fbpx

#34 Giordano Bruno, una vita per la libertà

Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 24 ottobre 2021.

Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale.

Per ascoltarlo, clicca qui.

Giordano Bruno Salvatore racconta Podcast in italiano per stranieri

 

Clicca qui per scaricare il pdf

 

Se fate una passeggiata per il centro di Roma, la cosa migliore da fare è perdersi. Sembra un consiglio strano. Perdersi in generale non è una cosa desiderabile.

Il fatto però è che Roma è piena di piazze e strade ricche di storie, alcune di queste sono poco conosciute e se andate soltanto per le strade principali non le scoprirete mai.

Se accettate l’idea di perdervi, più o meno tra piazza Navona e Palazzo Farnese, capiterete in una piazza rettangolare. Di giorno, è piena di banchi che vendono frutta, verdura e formaggi. Di sera, i banchi del mercato chiudono e aprono i locali che ci sono sui lati. La piazza si riempie di tavolini, di rumore di bicchieri che tintinnano e del parlottio delle persone.

Questa piazza è Campo de’ Fiori. Tutto qui accade attorno a una statua, che si trova esattamente al centro.

Una statua di bronzo su un piedistallo di pietra, e che raffigura un uomo con le mani incrociate che reggono un grosso libro. Il volto dell’uomo non si vede bene, perché è coperto da un cappuccio, ma mostra un’espressione severa e arrabbiata. Dato che la statua è rivolta verso il Tevere, è come se il volto dell’uomo guardasse verso il fiume e quello che si trova al di là.

Al di là della riva del Tevere, in quella direzione, si trova la Città del Vaticano.

Quella statua che guarda severa verso il Vaticano raffigura un filosofo che la Chiesa cattolica al suo tempo ha dichiarato come terribile nemico. Un nemico da condannare nel modo più orrendo. Bruciato sul rogo, in piazza. Proprio in quella piazza, a Campo’ de Fiori.

Da più di 130 anni a Roma, sul Vaticano giorno e notte cade lo sguardo accusatore di quell’uomo, bruciato come eretico, morto per la libertà. È lo sguardo di Giordano Bruno.

Giordano Bruno nasce nel 1548 a Nola, vicino a Napoli.

E per la verità, il suo nome al battesimo non è Giordano, ma Filippo. Diventa Giordano quando ha circa 14 o 15 anni ed entra in un convento di domenicani. Come da tradizione monacale, abbandona il suo nome secolare e ne prende un altro.

Il giovane Giordano Bruno è un ragazzo curioso, ama studiare. In quel periodo storico, studiare è una cosa che si può fare bene praticamente solo diventando prete o frate.

La Chiesa cattolica in quegli anni vive con il coltello tra i denti. Poco tempo prima, Martin Lutero e Giovanni Calvino hanno messo a ferro e fuoco il mondo cristiano. Hanno creato le chiese protestanti, che rifiutano l’autorità del Papa e alcuni dogmi della Chiesa romana.

Quando Giordano Bruno era nato, la Chiesa aveva già preparato la risposta. La controriforma partita con il Concilio di Trento.

Insomma, sono anni in cui la Chiesa deve reagire a un attacco molto duro. Per farlo, sarà rigida, dogmatica, per niente pronta al confronto con idee diverse.

Il giovane frate Giordano Bruno, nel convento di San Domenico a Napoli, legge molto, studia, ma si interessa ad autori e correnti di pensiero che lo allontanano dai dogmi della Chiesa.

Su Bruno corrono molte voci di corridoio e i frati napoletani vogliono processarlo per eresia. Lui mangia la foglia e scappa. Passa da Roma dove però resta poco. La città è in preda al caos, e lui viene addirittura accusato dell’omicidio di un altro frate.

Scappa di nuovo, diretto a Genova, poi a Torino e quindi Padova e Brescia. Sembra davvero un’anima in pena, in cerca del suo posto nel mondo. Continua a leggere, scrivere, insegnare e guarda con scetticismo la fede cristiana di alcuni che incontra e che a lui sembra troppo legata al culto delle reliquie e dei santi.

