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#36 Catania tra fuoco e mare

Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 16 ottobre 2021.

Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale.

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Catania Salvatore racconta Podcast in italiano per stranieri

 

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I vulcani di solito fanno molta paura. Del resto non è una cosa così strana. La lava che ne esce, i boati terribili e il loro stesso aspetto fanno sì che quando guardiamo un vulcano abbiamo un po’ di timore. L’idea che qualcuno viva là vicino, alle pendici di un vulcano, può sembrare molto strana.

In Italia di grandi vulcani ne abbiamo due. Uno è il Vesuvio, alle cui basi sorge la città di Napoli. Solo che attualmente il Vesuvio è un vulcano spento, i suoi ricordi di lava e distruzione risalgono a un tempo antichissimo e alla memoria di Pompei.

L’altro vulcano è l’Etna. Che invece è attivo, ma nonostante ciò, alle sue pendici esistono da secoli, se non addirittura millenni, tante piccole città che attorno al vulcano hanno costruito la propria identità.

E poi c’è una città più grande che è un po’ più lontana dall’Etna ed è vicina al mare. Una città che proprio con questi due elementi, il fuoco del vulcano e l’acqua del mare, ha costruito la sua identità.

Come tutta la Sicilia, è passata tra le mani di vari padroni e conquistatori. Alcuni l’hanno trattata bene, altri l’hanno trattata peggio, ma quasi tutti hanno lasciato tracce importanti.

Insomma, se non lo aveste ancora capito, oggi si parla di Catania. Tra fuoco e mare.

E come sempre, partiamo da un po’ di storia.

Come è già successo per Palermo, anche la storia di Catania comincia da lontano. I primi a costituire da queste parti un centro urbano vero e proprio con un nome simile a quello attuale sono stati i Greci. Coloni partiti dalla Grecia e in cerca di nuove terre.

Arrivano e costruiscono una polis, Katané. In Sicilia ce ne erano altre, soprattutto la vicina Siracusa, che di Catania diventa subito una rivale politica e militare. Mentre i greci della madrepatria combattono la guerra tra Atene e Sparta, in Sicilia accade qualcosa di simile. Catania, vicina ad Atene, si trova in guerra contro Siracusa, legata agli spartani.

Nel Peloponneso vince Sparta e nelle colonie siciliane vincono i suoi alleati. I siracusani conquistano Catania, che esce a testa bassa da questa fase e diventa per un po’ una città di secondo livello.

Fino a quando, come succede sempre, un grosso cambiamento arriva quando arrivano i romani.

La conquista romana della Sicilia segna una pietra miliare nella storia di Catania che così ridiventa una città ricca e cruciale nelle sorti dell’Impero. Quando nei confini di Roma arriva da oriente il cristianesimo, Catania è in prima fila. E infatti anche la santa patrona della città, Sant’Agata di cui parleremo, è una martire dei primi secoli del cristianesimo, quelli delle persecuzioni.

Con il tramonto dell’Impero e l’inizio del medioevo, la Sicilia passa continuamente da un conquistatore all’altro. La sua posizione strategica e le sue risorse agricole del resto fanno gola a molti. Così, dopo che si è sfaldato del tutto il potere imperiale, arrivano prima gli Ostrogoti, poi i bizantini, poi ancora gli arabi e infine i normanni.

Nel periodo normanno, Catania comincia a prendere la forma che conosciamo oggi. A partire da uno degli elementi architettonici più famosi della città oggi, il Castello Ursino.

Alla fine del periodo normanno, con la morte dell’imperatore Federico II che aveva fatto della Sicilia il centro del suo impero, comincia un altro periodo di confusione. L’isola passa sotto il controllo della dinastia Angiò, di origine francese e alleata del Papa. Solo che Papa e francesi hanno fatto i conti senza l’oste. I siciliani non sono contenti di quest’idea e scoppia la rivoluzione diventata famosa come I vespri siciliani.

