#39 – Mike Bongiorno, il re della tv italiana
Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 27 novembre 2021.
Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale.
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Una scatola quadrata, quasi sempre nera, a volte grigia. Se guardate qualche vecchia foto di famiglia, è probabile che la troviate lì sullo sfondo.
Fa capolino dietro un gruppo di persone sorridenti. A volte al centro è tutta nera, a volte con qualche immagine oggi irriconoscibile.
Parliamo del televisore, ovviamente. Una parte integrante della casa. Che si trova spesso in cucina, a volte in salotto, in alcune occasioni in camera da letto.
E quello che succede in tv fa parte della vita di famiglia. Accompagna le persone mentre preparano la cena, mentre stirano, mentre fanno i compiti in cucina o nelle mattine di inverno con la febbre un po’ alta e poca voglia di andare a scuola.
Una presenza così costante della tv nella vita delle persone fa sì che i suoi personaggi diventano familiari, nel vero senso della parola.
In settant’anni di televisione, in Italia, di personaggi così ce ne sono stati alcuni. Uno in particolare però c’è stato praticamente sempre. Dal primo fino all’ultimo giorno.
Ha il volto di un uomo dall’aria buona, con la fronte alta e i capelli pettinati all’indietro. Con un paio di occhiali spessi e dalla montatura quadrata.
Alcuni lo hanno amato molto, altri lo hanno odiato, ad altri ancora è rimasto sempre abbastanza indifferente. Eppure ignorarlo era impossibile, perché è stato in tv per settant’anni e quindi è stato nelle case degli italiani per settant’anni. Soprattutto all’ora di cena, quando la famiglia si riunisce a tavola, l’ospite d’onore era molto spesso lui. Con il suo inconfondibile saluto, un marchio di fabbrica diventato eterno. Signore e signori, allegria!
Oggi parliamo di Mike Bongiorno, il re della tv italiana.
Mike Bongiorno sembra un nome bizzarro, quasi lo stereotipo di un italoamericano in qualche commedia per famiglie.
In effetti, quando Mike Bongiorno nasce è un cittadino americano e sua madre lo dà alla luce in un ospedale di New York con il nome completo di Michael Nicholas Salvatore Bongiorno. L’anno è il 1924.
I suoi genitori sono due italiani, anche se entrambi nati e cresciuti a New York. Il padre di Mike, Philip Bongiorno, era un avvocato brillante e rispettato nella comunità italoamericana newyorkese e una volta si è anche candidato a sindaco.
Il piccolo Mike resta poco nella città dalle mille luci, quando ha cinque o sei anni i suoi genitori divorziano e la madre torna in Italia portando il figlio con sé. Si stabiliscono a Torino dove Mike impara bene l’italiano, anche se con un forte accento americano, va a scuola, studia e comincia ad appassionarsi di sport.
Gli piace così tanto lo sport che vuole diventare giornalista. Per partecipare agli eventi sportivi e raccontarli agli altri. Comincia a lavorare nel più importante quotidiano di Torino, La Stampa. Certo, non come giornalista, ma con ruoli umili che però gli permettono di annusare l’aria di una vera redazione.
Come per tutti quelli della sua generazione, a un certo punto anche per Mike arriva la guerra a buttare tutto all’aria. Nel 1943, quando non ha ancora vent’anni, l’Italia dove è arrivato da bambino non esiste più. È spaccata in due. Al sud c’è il Re d’Italia, con il governo legittimo, alleato degli angloamericani. Da Roma in su c’è la Repubblica di Salò, lo stato collaborazionista messo insieme in fretta e furia da Mussolini e che riempie l’Italia di soldati nazisti, paura e terrore.
Mike, come tanti altri giovani del Nord Italia, si unisce ai gruppi partigiani che organizzano la resistenza. La maggior parte di loro combatte in montagna, organizza azioni militari contro i nazisti o cerca di comunicare con i luoghi dove ci sono gli inglesi e gli americani. Mike fa proprio questo, ovviamente il fatto che sia nato a New York e parli perfettamente l’inglese è un’ottima arma nelle sue mani. Dalle Alpi piemontesi viaggia verso la Svizzera portando messaggi. È molto rischioso, e infatti una volta i nazisti lo catturano.