Decide infine di lasciare l’Italia e va a Ginevra, la città di Giovanni Calvino. Lì trova la protezione di un nobile napoletano che ha fondato una comunità di riformati italiani e prende una decisione fondamentale. Diventa calvinista.

Tanti storici, teologi e filosofi si sono interrogati su questa cosa. Giordano Bruno ha davvero accettato il calvinismo rifiutando il cattolicesimo? Probabilmente no, o almeno non in modo così semplice.

Per lui, essere cattolico o protestante non aveva una grande differenza. La sua fede in Dio era uguale e gli importava soprattutto avere la libertà di studiare, e soprattutto di insegnare, la sua grande ambizione.

A Ginevra si inserisce nel mondo universitario, ma entra subito in conflitto con i predicatori calvinisti. Forse per la sua ambizione di mostrarsi brillante, forse per autentiche questioni filosofiche e di fede. Il conflitto è serio, la chiesa calvinista scomunica Giordano.

Così lui cerca rifugio in Francia, nuovamente tra i cattolici, e là ottiene finalmente il suo primo ruolo universitario. A Tolosa e poi a Parigi. Una strada che lo porta direttamente alla corte del re francese del tempo, Enrico III.

Lì Giordano inizia la sua vera fortuna. Le sue idee sono apprezzate e studiate, e lui ha un talento prezioso, quello di farsi ascoltare dalle persone, anche dai pezzi grossi, come il re di Francia.

È in quell’ambiente poi che comincia a scrivere le sue opere più importanti, quelle che creano la base del suo pensiero molto complesso e che lo rendono famoso, e discusso, in tutta Europa.

Dopo due anni intanto abbandona Parigi e comincia un giro che lo porta in Inghilterra, in Germania, a Praga. Tutti luoghi dove il pensiero riformista ha un peso importante e dove lui riceve consensi e incarichi universitari.

In questa fase Giordano Bruno, esponendo le sue teorie, molto probabilmente non si considera un nemico della Chiesa. Lui sente che le sue idee sul mondo e su Dio riguardino non solo i protestanti, non solo i cattolici, ma tutta la cristianità.

E il centro della cristianità, su questo non ci piove, è ancora l’Italia. Giordano Bruno sa che, se vuole portare avanti le sue idee, deve tornare lì.

Sa cosa lo aspetta? Probabilmente no.

 

Clicca qui per scaricare il pdf

 

La prima tappa del suo ritorno nello stivale è a Padova, dove insegna per un po’. Poi a Venezia dove accetta di lavorare e vivere alla corte del nobile locale Giovanni Francesco Mocenigo. La corte del veneziano però per Giordano Bruno si rivela una gabbia dorata. In quel contesto può ancora lavorare, scrivere e insegnare. Però quando Giordano vuole lasciare Venezia, magari tornare a Francoforte, Mocenigo la prende come un’offesa personale, e lo fa arrestare dal tribunale dell’Inquisizione con l’accusa di eresia.

Il pensiero filosofico di Giordano Bruno in quel periodo è molto complesso, ricco di sfumature e di teorie. Alcune delle quali non riguardano nemmeno la religione. Lui lo sa, è abbastanza sicuro di sé, delle sue teorie e della possibilità di difendersi.

Tuttavia, sa anche che l’Inquisizione è molto severa, che in quel periodo la Chiesa ha bisogno di certezze e non di dubbi, e che lui in quella situazione rischia anche la vita.

È pronto a difendersi, ma anche a scusarsi e ritrattare alcune tesi in contrasto con la dottrina.

Non è abbastanza, però. Quando a Roma arriva la notizia che l’Inquisizione veneziana sta processando Giordano Bruno, lo vogliono tutto per loro. Chiedono, e ottengono, l’estradizione.

