromonte, vengono fermati da truppe dell’esercito italiano. C’è un momento di caos, qualcuno spara, Garibaldi viene ferito un’altra volta. E arrestato un’altra volta. Ma riesce di nuovo a farla franca perché ormai è troppo famoso. Ricomincia a viaggiare, ma tornerà. Il suo contributo all’indipendenza italiana non è ancora finito.
Se Roma è intoccabile, Venezia non lo è. Vittorio Emanuele II ci riprova. Questa volta si allea con la Prussia contro l’Austria. È la terza guerra d’indipendenza. Garibaldi non è più giovane, ma ha sempre grande carisma. Raduna 30.000 volontari e contribuisce alla guerra. Guerra che l’Italia vincerà, per la verità, più per i meriti prussiani che per i propri. Garibaldi, per quello che lo riguarda, vince le sue battaglie e guida i suoi uomini addirittura verso Trento. Che non era prevista nei patti con la Prussia. Vittorio Emanuele II, firmato l’armistizio, manda a Garibaldi un messaggio dicendogli di fermarsi. Questa volta lui lo fa davvero. La sua risposta è entrata nei libri di storia. Obbedisco.
Obbedisce, Garibaldi. Almeno in quell’occasione. Negli ultimi anni della sua vita, prova di nuovo a conquistare Roma, invano. Si caccia di nuovo nei guai, si trasferisce in Francia per aiutare i francesi nella nuova guerra contro la Prussia.
Intanto l’Italia decide di sfruttare quel momento di caos per la Francia. È il momento buono per realizzare quello che a Garibaldi non è mai riuscito. Prendere Roma.
Ormai vecchio, il leggendario generale Garibaldi si ritira nella fattoria che ha costruito nel tempo, sull’isola di Caprera, a nord della costa della Sardegna. Muore lì, il 2 giugno del 1882.
Quella di Garibaldi è una storia incredibile, densa di storia e di leggenda, per molti positiva e per altri criticabile. Chi lo considera un eroe e chi un venduto, chi un sincero rivoluzionario e chi un ingenuo o un opportunista, chi un eroe liberatore e chi invece un conquistatore feroce. La storia sembra dare ragione a lui e ai suoi ammiratori. Le piazze e le strade lo dimostrano. E anche la lingua, come sempre il nostro strumento preferito per decidere chi ha ragione. Fare qualcosa alla garibaldina oggi significa farla con entusiasmo e coraggio, anche se magari con poca disciplina. Caratteristiche nobili, caratteristiche degne di un eroe.
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