Ne viene fuori un periodo confuso in cui la Sicilia prova a diventare un regno indipendente, di cui Catania per qualche anno è capitale. Ma il periodo non è adatto alle rivoluzioni. La politica si fa a livelli più alti, e infatti dopo un po’ in Sicilia arriva la dinastia spagnola degli Aragona.

In varie forme, e sotto varie dinastie, da quel momento fino all’Unità d’Italia, Catania con tutta la Sicilia resta nell’orbita della Spagna.

Non è una dominazione spiacevole, anzi. A Catania viene istituito un senato nobiliare con una certa autonomia, nasce l’Università di Catania, la più antica di tutta la Sicilia e l’identità architettonica della città diventa sempre più chiara. Dalla madrepatria spagnola arriva il barocco e i catanesi ci vanno a nozze. Le strade si riempiono di palazzi in questo stile che in Sicilia diventa peculiare e riconoscibile ancora oggi.

Durante il Seicento tuttavia il processo di crescita viene fermato. Questa volta, per cause naturali. Nel 1669, una possente eruzione dell’Etna arriva a toccare i confini di Catania distruggendo le campagne vicine e danneggiando in parte le mura. 25 anni dopo, un’altra catastrofe naturale. Questa volta è un terremoto. Causa migliaia di vittime, distrugge palazzi e strade, cancella le tracce del passato e lascia la città letteralmente in ginocchio.

Catania si riprende lentamente, ma resta fuori dalla grande storia europea. Quando a metà del XIX secolo si compie l’Unità d’Italia, un pezzo importante passa dalla conquista della Sicilia da parte di Garibaldi, ma Catania resta ancora piuttosto in disparte.

Nel Novecento, infine, la città trova la collocazione che ancora ha oggi. Supera senza problemi particolarmente gravi le due guerre mondiali e nell’Italia repubblicana continua la sua crescita economica e sociale. Come Palermo, anche Catania ha le sue pagine nere riferite alla mafia, in particolare con l’uccisione del giornalista Pippo Fava, colpevole di avere scritto articoli e inchieste sul potere di Cosa nostra.

 

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Oggi Catania è una città moderna che ha il suo cuore nell’università e nelle aziende di servizi e tecnologia che ne occupano il territorio. Tuttavia ha perso un po’ di smalto rispetto a venti o trent’anni fa, e soprattutto ha perso residenti, che preferiscono vivere fuori città. Ma che tornano volentieri a fare una passeggiata nel cuore cittadino.

Di cosa è fatto questo cuore cittadino? Per parlarne bene, dobbiamo toccare un po’ di leggende. A partire dal simbolo di Catania, un elefante.

Che ci fa un elefante in Sicilia? E perché è il simbolo di Catania? La verità storica non è precisa, ma legata a delle leggende. Pare che sia legato al misterioso Eliodoro, un mistico e religioso del periodo tardo antico che ambiva a diventare vescovo di Catania. Solo che, oltre che alla religione cristiana, si interessava molto –troppo- alla magia e a dei riti strani, inaccettabili per la chiesa. Secondo alcune versioni della leggenda, l’elefante era una creazione di Eliodoro, con cui il mago si muoveva per la città e tormentava gli abitanti. Secondo altre, l’elefante è nato dalle ceneri del mago, bruciato dopo aver sfidato il vescovo dell’epoca San Leone. La statua che possiamo ammirare oggi in piazza Duomo a Catania non è quella originale, distrutta dal terremoto, ma una versione nuova costruita nel 1735 dall’architetto e scultore Giovan Battista Vaccarini. Per ironia della sorte, un palermitano.

Sulla stessa piazza si trova, per l’appunto il duomo dedicato alla patrona cittadina, ovvero Sant’Agata, martirizzata dalle autorità romane perché cristiana e torturata anche con il taglio dei seni. Le celebrazioni della santa si tengono ogni anno il 5 febbraio e coinvolgono tutta la città con una processione che passa dalla suggestiva via Crociferi. Un rito cristiano e profondamente religioso, ma che ha anche elementi folclorici e con un sapore anticamente pagano. Come il culto del velo della santa, che si dice abbia il potere di fermare la lava e proteggere la città dalle eruzioni dell’Etna.