A Roma per lui inizia un secondo processo, che sarà lunghissimo. Entra nel carcere romano del Sant’Uffizio  il 27 febbraio del 1593. Uscirà solo sette anni dopo, per essere giustiziato.

Il processo romano dura dunque molti anni, durante i quali l’Inquisizione romana prova a raccogliere tutti i libri di Giordano Bruno per cercare al loro interno le prove della sua eresia.

È un lavoro lungo. Nel frattempo Giordano è in cella, lontano dal mondo. Aspetta e riceve nuove accuse. Come quella di un compagno di prigione dei tempi di Venezia che accusa Bruno di essere un eretico e un bestemmiatore.

Intanto i vescovi e i teologi del Sant’Uffizio analizzano le sue opere e sono pronti per iniziare il vero processo.

Giordano Bruno nega le accuse di eresia più volgari. Lui di certo non bestemmia e non dubita dell’esistenza di Gesù Cristo. Le accuse più importanti riguardano le sue riflessioni filosofiche sul mondo e sull’essenza del mondo, che inevitabilmente riguardano anche l’essenza di Dio.

Per studiare e attaccare al meglio queste idee, la Chiesa chiama a Roma il toscano Roberto Bellarmino, un vescovo gesuita e coltissimo. Anche la Chiesa infatti, mentre lo processa, ammette che Giordano Bruno è un intellettuale di grande valore e per questo gli mette di fronte un avversario alla sua altezza.

Il processo diventa un duello tra Bellarmino e Bruno. Nel 1599 alla fine Giordano ritratta alcune delle sue tesi. I cardinali non sono del tutto soddisfatti, perché la sua risposta pare ambigua.

Allora vogliono provare con la tortura. Il tribunale dell’Inquisizione non è deciso a giustiziare Giordano Bruno, a meno che non sia strettamente necessario. Per l’immagine della Chiesa, sarebbe più utile e soddisfacente se Bruno ammettesse i suoi errori. Bruciarlo come eretico sarebbe una sconfitta.

Dopo le torture, Bruno si presenta di fronte al tribunale pronto ad abiurare, ovvero a negare tutto quello che ha scritto. La Chiesa romana canta vittoria. È il 10 settembre del 1599.

Sei giorni dopo, tuttavia, Giordano Bruno scrive una lettera al Papa in persona. È un testo in cui si rimangia la parola e nega tutto. Non è vero che vuole abiurare, crede ancora in quello che ha scritto anche se contrario all’insegnamento della Chiesa.

Questa è la goccia che fa traboccare il vaso. Il processo è concluso. La sentenza è di condanna a morte.

Il 17 febbraio del 1600 portano Giordano Bruno in piazza Campo de’ Fiori, lo spogliano e poi gli danno fuoco. Tra persone che lo guardano e pregano, il filosofo muore, bruciato vivo.

Per secoli, e in parte ancora oggi, la Chiesa ha considerato Bruno un suo nemico. Alcuni teologi riconoscono nel pensiero del filosofo un’incredibile modernità, e forse anche un’affinità con il pensiero di oggi della Chiesa, almeno su alcune questioni.

Di certo Giordano Bruno nel tempo è diventato un simbolo della libertà di pensiero e dell’opposizione alla Chiesa.

La statua che oggi a Roma lo raffigura si trova lì dal 1889. Dopo una battaglia durata anni, un gruppo di studenti liberali e anticlericali ha ottenuto il permesso dalla città di Roma per farla costruire. Il governo italiano ha dato il suo assenso. Il Papa ovviamente non era contento, ma a quel punto non aveva più voce in capitolo.

Più di un secolo dopo, la statua di Giordano Bruno è ancora lì. Aveva ragione? Aveva torto? Ha combattuto una battaglia di libertà o era solo un fanatico eretico?

La risposta non è una sola, ed è troppo complessa. Di sicuro lui ha il suo spazio nella memoria di tutti. E da Campo de’ Fiori ogni giorno guarda fisso i suoi aguzzini.

 

Clicca qui per scaricare il pdf

 


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *