#33 Tiberio Mitri, l’angelo biondo del ring
Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 16 ottobre 2021.
Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale.
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Le storie di sport, tutte, sono fatte di salite e discese. E di emozioni forti.
L’euforia delle grandi vittorie, la frustrazione delle grandi sconfitte, l’entusiasmo di una carriera all’inizio e la malinconia della fine che si avvicina.
Succede per tutti gli sport, ma forse per nessuno così bene come per il pugilato. Ovvero, la boxe.
I pugili si mettono in discussione ogni volta. Puoi vincere il titolo e diventare campione. Poi basta perdere una volta. Una volta sola. Ed è di nuovo tutto finito.
Nel pugilato è facile passare dalle stelle alle stalle.
Oggi parliamo di un pugile eccezionale.
Uno che è partito da niente e che è arrivato al massimo. O quasi al massimo. Prima di cadere giù. Di sprofondare verso una fine tragica.
È stato un pugile nell’era d’oro del pugilato. Tra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta. Gli anni di Rocky Marciano, Primo Carnera, Joe Luis.
Gli anni in cui i campioni di pugilato riempivano le pagine sportive dei giornali, e a volte conquistavano anche la prima pagina. Gli anni in cui sposavano le dive del cinema. Gli anni in cui tra il pubblico di un incontro di pugilato potevi incontrare Frank Sinatra.
Il pugile di cui parliamo noi ha visto quel mondo da vicino partendo da Trieste e da una vita difficile. Nonostante abbia preso tanti e tanti pugni in faccia, è stato sempre un uomo molto bello. Per questo, lo chiamavano l’angelo biondo del ring. Era Tiberio Mitri, e questa è la sua storia.
Quando nasce Tiberio, nel 1922, Trieste è una città che sta cercando il suo posto nel mondo. Fino a pochi anni prima era una città ricca, vivace, piena di gente che parlava mille lingue. Era il porto più importante dell’Impero austroungarico.
Ma dopo la fine della prima guerra mondiale, l’impero austriaco non esiste più, Trieste è una città del Regno d’Italia e soffre la fame arrivata con la fine della guerra.
La famiglia Mitri è una di quelle che soffre la fame. Quando Tiberio è piccolo, i suoi gestiscono una piccola osteria. Quando suo padre muore, è la madre di Tiberio che deve farsi in quattro per dare da mangiare ai figli e permettergli di andare a scuola.
Anche se a scuola, Tiberio non ci va volentieri. Preferisce passare le mattinate per le strade di Trieste con gli altri ragazzi. Non sono esattamente bravi ragazzi. Sono figli di gente povera, mangiano poco e male, sono arrabbiati e induriti dalla vita. Si organizzano in bande, si dividono i quartieri e quando si incontrano, si picchiano. Tiberio capisce subito che per conquistare il rispetto dovrà usare i pugni, e usarli bene.
Lo fa per strada e lo fa anche al riformatorio, ovvero una prigione per minorenni dove passa qualche mese. Il rispetto degli altri passa dalla paura, e solo i più forti resistono. Tiberio Mitri è uno dei più forti.
Quando esce dal riformatorio, tra i ragazzi di Trieste tutti sanno che Tiberio è uno bravo a dare pugni. Così finisce presto per frequentare una palestra di pugilato nel suo quartiere. Lì incontra quello che sarà il suo mentore e maestro. Un allenatore che gli cambierà la vita. Si chiama Bruno Fabris.
Fabris prende dalla strada questo ragazzo magrolino ma duro come un tronco e gli insegna la tecnica. Destro, sinistro, guardia. Montante, gancio, diretto. E i piedi. Sempre in movimento. Ricordalo, Tiberio.
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Con i guantoni e il paradenti, Mitri comincia a farsi conoscere nell’ambiente del pugilato di Trieste. Ma nel frattempo in città, come in tutta Europa, torna la guerra. E quindi ci sono altre cose a cui pensare.