In tempo di guerra, quello che fa Mike è un reato marziale grave, la pena prevista è la fucilazione. Si salva per un pelo, perché un ufficiale tedesco trova il suo passaporto. Cittadino americano, vede. Se lo fucilassero, ci sarebbero problemi molto seri. Così, gli risparmiano la vita. Ma i problemi non sono finiti. Mike viene trasferito a Bolzano, poi in Austria e poi ancora in Germania, da un campo di concentramento all’altro. Passa da prigioniero quasi un anno di vita. Nel febbraio del 1945, quando la guerra è ormai agli sgoccioli, Germania e Stati Uniti organizzano uno scambio di prigionieri. Mike è tra loro. Lo imbarcano su una nave, con la quale torna a New York da suo padre Philip. La guerra è finita, almeno per lui.
Clicca qui per scaricare il pdfA New York nel dopoguerra c’è spazio per ambizione e talento. E Mike ne ha da vendere! Fa il giornalista per alcune riviste locali, lavora alla radio, si occupa soprattutto di temi italoamericani e legati all’emigrazione, collabora anche con la radio in lingua italiana di New York.
All’inizio degli anni ’50, intanto, nell’Italia che faticosamente si sta rimettendo in piedi dopo i disastri lasciati dalla guerra e da vent’anni di fascismo, nasce la RAI. La tv pubblica italiana. Che per partire ha bisogno di persone del mestiere, gente che sa come si sta davanti a una telecamera. Certo, in Italia sono pochi. A New York invece c’è quel giovane italo-americano che parla sempre d’Italia e che ha l’aria di saperci fare.
Così la RAI chiama Mike Bongiorno e Mike Bongiorno risponde di sì. Dal 1952 arriva a Roma e con lui inizia l’avventura della tv italiana. Letteralmente.
Se siete ascoltatori di lungo corso di Salvatore racconta, forse ricorderete l’episodio dedicato alla storia della RAI. La prima trasmissione in assoluto della televisione italiana era un programma chiamato Arrivi e partenze, una serie di interviste fatte dall’aeroporto di Roma Fiumicino a persone importanti in partenza dall’Italia o appena arrivate. E chi faceva queste interviste? Proprio il nostro Mike. È suo il primo programma della tv italiana. Un segno di un destino che sarebbe durato per decenni.
Nel novembre del 1955 Mike segna una pietra miliare della sua carriera e della tv italiana in toto. Nasce il quiz Lascia o raddoppia? dove è lui a fare le domande ai concorrenti. Dopo ogni risposta esatta, il concorrente può decidere di andare a casa con quello che ha vinto o provare a raddoppiare il patrimonio. Il successo è incredibile. In quegli anni, le vendite di televisori schizzano alle stelle e persino i cinema, il giovedì sera, mandano in onda il quiz pur di non perdere clienti.
Lascia o raddoppia?, dopo quattro anni di onorata carriera, va in pensione. Ma per Mike è solo l’inizio. Recita negli spot pubblicitari, collabora con la tv svizzera, e conduce altri programmi di quiz. Uno di questi in particolare arriva al livello di successo di Lascia o raddoppia?, e si chiama Rischiatutto.
Gli anni Sessanta sembrano essere il suo periodo d’oro, anche perché la RAI gli assegna per cinque anni di fila il ruolo ancora oggi ritenuto il più importante per un presentatore televisivo italiano. Quello di presentare il festival di Sanremo.
Ricco, famoso, amato. Cosa serve di più a Mike Bongiorno per diventare l’autentico re della televisione italiana? Apparentemente niente. Fino a che non piombano sulla scena i concorrenti della RAI, le tv commerciali, e soprattutto quelle lanciate e gestite da Silvio Berlusconi.
Alla fine degli anni ’70, Berlusconi è ancora solo un imprenditore di successo, lontano dalla politica, ma le sue ambizioni sono chiare. Per ottenere il potere, ha bisogno di entrare nelle case e nel cuore degli italiani. Entrare nelle case, ormai è chiaro, è possibile con le televisioni. Entrare nei cuori si può fare mostrando in televisione qualcuno che gli italiani conoscono e amano come fosse uno di famiglia. Berlusconi ha bisogno di Mike Bongiorno.