Poco lontano dal Duomo c’è un altro dei palazzi simbolo di Catania, il teatro dell’opera dedicato al compositore catanese Vincenzo Bellini, autore di opere liriche famose e messe in scena ancora oggi. Una su tutte: la Norma.

Se siete già stati a Catania, forse alla parola Norma non avete collegato un’opera lirica ma un piatto. E non avete fatto un errore, anzi. La pasta alla norma è uno dei piatti più caratteristici di Catania. Secondo una leggenda, deve il suo nome proprio all’opera di Bellini, perché talmente buona da suscitare emozioni simili a quelle della lirica. È davvero così buona? Secondo me sì, ma giudicate voi: si tratta di pasta, di solito corta come maccheroni o penne, condita con sugo di pomodoro fresco, melanzane fritte e ricotta salata. Che ne dite?

Anche senza la norma, a Catania non mancano i prodotti culinari da gustare. A partire dai famosi arancini, dei piccoli coni di riso farcito, impanato e fritto.

Ma probabilmente da queste parti, il meglio arriva con i dolci. Sicuramente conoscete i famosi cannoli siciliani. A Catania troverete anche gli iris, che sono dei panini dolci ripieni di crema e molto croccanti fuori, oppure un dolce legato al culto di Sant’Agata e chiamato in dialetto le minnuzze. Sono dolci fatti di pan di spagna farcito con glassa bianca e coperti da una ciliegia candita in alto. Ricordano dei seni, proprio per onorare il martirio di Sant’Agata, e personalmente mi fanno un po’ impressione, ma sembra che siano molto buoni.

Non si può, infine, passare da Catania senza mangiare una granita accompagnata da una brioche. La colazione ideale di ogni giorno d’estate. La granita, quella vera, si può mangiare davvero soltanto da queste parti. È un dolce apparentemente semplicissimo, fatto di acqua alla consistenza della neve, zucchero e aromi. La più tradizionale è quella ai limoni o alle mandorle, frutti dai profumi e sapori molto legati a questo territorio.

Per quanto riguarda i vini, la Sicilia in generale è terra di rossi molto intensi come il Nero d’Avola. Ma è anche terra di vini bianchi particolarmente dolci, ideali per accompagnare un dessert. Il passito, il moscato, lo zibibbo sono un ottimo modo per bagnare la bocca tra un morso e l’altro a un bel cannolo alla ricotta.

Chiudiamo come sempre con una nota legata al calcio. La squadra più tifata a Catania è certamente il Catania, che gioca le sue partite casalinghe allo stadio che si trova nel quartiere di Cibali e porta il nome di Angelo Massimino, presidente del leggendario primo Catania mai arrivato in serie A. Il calcio Catania, riconoscibile per le sue divise a strisce rosse e azzurre e all’elefantino nel simbolo, ha avuto un momento di assoluta grandezza all’inizio del XXI secolo quando suo allenatore è stato per un po’ Diego Simeone, oggi uno dei più apprezzati tecnici a livello mondiale. Attualmente la squadra naviga in cattive acque, in serie C e rischia il fallimento dopo una gestione finanziaria non particolarmente scrupolosa.

In generale, da qualche anno, Catania ha un’aria malinconica di grande città un po’ decaduta, in cerca di un nuovo modo per stare al mondo. Se volete vederla tutta, salite sulla cupola della Chiesa della Badia e godete del panorama incredibile di questa città che cresce tra due vicini scomodi: da un lato un vulcano gigantesco e dall’altro una tavola d’acqua infinita. È una vista mozzafiato, e ricorda a tutti che l’identità di questo posto non può che tenere conto di dove si trova, sempre e per sempre tra il fuoco e il mare.

Per questo episodio devo fare un ringraziamento a Giulia, che ama Catania e ama raccontarla e mostrarla agli amici stranieri. Quindi è stata un’alleata perfetta per la mia memoria, come del resto lo è per questo podcast in generale da quando è nato.

 

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