La seconda guerra mondiale per l’Italia è un conflitto tragico e anche molto confusionario. All’inizio, quando al governo c’è Mussolini, l’Italia combatte da alleata dei nazisti. In Albania, in Grecia, in Africa, poi anche in Russia. Finché non arriva una data cruciale, l’8 settembre del 1943. Mussolini scappa, poi ritorna, l’Italia si spacca. Al sud c’è il re Vittorio e il suo governo, alleati degli americani. Al nord i fascisti sono tornati, più cattivi di prima, fondano una repubblica collaborazionista.
Tiberio Mitri di tutto questo ci capisce poco e cerca di fare quello che può per sopravvivere, giorno dopo giorno. Rischia seriamente di fare una brutta fine quando dei soldati nazisti lo arrestano accusandolo di essere un disertore. Lo mandano alla Risiera di San Sabba dove i tedeschi hanno costruito un lager. Lì le possibilità per lui sono due. Morte per fucilazione, o deportazione in Germania.
Si salva per miracolo. Un comandante della milizia di Trieste appassionato di pugilato lo riconosce e lo fa uscire. Ancora una volta, Tiberio Mitri è stato salvato dai suoi pugni.
Dopo la guerra, mentre a Trieste comandano gli angloamericani, Tiberio trova una sua dimensione. Lavora al porto, la sera va in palestra per allenarsi e dopo dritto in osteria per mangiare, bere e corteggiare le donne.
Gli va tutto bene, anche troppo bene. Sembra un miracolo quella vita così tranquilla dopo la fame dell’infanzia e la paura della guerra. Anche il pugilato va bene, meglio del previsto. Si capisce che Mitri non è uno dei tanti ragazzi di strada che ha iniziato a fare boxe per sfogarsi. Lui è forte davvero. Può diventare un campione.
Così Fabris, il suo allenatore, prova a convincerlo a diventare professionista. Tiberio non è sicuro, è una scelta difficile. Da pugile professionista dovrà lasciare il suo lavoro e iniziare una carriera breve, rischiosa e forse anche letale. D’altro canto, è un’occasione imperdibile.
Un’occasione di gloria e ricchezza che un ragazzo povero di Trieste non avrebbe mai potuto sognare. Così alla fine accetta. Lascia la sua vita tranquilla e diventa un professionista.
Tiberio inizia alla grande. Tra Italia e Svizzera combatte 26 incontri vincendone 23. A soli ventuno anni, è già campione italiano nella categoria dei pesi medi.
A quel punto prova ad alzare l’asticella e puntare più in alto. A Bruxelles sfida il campione europeo, il belga Cyriel Delannoit. E vince. Nel 1949 Tiberio Mitri ha 23 anni ed è già il pugile più forte d’Europa nella sua categoria.
Nel frattempo è famoso, anzi famosissimo. I giornali parlano di lui, i fotografi lo circondano, e le fan lo riempiono di lettere.
Una in particolare l’ha raggiunto un giorno mentre era in palestra ad allenarsi. Era la lettera di una ragazza, una sua concittadina, che voleva conoscerlo. Nulla di strano, di lettere così un campione del pugilato ne riceveva a decine. Ma quella era speciale. La firmava non una ragazza qualsiasi, ma Fulvia Franco, triestina, ma soprattutto Miss Italia 1948.
Lo stesso Mitri racconta che quel giorno, dopo aver visto la lettera, ha lasciato l’allenamento a metà, ha preso la moto ed è andato da lei. Due anni dopo, dentro una chiesa pienissima di curiosi e giornalisti, Tiberio Mitri e Fulvia Franco diventano ufficialmente marito e moglie. Il campione e la regina di bellezza, sembra proprio una storia da favola.
Intanto l’entourage di Tiberio lo convince a fare un ulteriore passo avanti. Il più difficile di tutti. Andare in America per sfidare il campione del mondo. L’italo-americano Jake La Motta, che tutti chiamano Il toro del Bronx.
