#38 – Sacco e Vanzetti, due vittime dell’ingiustizia
Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 20 novembre 2021.
Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale.
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Si può morire per delle idee?
Sì, purtroppo. Ancora oggi, se ci pensiamo. Ma la musica non era diversa cent’anni fa, anzi.
In vari posti c’erano idee diverse che semplicemente non erano accettabili per le persone al potere. E chi aveva quelle idee veniva allontanato, imprigionato, o addirittura ucciso.
A volte in modo palese e dichiarato. Come nelle dittature totalitarie. A volte in modo più sottile, trovando un pretesto per punire in pensiero.
Questa storia parte da un luogo che di solito è un simbolo di libertà. Gli Stati Uniti d’America.
Nei primi anni del Novecento, nei porti di New York e Boston arrivano ogni giorno enormi navi dall’Europa. Da quelle navi, scendono uomini e donne (ma soprattutto uomini), che hanno lasciato la propria casa e la propria famiglia in cerca di fortuna.
Sono anni in cui l’America cresce, sembra che ci sia spazio e opportunità per tutti. Basta avere pazienza e voglia di lavorare. L’Europa invece negli stessi anni cresce lentamente, non ha energie e risorse per nutrire tutti i suoi cittadini.
L’Italia in particolare è un Paese povero, bloccato, che offre poche possibilità.
Per questo, dall’Unità d’Italia fino all’inizio della prima guerra mondiale, nove milioni di italiani emigrano diretti in America. Alcuni negli Stati Uniti, altri in Argentina, Brasile, Uruguay.
Tra questi nove milioni di italiani, due in particolare sono diventati simboli e personaggi storici. Non lo immaginavano, e sicuramente non lo avrebbero desiderato. Perché sono stati uccisi, condannati a morte per un reato che non avevano commesso.
Erano colpevoli, forse, soltanto per le loro idee. Erano anarchici nel Paese delle libertà.
I loro nomi si pronunciano sempre insieme, perché sono morti insieme. Sono Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.
Vanzetti arriva in America per primo, sbarca dal transatlantico La Provence al porto di New York nel 1908.
Ha vent’anni, viene da un piccolo paese del Piemonte dove gestiva la piccola caffetteria del padre. A casa in Italia lui non vive in grande povertà, anzi se la passa discretamente bene, ma la morte della madre da giovane gli lascia un grave trauma e decide di emigrare.
Sbarca a New York, ma poi si sposta poi in Massachusetts dove fa tanti lavori: il cameriere, il minatore, l’operaio. Entra a contatto con la classe operaia americana, fatta di locali e di immigrati come lui. Inizia a leggere Marx, Bakunin, altri pensatori rivoluzionari e siccome è una testa calda, mentre lavora come operaio in un’acciaieria, organizza uno sciopero. Non va molto bene, però. Lo sciopero finisce, lui viene licenziato e siccome le voci corrono, nessun’altra azienda della zona lo vuole assumere. Sanno che è uno che porta guai.
Alla fine decide di mettersi in proprio, compra un carretto e inizia a vendere pesce al mercato di Boston.
Sacco arriva negli Stati Uniti un anno dopo, nel 1909. È pugliese, figlio di contadini. Praticamente da sempre ha zappato la terra sotto il sole, coltivando viti e ulivi. È partito per l’America sperando in una vita migliore, con meno fatica. A Boston ha trovato una moglie, un’altra emigrata italiana, e anche un lavoro in una fabbrica di scarpe. Gli sembra un passo in avanti. Uno stipendio fisso e tranquillo, indipendente dal sole e dalla pioggia.
Solo che i turni in fabbrica sono massacranti. Lavora dieci ore al giorno per sei giorni a settimana.
Furioso per questa situazione, partecipa a manifestazioni, organizza scioperi e diventa uno dei capi della protesta. Nel 1916, la polizia di Boston lo arresta come sovversivo, ma lo rilascia presto.
Proprio nel 1916 Sacco e Vanzetti si incontrano e diventano subito amici.
Il primo motivo è semplice: sono entrambi italiani. Nonostante il primo arrivi dalla Puglia e l’altro sia piemontese, hanno comunque più cose in comune tra di loro che con l’America dove si sentono sempre e comunque stranieri.
Il secondo motivo è ancora più semplice: hanno idee politiche comuni. Entrambi sono convinti che gli operai in America siano sfruttati e che si debba fare qualcosa per sovvertire questo sistema.
Le loro idee sono un po’ socialiste, un po’ liberali, in generale un po’ confuse all’inizio. Sanno quello che vogliono ottenere, ma non sanno come organizzarsi per farlo bene. Alla fine trovano la cornice ideologica ideale per la loro lotta: insieme a un gruppo di altri italo-americani della zona fondano un circolo anarchico.
In tutto ciò, mentre loro sono in America, in Europa e in Asia si combatte la prima guerra mondiale. Per un anno, gli Stati Uniti erano rimasti neutrali, non volevano sporcarsi le mani con una guerra europea. Fino al 7 maggio del 1915, quando un sottomarino da guerra tedesco affonda il transatlantico Lusitania, una nave carica di passeggeri americani diretta a Liverpool. È il primo di una serie di numerosi incidenti diplomatici portano il 4 aprile del 1917 gli Stati Uniti a dichiarare guerra alla Germania e ai suoi alleati.
Per prepararsi alla guerra, l’esercito a stelle e strisce organizza la mobilitazione generale. Chiunque abbia l’età e la condizione fisica per combattere, deve arruolarsi. Sacco e Vanzetti, assieme al loro circolo di anarchici, non hanno nessuna intenzione di farlo. Così, si danno alla macchia. Ovvero scappano per non farsi trovare. I loro motivi sono umani, non hanno voglia di andare a farsi ammazzare, ma anche politici. In quanto anarchici, rifiutano integralmente l’idea di partecipare alla guerra di uno Stato contro un altro Stato.
