#4 – Livorno. Patria della sinistra e della zuppa di pesce
Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 27 marzo 2021.
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Facciamo un gioco. Chiudete gli occhi per un secondo e pensate a una città della Toscana. La prima che vi viene in mente.
Fatto?
Scommetto che avete pensato a Firenze, Pisa, magari Siena. Se siete ascoltatori di Salvatore racconta, forse a Carrara.
La verità è che la Toscana ha tante città importanti, famose, amate dai turisti e dai viaggiatori. Ce ne è una però che forse non conoscete. Si trova sul mare, circa al centro della costa toscana.
Questa città si chiama Livorno.
Livorno è poco conosciuta, ma non è certo una piccola città. È la terza in Toscana per numero di abitanti, subito dopo Firenze e Prato. Per capirci, ha quasi il doppio degli abitanti di Pisa, e centomila in più di Siena.
I turisti la conoscono poco. Perché non è una città piena di cose da visitare come le sue vicine. Le bombe della seconda guerra mondiale hanno distrutto molti dei palazzi antichi di Livorno. Per questo motivo, chi cerca le tracce del grande Rinascimento, non viene qui.
Ed è un peccato. Perché quelle tracce a Livorno ci sono eccome. Non si vedono forse nei palazzi, nei quadri, ma lo spirito stesso di Livorno è rinascimentale. Nelle strade di Livorno, e nei suoi abitanti, c’è lo spirito di apertura e curiosità, di accoglienza e confronto, che è la più bella eredità del Rinascimento. E che qui vive ancora oggi.
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Come dicevamo, Livorno è una città della costa. Quindi la sua vita è legata al mare e al suo porto. Oggi è soprattutto un porto turistico, da dove partono le navi dirette all’isola d’Elba, alle cinque terre, in Sardegna o in Corsica. Se fate una passeggiata nella zona del porto di Livorno, oggi sentirete parlare italiano, dialetto livornese, e le lingue dei turisti internazionali. Inglese, francese, tedesco, magari anche russo e cinese.
Anche quattro o cinque secoli fa, nel periodo d’oro di Livorno, avreste sentito varie lingue. In particolare spagnolo, portoghese, turco, arabo, e olandese. Le lingue dei mercanti che arrivavano e partivano dal porto di Livorno. Ma non solo mercanti. La gente stessa che viveva qui parlava quelle lingue.
Provate a immaginare questa scena. Un vecchio rabbino che in sinagoga recita il suo sermone in lingua portoghese, mentre sull’altro lato della stessa strada due mercanti parlano in fiammingo del progetto di una chiesa da costruire.
Forse non è facile da immaginare, ma era la realtà di Livorno di cinquecento anni fa. E ora provo a raccontarvela.
Sulla fondazione di Livorno, non abbiamo dati precisi. Sappiamo che la sua storia come città vera e propria inizia nel XVI secolo, quando in Toscana governa la famiglia Medici, e in particolare il Granduca Ferdinando I.
È lui che decide che Livorno sarà il porto principale della Toscana. All’epoca Livorno è piccola e semplice, un borgo di pescatori e contadini. Ferdinando fa costruire torri, mura e un grande porto da dove fare partire i commerci con il resto del mediterraneo. Livorno a questo punto è pronta. Mancano solo… i livornesi.
Perché gli abitanti locali sono pochi per riempire la nuova città. Come dicevo, sono soprattutto pescatori e contadini. C’è bisogno di gente esperta nel commercio per diventare una potenza nel mediterraneo.
Così Ferdinando I ha un’intuizione. Un’intuizione decisamente rinascimentale. Nel 1590, emana una legge che invita a Livorno mercanti e abitanti da tutte le nazioni e di tutte le religioni. Promette case, lavoro, libertà di religione e di pensiero.
È bene ricordare che in quel periodo, l’Europa era spaccata in tanti pezzi. Cattolici contro protestanti Cristiani contro musulmani. E un po’ tutti, contro gli ebrei. Livorno accoglie tutti. E a tutti offre una seconda possibilità. C’è posto per inglesi protestanti, francesi cattolici, ebrei portoghesi e chi più ne ha più ne metta.
È una scommessa vincente. Livorno diventa un centro commerciale importante in tutto il mediterraneo. Partono in continuazione navi commerciali che vanno verso le città inglesi come anche verso quelle turche. E partono anche navi di corsari, ovvero di marinai armati pronti a combattere. Perché il Mediterraneo non è un mare sicuro, è pieno di pirati, soprattutto algerini, che attaccano le navi commerciali per derubare i mercanti. Questo elemento, ne parleremo, è diventato un simbolo di Livorno oggi molto controverso. Ne riparleremo.
La centralità di Livorno dura a lungo, ma non è infinita. Lentamente, ma inesorabilmente, il centro dei grandi commerci navali passa dal mediterraneo agli oceani e così il porto di Livorno diventa secondario. Verso la metà del XIX secolo quasi tutte le famiglie di mercanti stranieri a Livorno lasciano la città per sempre.
Se oggi sentite parlare olandese al porto di Livorno, è più probabile che sia un turista di Utrecht che un commerciante di Rotterdam. Le tracce di quel mondo, tuttavia, si trovano ancora. Se andrete a visitare la città, come spero, potrete vedere la chiesa degli olandesi. Che si chiama così proprio perché la hanno voluta e ottenuta quei mercanti. È stata a lungo il luogo di culto della comunità protestante livornese, che oggi praticamente non esiste più-
Quella ebraica c’è ancora, invece. Nei secoli è cambiata molto, e si è completamente assimilata. Ad esempio, non parla più portoghese. È resistita, anche se a fatica, alla seconda guerra mondiale e al fascismo. Il rabbino capo della sinagoga di Roma è stato per cinquant’anni un livornese. Elio Toaff. È lui che ha fatto il passo storico di incontrare da pari a pari un Papa cattolico, all’epoca Giovanni Paolo II.
La sinagoga di Livorno, oggi completamente ricostruita, sorge dove sorgeva quella antica, dei tempi dei Medici.
Un altro elemento importante dell’identità di Livorno risale all’inizio del Novecento. E in particolare, al 1921. Nel gennaio di quell’anno, in un teatro livornese si tiene il congresso nazionale del partito socialista italiano. È un congresso molto importante, in un momento in cui in Europa ci sono molte energie di cambiamento. C’è il mito di Lenin e della rivoluzione russa, e i socialisti italiani sono divisi tra chi pensa che l’Italia sia pronta e chi pensa che non sia pronta per niente a fare una rivoluzione come i bolscevichi.
Quelli che vogliono fare la rivoluzione, in quei giorni di gennaio a Livorno, lasciano il partito socialista. E fondano il PCI, il partito comunista italiano. Questa cosa segnerà per sempre la politica in Italia, e anche Livorno. Che è, ancora oggi, una delle città più a sinistra di tutta Italia. Tranne uno, i sindaci di Livorno nella storia dell’Italia repubblicana sono arrivati dal PCI o dai partiti eredi del PCI.
Oggi Livorno è una città di media grandezza, piena di giovani e di energia. Anche se non ha la sua università e quindi chi vuole studiare deve andare nella vicina Pisa, città con cui Livorno vive da sempre una grande rivalità.
In compenso, Livorno è la sede dell’Accademia navale dove studiano i futuri ufficiali della Marina militare italiana. Quindi, in un certo senso si può dire che Livorno ha la sua speciale università legata al mare.
Anche la cucina livornese è legata a doppio filo alla sua tradizione di città di mare. Il piatto livornese più famoso in assoluto è il caciucco. Questa parola non ha un vero e proprio significato. È semplicemente il nome, intraducibile, di questo piatto. Si tratta di una zuppa di mare, fatta con vari tipi di pesci e molluschi. È un piatto tipico della cucina povera, quindi non ha una ricetta precisa, di solito sono tipi di pesce semplice e poco costoso. Si mangia accompagnata da un po’ di pane abbrustolito e da un bicchiere di vino rosso.
Un altro piatto povero della tradizione culinaria livornese è quello che i locali chiamano cinque e cinque. Se chiedete a un livornese di spiegarvi cosa è un cinque e cinque, vi dirà che è un panino con un pezzo di torta di ceci. Dopo questa risposta, probabilmente avrete più domande di prima.
La torta di solito è una cosa dolce, che c’entra con i ceci. Non molto, in effetti. A Livorno si chiama torta di ceci una specie di polenta fatta di acqua e farina di ceci cotte insieme in pentola e poi in forno. Servita, appunto, dentro un panino o tra due fette di pane. Un piatto semplicissimo, insomma, ma molto gustoso. Si chiama cinque e cinque proprio per la sua semplicità. Quando c’erano ancora le lire, una buona porzione di pane e torta di ceci costava dieci lire, cinque e cinque appunto.
Se dopo pranzo avete voglia di bere un caffè, potete provare a berlo alla livornese e chiedere un ponce. Ponce non è altro che la trasformazione italiana del termine “punch”, ed è un caffè espresso che viene servito caldo, bollente, con l’aggiunta di rum e un pezzo di buccia di limone. Ha un sapore molto forte e forse non è per tutti, ma a Livorno è molto amato. Per molto tempo, il ponce è stato il rimedio casalingo per tanti piccoli problemi, dalla tristezza alla febbre, dalla stanchezza al nervosismo.
