#37 – Alfonsina Strada, la pioniera della bicicletta
Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 13 novembre 2021.
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C’è stato un tempo in Italia in cui la bicicletta era praticamente tutto.
L’invenzione di quel mezzo a due ruote, con un sellino su cui sedersi e i pedali per andare avanti, aveva rivoluzionato le vite di molti.
Soprattutto le vite dei più poveri, che prima della bicicletta erano costretti ad andare ovunque a piedi. Non potevano permettersi, carri, cavalli e figuriamoci le prime automobili. La bicicletta invece andava bene per quasi tutte le tasche.
Per questo, quando il ciclismo è diventato uno sport, tutti lo hanno amato subito. Conoscevano la fatica dei ciclisti, perché era anche la loro fatica. Sognare di imitarli? Lo facevano tutti.
Tutti, sì, ma non tutte. Perché per tanto tempo, le donne dovevano andare in bicicletta in modo diverso. Con gonne lunghissime per non mostrare le gambe. In posizioni scomode e innaturali. E, soprattutto, dovevano usare la bicicletta solo per andare a lavorare o a fare la spesa. Di certo, non per partecipare alle gare. Quella era roba da maschi. Roba per muscoli potenti e pantaloncini corti. Cose che le donne non potevano e non dovevano avere.
Fino a quando non è comparsa sulla scena una ragazza emiliana, figlia di gente povera, destinata a fare la sarta, sposarsi e fare tanti figli. Proprio come sua madre.
Solo che questa ragazza un giorno ha scoperto la bicicletta. È salita sul sellino e non è più scesa. Ha scoperto l’emozione di sfidare i propri limiti e anche i limiti che le ponevano gli altri. La famiglia, la società, e le regole.
È diventata una ciclista professionista, quando le donne in bicicletta erano derise. Ha corso, si è allenata, ha lottato. E, nel 1924, ha partecipato al Giro d’Italia. Quello maschile.
Non ha vinto, ma è arrivata alla fine.
Dimostrando a sé stessa, ai ciclisti uomini e a tutta Italia che una donna poteva farcela.
Quella donna era Alfonsina Strada, e questa è la sua storia.
Alfonsina è nata nel 1891 a Castelfranco Emilia, una cittadina vicino a Modena. All’epoca si chiamava Alfonsina Morini, era questo il suo cognome da nubile. Il cognome Strada, così simbolico, lo avrebbe preso dopo il matrimonio.
La famiglia Morini è poverissima, vive letteralmente nella miseria in una casa di campagna vicino a Bologna. Suo padre, Carlo, e sua madre, Virginia, hanno dieci figli e, come se non bastasse, ne adottano sempre altri dall’orfanotrofio. Non lo fanno per compassione, ma per calcolo. Sanno che per ogni figlio adottato, riceveranno dei soldi dallo Stato. In quella casa con poco cibo e poca igiene però, i bambini muoiono come mosche. E chi non muore, va a scuola per due anni al massimo e poi a lavorare.
È ovviamente anche il destino di Alfonsina, che siccome è una ragazza, fa la sarta. Ripara e cuce vestiti per le signore di Bologna. In quel momento dalla vita non si aspetta niente. Conosce solo il lavoro, la fatica e la fame.
Un giorno, suo padre torna a casa con una bicicletta. È vecchia, un vero rottame, ma funziona ancora. L’obiettivo di Carlo è di usarla per andare a cercare lavori in città più velocemente.
Alfonsina di quella bicicletta si innamora subito. In gran segreto, di notte, impara a guidarla. Infine, convince i suoi genitori che lei davvero con una bicicletta può trovare un lavoro migliore. E in effetti lo trova. In una piccola fabbrica tessile a Bologna. Lì, Alfonsina cuce, taglia e modella per nove ore al giorno e in pausa pranzo, invece di riposarsi, va a guardare i ciclisti che si allenano. Dopo un po’, anche lei si allena con loro.
La cosa dà scandalo. Le colleghe della fabbrica sono sconvolte. Una donna che va in bicicletta in mezzo agli uomini? E con i pantaloncini corti?
Fatto sta che Alfonsina in bicicletta è brava, imita la tecnica degli altri e impara a ignorare gli insulti e le offese che gli uomini le gridano quando scoprono che è una ragazza.