Tiberio Mitri all’inizio è molto incerto. La sua vita sembra perfetta, ma c’è molta polvere sotto il tappeto. Il matrimonio con Fulvia è difficile. Lui viene da una cultura molto patriarcale, si aspetta che la moglie stia a casa e gli prepari da mangiare, ma lei è la donna più bella d’Italia, lo sa bene e vuole fare carriera come attrice. Quando sente parlare della possibilità di partire per l’America, lei ha già le ali ai piedi. Tiberio invece proprio no.
Non si sente pronto a combattere con La Motta, ha paura di prendere l’aereo ed è geloso di quello che potrà fare sua moglie in America.
Alla fine però, ancora una volta, accetta. Prenota per Fulvia un albergo per sole donne e intanto lui si allena e combatte alcuni incontri preparatori.
Il 12 luglio del 1950, Tiberio Mitri compie 24 anni e li festeggia nel tempio mondiale del pugilato, il Madison Square Garden di New York. Quella sera è pronto a combattere contro il toro del Bronx. Chi vincerà, sarà campione del mondo dei pesi medi.
Al gong, Tiberio non sembra molto in forma, sembra stanco e confuso. La Motta invece è un toro scatenato, attacca senza pietà e alla fine vince. Sarà ancora lui il campione del mondo, mentre Tiberio deve tornare in Italia con le pive nel sacco.
Come Icaro che si è avvicinato troppo al sole e si è bruciato le ali, Tiberio Mitri dopo la sconfitta contro La Motta vive un periodo di crisi.
Nel 1954 il suo matrimonio con Fulvia arriva alla fine. Lui è troppo geloso, lei vuole altro dalla vita. Nello stesso anno di questo fallimento personale, tuttavia, Tiberio torna in sella dal punto di vista sportivo.
Il due maggio di quell’anno infatti Mitri sfida a Roma il campione europeo in carica, il britannico Randy Turpin. Si è allenato bene. Sente che ce la può fare. E ce la fa in un modo incredibile. L’incontro dura poco più di un minuto. Il tempo che serve a Mitri per tirare un pugno velocissimo e potentissimo sul mento del suo avversario che cade subito a terra. KO.
Il campione è tornato, Mitri è di nuovo il re dei pesi medi in Europa.
Il ritorno però si rivela essere un fuoco di paglia. Ovvero, un’illusione momentanea. Tiberio perde il titolo pochi mesi dopo e poi continua a combattere solo incontri di secondo livello.
Sente che la sua carriera sta finendo. Si ritira infine nel 1957. Il suo bilancio è di 88 vittorie su 101 incontri. Anche se ha perso il titolo, Tiberio Mitri dice addio al pugilato da campione.
Dopo il ritiro ha ancora qualcosa da fare. Del matrimonio con Fulvia non gli è rimasto solo il dolore, ma anche tanti contatti a Roma nel mondo del cinema. Per un uomo bello come lui, e con il fisico massiccio di un atleta, la carriera da attore è una scelta ovvia. Recita in molti film fino circa agli anni Ottanta.
Mentalmente e fisicamente però non è più lui. Lontano dal ring, non trova la sua dimensione, non sta bene, inizia a bere molto e fare uso di droga. Per questo, viene anche arrestato. Intanto mostra i sintomi evidenti dell’Alzheimer.
Il 12 febbraio del 2001, a 75 anni compiuti da poco, Tiberio Mitri cammina per le strade di Roma solo e un po’ smarrito. Molto probabilmente non ci fa caso, ma a un certo punto comincia a camminare sui binari, poco lontano dalla stazione di Roma Termini. Lì accade la tragedia. Un treno in arrivo lo travolge e lui muore sul colpo.
Una fine terribile quella di Tiberio Mitri, che ha pagato molto caro il prezzo del suo successo. Il pugilato gli ha dato tutto e gli ha tolto tutto. Lo ha portato in alto, dandogli gloria e fama, e poi in basso, facendolo finire solo e ammalato in una città che non era la sua.
Oggi il corpo di Tiberio Mitri riposa nel cimitero della sua Trieste, dove tutto è cominciato. E dove ancora in molti si ricordano di lui, l’angelo biondo del ring che è stato a un passo così dal diventare campione del mondo.
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