Non vi dirò cosa visitare a Livorno. Questo non è un podcast di viaggi, e sicuramente ci sono persone più brave di me a fare questa cosa. Vi consiglio in generale di vivere in profondità i suoni e i profumi della città, dal porto alle strade del mercato. In particolare quelle del quartiere di La Venezia, che si chiama così ovviamente per i suoi canali. E vi invito a guardare, con occhio critico, la famosa statua dei quattro mori, che si trova nella piazza principale di Livorno.
Dicevamo all’inizio di questo podcast, che da Livorno partivano navi di corsari che catturavano e distruggevano le navi di pirati algerini del Mediterraneo. Per mostrare la forza della Toscana sui pirati, il Granduca Ferdinando ha voluto una sua statua, in marmo bianco, e ai suoi piedi quattro figure di mori, resi schiavi. La parola mori, in italiano antico, indicava prima gli abitanti della regione nordafricana della Mauritania e poi è passato genericamente a indicare in modo confuso africani e arabi del mediterraneo.
I mori ai piedi di Ferdinando sono tristi e in catene, ai piedi dell’uomo bianco che li ha catturati e dominati. Per secoli è stato un simbolo orgoglioso, oggi ha un’aria un po’ coloniale e mette un po’ tristezza, ma resta un simbolo importante della città e della sua storia. La scrittrice italiana Igiaba Scego, molto attenta ai temi post-coloniali, ne ha parlato in un articolo sulla rivista Internazionale. Nella newsletter, trovate il link per leggerlo se volete approfondire.
Non mi piace parlare usando le categorie. Penso che ogni persona sia diversa dalle altre e non credo che esistano elementi caratteristiche che identificano tutte le persone che fanno parte di una comunità. Tuttavia, ogni comunità, e ogni città, ama raccontare di sé qualcosa di tipico del carattere. E quindi anche Livorno.
Comunemente si dice che i livornesi hanno un incredibile senso dell’umorismo e che amano scherzare su tutto, anche sui temi sui quali di solito non si scherza. Come la religione, la morte e la famiglia. Se andate a Livorno, potete trovare un esempio ideale di questa idea nel giornale Il vernacoliere. Non è un giornale normale, ma piuttosto una rivista satirica, scritta in dialetto e piena di scherzi e battute senza alcuna censura.
Un’altra strada per scoprire l’ironia dissacrante dei livornesi è guardare i film di Paolo Virzì. Oggi Virzì è un regista famoso a livello internazionale e ha fatto film molto vari, ma ne ha dedicati alcuni alla sua Livorno. Soprattutto il film Ovosodo, del 1997.
Chi sono altri livornesi famosi? Forse conoscete per esempio il famoso pittore Amedeo Modigliani, o il grande compositore Pietro Mascagni. Almeno una volta nella vita avrete sicuramente ascoltato la sua Cavalleria rusticana.
E poi due personaggi con lo stesso cognome, ma che non sono parenti. Il cantante e poeta Piero Ciampi, autore di canzoni bellissime. E poi Carlo Azeglio Ciampi, grande economista e politico, che è stato per sette anni anche presidente della repubblica italiana.
Stiamo per finire.
Spero che vi sia venuta la voglia e la curiosità di visitare Livorno. Di scoprire la sua anima molto di sinistra, la tradizione ebraica, l’amore per l’humour nero e per il caffè al rum. È una città unica nel suo genere, che merita di essere scoperta.
Una nota finale per gli appassionati di calcio. Eh sì, lo dobbiamo fare. In Italia ogni città ha la sua storia legata al calcio, è un elemento importante della nostra cultura.
La squadra di Livorno è il Livorno, il suo colore è l’amaranto, ossia un rosso molto scuro e tendente al marrone. Oggi è in serie C e vive una situazione molto complicata, ma ha comunque tanti tifosi molto appassionati e calorosi, e tradizionalmente molto di sinistra come tutta la città. Lo stadio del Livorno si chiama Armando Picchi, ed è dedicato a un ex calciatore livornese molto amato, e morto giovane.
A proposito di calciatori, ce ne sono due in particolare che con la maglia amaranto hanno lasciato il segno. Igor Protti e Cristiano Lucarelli. Se incontrate dei livornesi appassionati di calcio, ditegli uno di questi nomi. O meglio, tutti e due. Se lo farete, avrete già trovato degli amici fedeli a Livorno.
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