Una volta partecipa a una gara dove è l’unica donna. Una gara piccola, tra dilettanti, nelle campagne bolognesi. Il premio è un maiale vivo. Oggi fa un po’ ridere, ma vista la fame di quel tempo, era veramente un premio da fare strabuzzare gli occhi. Nel fango e nella pioggia, contro ciclisti più forti di lei, Alfonsina a sorpresa vince.
La sua famiglia accetta volentieri il maiale, ma l’idea che Alfonsina faccia la ciclista proprio non va giù a nessuno. Il padre è furioso, e forse un po’ invidioso, la madre è più pragmatica. Le parla a quattr’occhi e le dice: Alfonsina, se vuoi fare la ciclista, non puoi farlo in questa casa. Trovati un marito e potrai fare quello che vuoi, se lui è d’accordo.
Alfonsina non ci pensa due volte e lo fa. Da tempo conosce un ragazzo simpatico e brillante, un meccanico con la passione per inventare le cose. È gentile con lei, e soprattutto la sostiene al cento per cento. Si chiama Luigi Strada. Diventerà suo marito. Le darà tutto il suo sostegno, il suo cognome e come regalo di nozze una bicicletta da corsa.
Alfonsina Strada è pronta a conquistare il mondo.
Clicca qui per scaricare il pdfDopo il matrimonio, Alfonsina comincia a vedere il mondo fuori dalle campagne bolognesi. Va a Milano, e poi a Torino, dove scopre che le cicliste donne non sono poi uno scandalo così grande. Nell’antica capitale del Regno d’Italia, ci sono anche gare femminili. Alfonsina partecipa soprattutto alle gare su pista, dove va più veloce di tutte e conquista il record femminile mondiale di velocità. È così famosa nel suo ambiente che viene invitata, con altri ciclisti italiani, a una gara di esibizione a San Pietroburgo, alla presenza dello zar Nicola II. È il 1909. Una povera ragazza emiliana ospite del palazzo d’Inverno. Sembra una favola.
Alfonsina è contenta, ma non è quella gloria che le interessa. Lei vuole gareggiare, andare in bicicletta, ottenere il successo sportivo. Per un periodo, continua a fare le gare su pista, poi torna in Italia perché nel suo destino, e nel suo cognome, c’è la strada.
La Gazzetta dello Sport, un giornale nato da poco, organizza il Giro della Lombardia. Una gara a tappe per un totale di 208 chilometri che passa per varie città e arriva a Milano.
Nel 1917, Alfonsina si presenta negli uffici della Gazzetta e chiede di iscriversi. C’è un problema. Il Giro di Lombardia è una gara per ciclisti uomini, nessuna donna ha mai partecipato. Il regolamento però non dice da nessuna parte in modo esplicito che le donne non sono ammesse. Così, Alfonsina si può iscrivere e correre.
La notizia di una donna al Giro di Lombardia suscita scalpore. Sui giornali per lei tanti commenti pieni di sarcasmo, battutine e veri e propri insulti. Ma lei è più forte delle malelingue. Pedala forte, resiste, e arriva fino alla fine.
Negli anni successivi, però, l’Italia diventa fascista. Mussolini ha le idee molto chiare sul ruolo della donna e su quello dello sport. Lo sport è importante, ma per gli uomini. Le donne invece devono stare a casa a occuparsi di mariti e figli. Le gare femminili sono abolite e Alfonsina è costretta a una grande umiliazione. Tornare in Emilia dai suoi genitori a lavorare come sarta.
Lei però non ha nessuna intenzione di arrendersi. Stringe i denti e si prepara alla sfida successiva. Partecipare al Giro d’Italia.
Da qualche tempo, Alfonsina non ha più accanto il suo più grande tifoso e alleato, suo marito Luigi. L’uomo mostra da tempo problemi psichici. A quel tempo, in Italia non esistono ospedali psichiatrici e le malattie della mente sono trattate in un modo che oggi ci sembra primitivo. Luigi Strada viene ricoverato in un manicomio, un posto a metà strada tra un ospedale e una prigione, dove viene tenuto lontano dalla gente. Alfonsina lo va a trovare ogni volta che può, spera che possa guarire, ma non succederà. Luigi Strada morirà solo, in manicomio, vent’anni dopo.