Restano in Messico in clandestinità fino alla fine della guerra e poi ritornano in Massachusetts alla loro vita normale. Nel frattempo, la polizia federale ha preso nota dei loro nomi e li controlla da lontano.
Dopo la fine della guerra, i gruppi di sinistra negli Stati Uniti non sono visti di buon’occhio. In Europa ci sono rivoluzioni, disordini, paura. Cose che gli americani a casa loro non vogliono vedere. Inoltre, si fidano poco degli immigrati europei. Soprattutto gli italiani, che parlano male l’inglese e non si integrano con gli altri.
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Nella primavera del 1920, l’FBI convoca nei suoi uffici di Boston un tipografo italiano. Si chiama Andrea Salsedo e fa parte del gruppo di anarchici di Sacco e Vanzetti. Salsedo viene interrogato per giorni dagli agenti federali fino a quando poi, misteriosamente, cade da una finestra. Siccome l’ufficio si trova al quattordicesimo piano, l’uomo cadendo muore sul colpo.
Per Sacco e Vanzetti è chiaro che quello non è stato affatto un incidente. L’FBI vuole smantellare la loro organizzazione anarchica e liberarsi di loro definitivamente. Hanno paura e sono pronti a combattere. Comprano delle pistole illegali sul mercato nero e intanto organizzano una manifestazione per protestare contro la morte di Salsedo che considerano un omicidio mascherato.
Pochi giorni prima della manifestazione, la polizia del Massachusetts bussa prima a casa di Sacco e poi a casa di Vanzetti. I due sono in arresto. L’accusa è di plurime omicidio e di rapina. Le pistole che trovano nelle loro case sembrano delle prove schiaccianti.
Un paio di giorni prima, c’è effettivamente stata una rapina. In un calzaturificio, ovvero una fabbrica di scarpe, nei sobborghi di Boston. I ladri, scappando, hanno ucciso tre persone.
Quando inizia il processo, non c’è la minima prova che a commettere la rapina e gli omicidi siano stati Sacco e Vanzetti. Il fatto che avessero delle pistole illegali non è una prova sufficiente. Tuttavia, è da subito chiaro che la corte ha pregiudizi nei loro confronti: i due imputati non parlano bene inglese e il giudice li chiama, testualmente, bastardi anarchici.
Il processo dura anni. Per Sacco e Vanzetti, le udienze sono frustranti. Capiscono che la corte li vuole incastrare. La società americana ha bisogno di un capro espiatorio e due italiani anarchici sono perfetti per quel ruolo.
Sacco e Vanzetti non hanno precedenti penali gravi e ancora non ci sono prove evidenti della loro colpevolezza, ma nel 1927, dopo sette anni di processo, il giudice li condanna comunque a morte, sulla sedia elettrica.
Quando la sentenza viene resa pubblica, a Boston esplodono le proteste dei gruppi socialisti e anarchici e anche della comunità italiana in generale. Tutti sono convinti, o addirittura sicuri, che Sacco e Vanzetti siano innocenti. O comunque non colpevoli di omicidio. Non meritano la sedia elettrica.
Arrivano proteste anche dall’Italia. Se da un lato sembra normale, dall’altro è quasi incredibile. Ricordiamo che è il 1927. In Italia da anni c’è al governo il partito fascista con al capo Benito Mussolini. È un eufemismo dire che il fascismo non amasse gli anarchici. Tuttavia, Mussolini decide comunque di fare qualcosa per Sacco e Vanzetti. Scrive una lettera ufficiale all’ambasciatore statunitense a Roma chiedendo la grazia per i due emigrati italiani.
La richiesta, ovviamente, viene rifiutata.
Il 23 agosto del 1927, Bartolomeo Sacco e Nicola Vanzetti vengono portati nel braccio della morte e uccisi sulla sedia elettrica. Condannati senza prove per degli omicidi che non avevano mai commesso. Condannati per le loro idee anarchiche.
I loro nomi, tuttavia, non sono stati dimenticati.
Subito dopo la loro morte, a Boston sono esplose le proteste. In America e in Europa per decenni e ancora oggi si è costruita la coscienza storica del loro sacrificio.
Nel 1971 è uscito un film dal titolo Sacco e Vanzetti, diretto dal regista Giuliano Montaldo. A comporre le musiche è stato il maestro Ennio Morricone e la stella del folk americano Joan Baez ha cantato un brano diventato famosissimo. Here’s to you, Nicola and Bart. Quattro versi, solo quattro versi, ripetuti in continuazione. Duri e affilati come le pietre. Versi di lotta e di giustizia, come da tradizione folk.
Nel 1977, a cinquant’anni di distanza dalla condanna a morte di Sacco e Vanzetti, il governatore del Massachusetts dell’epoca ha emesso un atto ufficiale di assoluzione dei due anarchici italiani dal crimine di omicidio.
Ci sono oggi vie intitolate a Sacco e Vanzetti in tutte le città d’Italia. A Carrara, città famosa per la sua tradizione anarchica, c’è un monumento a Sacco e Vanzetti. Non lontano a quello di un vecchio protagonista di questo podcast, Gaetano Bresci.
Nel 2016, Amnesty International ha lanciato una campagna per i diritti umani nel mondo e l’ha intitolata proprio a Sacco e Vanzetti.
Tra le tante ingiustizie del mondo, c’è anche quella che è toccata a loro. Condannati per un crimine commesso da qualcun altro, morti solo a causa delle proprie idee.
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