#27 – La storia del rock in Italia
Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 4 settembre 2021.
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L’Italia, senza alcun dubbio, è il Paese della musica. Lo dice la tradizione, lo dice la storia. Lo dice anche la lingua. Il gergo specialistico della musica è pieno di parole italiane. Crescendo, andante, allegro, aria, minuetto, opera.
Proprio nell’opera, che si chiama anche ‘la lirica’, la tradizione italiana ha dato il meglio di sé.
Insomma, parliamo di musica italiana e ci vengono in mente composizioni barocche, orchestre, grandi tenori, arie liriche.
E se andiamo un po’ più lontano?
Tutto il piccolo-grande universo della canzone italiana. La tradizione popolare napoletana, la famosa O sole mio, per capirci. Ma anche il festival di Sanremo. Dunque canzoni d’amore, tranquille, a volte malinconiche, a volte buffe, sempre molto melodiche e romantiche.
Altro? No?
E se vi dico ‘rock’, cosa vi viene in mente?
Il rock è da sempre musica di protesta, e di ribellione. Nell’immaginario internazionale, gli italiani approcciano la vita in un modo incompatibile con l’energia e la rabbia del rock’n’roll.
È davvero così? Mentre nel resto del mondo i giovani adoravano musicisti pieni di energia che spaccavano le chitarre, in Italia erano tutti occupati a cantare quanto è bello l’amore e quanto sono profumati i fiori?
Ovviamente no. Il rock in Italia esiste. E da tanto tempo.
All’inizio seguiva soprattutto le mode che arrivavano da oltreoceano. Quando il rock era davvero una moda straniera, appena arrivata.
Adesso ormai esiste una tradizione di rock italiano che sa anche andare per la sua strada.
Insomma, se l’anno scorso a Eurovision avete scoperto i Maneskin e le loro canzoni, sappiate che quel successo non è un caso isolato. Arriva da una storia lunga, piena di musica molto interessante.
Se volete saperne di più, vi guido io alla scoperta del rock italiano.
Quando è arrivato il rock in Italia?
Difficile, se non impossibile, dare una data certa.
Quello che possiamo dire è da dove è arrivato. Dagli Stati Uniti, naturalmente.
Lo hanno portato in Italia i soldati americani, che hanno combattuto sulla penisola per liberarla dai nazifascisti, e che poi sono rimasti un po’ più del previsto. Dalle loro radio sono arrivate le prime note di questa musica nuova, frenetica e un po’ ribelle.
Nello stesso periodo, la scena musicale italiana era dominata dalle canzoni melodiche, il Paese era uscito dalla guerra, la gente voleva sentire solo cose allegre, Parlare, e cantare, di amore, gioia e pace per dimenticare la guerra. È proprio negli stessi anni che comincia la tradizione del Festival di Sanremo, dove quel tipo di musica la fa da padrona.
Insomma, per un po’ di tempo, il rock lo ascoltano solo i soldati americani nelle loro basi. Nelle città italiane dominano ancora melodia e bel canto.
C’è anche un fattore anagrafico importante. Il rock dei soldati è una musica giovane fatta per i giovani. In Italia i giovani in quel momento sono pochi. Le perdite di guerra sono state enormi. Chi è sopravvissuto, ha altre cose per la testa e i loro figli sono troppo piccoli.
Le cose cambiano lentamente mentre la guerra diventa un ricordo più lontano. I soldati americani continuano a vivere in Italia vivendo all’americana. Bevono birra Budweiser, fumano sigarette Marlboro e ascoltano quella loro musica americana piena di ritmo.
A un certo punto, tutte queste novità sono destinate a uscire dalle basi americane e a mischiarsi con la gente fuori. I soldati yankee iniziano a frequentare le città, a divertirsi, aprono le loro sale da ballo, portano i loro dischi, e il rock’n’roll inizia a entrare nelle vite dei ragazzi italiani.
Piano piano, anche i giornali iniziano ad accorgersi di questa nuova musica. L’accoglienza non è delle migliori. Qualcuno scrive che il ritmo del rock trasforma i giovani che ballano in creature indemoniate e incapaci di controllarsi, al punto che nelle sale dove si suona il rock’n’roll deve arrivare la polizia.
Queste storie spaventano un po’ la Chiesa e le persone più anziane, ma i ragazzi sono entusiasti. Nonostante le proteste di alcuni, negli anni ’50 ormai il tappo è saltato: anche in Italia è arrivato il rock’n’roll.
I primi tentativi di fare rock in Italia sono un buco nell’acqua. Ci sono gruppi che provano ad adattare in italiano le canzoni americane più famose. I risultati, visti oggi, sono quasi comici. Provando ad adattare il ritmo e gli arrangiamenti alla tradizione melodica italiana, Rock around the clock perde tutta la sua energia originale e sembra una buffa canzonetta da orchestrina.
Per avere risultati più apprezzabili, bisogna aspettare la fine degli anni Cinquanta. E per l’esattezza, il 1957. Quando a Milano viene indetto il primo “Festival italiano del rock’n’roll”. Tra le band che partecipano ce ne è una che si fa chiamare i Rock Boys, e il loro cantante è un giovane milanese: si chiama Adriano Celentano.