Una cena a Milano alla fine degli anni Settanta segna quello che per la RAI è un doloroso tradimento, ma per la storia italiana un evento davvero in grado di cambiare le cose. Da quel momento, Mike Bongiorno passa a Fininvest, il gruppo televisivo di Silvio Berlusconi. Nulla sarà più come prima.
In un certo senso, Mike Bongiorno e Silvio Berlusconi si somigliano molto. Lo ha notato per primo, molti anni prima, lo scrittore e studioso Umberto Eco. All’estero è conosciuto soprattutto come autore di best-seller come Il nome della rosa, ma Eco è stato anche e soprattutto un grande semiologo ed esperto di comunicazione. Negli anni ’60 aveva dedicato un saggio scientifico a Mike, intitolato proprio Fenomenologia di Mike Bongiorno. Com’è possibile, si chiedeva Eco, che quest’uomo sia diventato così popolare? La risposta si trova nella sua normalità. Nell’Italia del tempo, in cui le personalità importanti sono quasi sempre intellettuali seri, colti, profondi e non di rado tristi e cupi, Mike è semplice, allegro, ridanciano, per niente eccezionale. Per gli italiani, è proprio uno di loro. Non uno da ammirare o da guardare da lontano, ma uno che potrebbero incontrare al bar.
Berlusconi lo capisce bene e su quest’idea fonda il suo programma politico che poi lo renderà per vent’anni l’uomo più potente d’Italia. Anche grazie a Mike.
Che negli anni di Mediaset continua a fare quello che sa fare meglio: ovvero i quiz. In particolare con la versione italiana del famoso quiz americano Ruota della fortuna che conduce ininterrottamente per più di vent’anni. E poi anche con un quiz che già nel nome dichiara quanto lui come presentatore sia diventato importante e riconoscibile. Si chiama: Telemike.
In questi lunghi anni di carriera si manifestano alcune delle caratteristiche più note di Mike Bongiorno e anche alcuni degli aneddoti più famosi su di lui. Mike si presenta in tv sempre sorridente e brillante, saluta sempre il pubblico con il famoso ‘allegria!’, ma è famoso anche per i suoi momenti di rabbia e per le sue gaffes, ovvero brutte figure fatte in diretta nazionale.
Quando ancora lavorava alla Rai, ha ospitato durante uno dei suoi quiz il compositore di fama internazionale John Cage, uno dei più grandi autori di musica del ventesimo secolo. Non ci sono prove video a conferma, ma pare che alla fine della puntata Cage abbia detto: “io me ne vado, ma la mia musica resterà”. E sembra che Mike abbia risposto: “beh, preferiremmo il contrario!” dimostrando di non avere capito l’importanza dell’uomo che aveva di fronte.
Altri aneddoti riguardano i suoi battibecchi con i concorrenti dei suoi quiz, in particolare quando, durante una puntata di Telemike, dopo aver scoperto una concorrente che sbirciava gli appunti, l’ha umiliata e offesa di fronte a milioni di telespettatori. E potrei citarne anche molte altre.
Mike Bongiorno è stato per anni una figura eccezionale e fuori dal comune, ma allo stesso tempo il ritratto perfetto dell’italiano medio. Un uomo che non voleva vergognarsi di non essere un intellettuale, che amava scherzare e provocare, che apprezzava la compagnia delle belle donne e che ogni tanto perdeva le staffe mostrando un temperamento decisamente mediterraneo, nonostante fosse nato sulle coste dell’oceano atlantico.
L’Italia degli anni Novanta e della grande stagione del berlusconismo è figlia, anche, del modello che lui ha rappresentato. Paternalista e patriarcale, ma anche scherzoso, brillante e comprensivo. Nel bene e nel male, insomma, uno spaccato d’Italia.
Dopo la sua morte, avvenuta nel 2009 quando aveva 85 anni, l’Italia ha organizzato per Mike i funerali di Stato. A ennesima dimostrazione del fatto che non era morto solo un presentatore televisivo, ma un pezzo di storia nazionale.
Oggi possiamo rivedere Mike nelle migliaia di video conservate su YouTube, ma anche nella statua che lo raffigura sulle strade di Sanremo, la capitale italiana dello spettacolo.
In giacca e cravatta, con un braccio in alto in segno di saluto e una cartella da presentatore nell’altra mano su cui spicca una sola, importantissima, parola. Allegria!
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