Intanto Alfonsina lotta ancora per la sua realizzazione. Il fascismo vuole che faccia la brava moglie e stia a casa. Ma suo marito è in manicomio, e lei a casa dei suoi genitori non ci vuole restare. Soprattutto con il padre, con cui è ormai ai ferri corti.
Nel 1924, Alfonsina torna a Milano e bussa di nuovo alla porta della sede della Gazzetta dello Sport. Voglio partecipare al Giro d’Italia, gli dice. Questa volta gli organizzatori sono pronti a risponderle di no. Il regolamento in questo caso è chiaro. Parla di corridori. Il plurale di corridore, sostantivo maschile.
Alfonsina però fa orecchie da mercante e insiste. Sa che il Giro quell’anno rischia molto. Tanti ciclisti importanti non parteciperanno, perché gli organizzatori non vogliono pagare i premi in denaro.
Per vendere copie del giornale, la Gazzetta ha bisogno dei campioni più famosi. O forse, di un caso un po’ eccentrico, come per esempio la partecipazione di una donna.
Alfonsina, evidentemente, ha toccato le corde giuste. Tanti vorranno sapere cosa succede a quel Giro d’Italia così folle da permettere persino la partecipazione di una donna. Tanti vorranno comprare il giornale e guardare le tappe. Accettano. Alfonsina Strada parteciperà al Giro.
La notizia è talmente incredibile che i giornali sbagliano a scrivere il suo nome. Sulla Gazzetta, nella lista dei partecipanti scrivono Alfonsin Strada. Sul Resto del Carlino, un giornale di Bologna, parlano di Alfonsino. La scoperta che si tratta di una donna arriva quasi per caso il giorno della partenza. Tra lo stupore, e anche la rabbia, di molti altri ciclisti.
Alcuni professionisti pensano che la partecipazione di una donna tolga prestigio alla gara. Altri temono che la gente prenda quel giro come una pagliacciata. In molti, sotto sotto hanno una paura segreta. Quella di arrivare in classifica dietro a una donna.
Il Giro è faticosissimo. Salite, discese, montagne, pianure, giorni di pioggia e fango e giorni di caldo terribile. Alfonsina fatica, cade, si fa male, rompe la bicicletta, si dispera, ma non si arrende. Tanti ciclisti durante le tappe si ritirano, altri sono squalificati perché il ritardo dal primo classificato è troppo. Alfonsina no. Resiste, e si tiene attaccata alla classifica con le unghie e con i denti.
All’inizio del giro sono partiti 90 ciclisti. Alla fine ne sono arrivati 30. Tra loro c’è lei, Alfonsina Strada. I tifosi, alcuni tifosi, la accolgono con regali e rose. Ce l’ha fatta.
La partecipazione al Giro d’Italia per Alfonsina sarà una cosa una tantum. L’anno dopo decidono che basta con gli scherzi, è ora di fare le cose sul serio, e quindi viene esclusa. Ma ormai è una ciclista famosa. Nonostante il maschilismo imperante, ha la stima e il rispetto di tanti altri professionisti del suo tempo. Anche quelli più giovani, di un’altra generazione, la conoscono. Come per esempio, un certo Fausto Coppi.
Per anni, Alfonsina torna in Francia dove può correre e guadagnare qualcosa. Non come ciclista sportiva, però, ma come attrazione del circo. È degradante per lei, ma almeno le permette di stare in bicicletta.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale torna in Italia, a Milano. Si risposa e apre un’officina con il nuovo marito, anche lui un ex ciclista, dove ripara e vende biciclette.
Nel 1958, a 68 anni, viene colpita da un infarto. Ironia della sorte, era appena tornata a casa da una gara di ciclismo a cui aveva partecipato da spettatrice.
Oggi non sono in molti in Italia a ricordarsi di Alfonsina Strada, purtroppo. Lo sport, in cerca di eroi ed eroine, sembra essersi dimenticato della pioniera della bicicletta che ha permesso al ciclismo femminile di nascere e di conquistare il rispetto. Il rispetto per la fatica e per la tenacia di chi spinge sui pedali.
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