Il Festival italiano del rock’n’roll è un successo. Celentano diventa subito famosissimo. Canta, suona e si muove in un modo incredibile. Cominciano a chiamarlo “Il Molleggiato” perché le sue gambe sono così elastiche nella danza che sembrano delle molle. Insieme a lui, ballano scatenati diecimila giovani italiani. Indifferenti alle critiche di chi parla del rock come della musica del demonio.
La maggior parte degli artisti italiani in questo periodo non scrive canzoni originali. Sono quasi tutte versioni adattate di grandi successi internazionali. La parola d’ordine è fare come gli americani. Tradurre i testi, imitare le musiche e anche lo stile. Lo fa molto bene, per gli standard dell’epoca, un giovane che si chiama Antonio Ciacci, viene da San Marino, e a un certo punto inizia a pettinarsi e vestirsi come Elvis Presley. Il suo nome d’arte diventerà famoso: è Little Tony.
Perché si arrivi anche in Italia a un rock originale, e non solo pura imitazione dei modelli americani, bisogna aspettare ancora un decennio.
La generazione dei ragazzi nati negli anni Cinquanta nel frattempo ha circa vent’anni ed è matura per la sua realizzazione creativa.
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Curiosamente, o forse no, questa volta l’ispirazione non arriva dagli Stati Uniti, ma dalla Gran Bretagna.
Alla fine degli anni Sessanta nei club inglesi avevano iniziato a farsi strada gruppi come i King Crimson e i Genesis. La loro musica è distante anni luce da quella di Elvis o di Chuck Berry. Usa gli stessi strumenti, e lo stesso linguaggio, per produrre qualcosa di nuovo. Si inizia a chiamarlo rock progressivo, o detta in breve: prog-rock.
Il prog-rock sembra il genere ideale per unire l’energia del rock’n’roll all’amore italiano per la melodia e la ricercatezza. Nascono sempre più gruppi prog-rock italiani. Alcuni diventano famosissimi. Come la Premiata Forneria Marconi, in breve PFM. O Il banco del mutuo soccorso.
Ovviamente, la vena di ispirazione americana non è finita. Anzi, negli anni Settanta il rock vero e proprio torna di attualità perché i suoi ritmi e la sua energia accompagnano bene il sentimento della nuova generazione che protesta per avere il suo posto nel mondo. Uno dei loro profeti è il milanese Eugenio Finardi. Nella sua musica, non ha paura di trattare temi radicali, come la droga e la rivoluzione.
Nel frattempo, il rock è ormai diventato un elemento così importante della scena musicale che anche molti cantanti di musica leggera ormai usano elementi rock nelle loro canzoni. Pure a Sanremo arrivano ritmi più moderni, basati sul suono delle chitarre elettriche e della batteria. In questi anni esplode la stella di un ragazzo che usa spesso elementi rock nelle sue canzoni di musica leggera: il suo nome è Lucio Battisti.
Ma non è ancora finita. Il rock italiano aspetta ancora il massimo della sua originalità espressiva. Arriva negli anni Ottanta, quando passano al di qua delle Alpi le ispirazioni del punk.
Il 1980 è l’anno in cui a Berlino si incontrano Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni. Sono nati entrambi nella provincia emiliana, ma sono affascinati dal punk britannico e dal krautrock tedesco. Iniziano a suonare insieme in alcuni club di Berlino, poi tornano in Italia e fondano un gruppo dal nome un po’ provocatorio: i CCCP. Sembrano lettere a caso, ma se le scrivete su un foglio capirete. CCCP è la sigla, in alfabeto cirillico, dell’Unione Sovietica. All’epoca sia Ferretti che Zamboni venivano dalla sinistra radicale e amavano giocare con quei simboli, ma nella musica dei CCCP non c’è niente di ideologico.
Nei loro dischi presentano un punk-rock molto aggressivo, dissacrante e a tratti delirante dove riferimenti casuali ai paesi del blocco socialista si mischiano a influenze di cultura pop, creando una musica semplicemente unica.
Il punk, ma soprattutto il post-punk, in Italia trova la sua casa prediletta a Firenze. Sono fiorentini per esempio i Litfiba, gruppo che propone un punk molto energico, che ha come modello i Clash e i Sex Pistols.
Sono fiorentini anche i cugini malinconici dei Litfiba, ovvero i Diaframma che come modello di ispirazione hanno i Cure, ma soprattutto i Joy Division. Il loro stile cupo e tenebroso rappresenta perfettamente gli anni ’80 dei giovani italiani, un decennio dove non è più possibile trovare un senso e una missione nella politica e dove iniziano a circolare le droghe pesanti, fra tutte l’eroina.
Le cose sono destinate a cambiare ancora nel decennio successivo. La caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda cambiano i desideri delle persone. Gli italiani sono stanchi di decenni complicati e sembra iniziata una fase nuova di pace e benessere. Una fase per divertirsi con energia. In questo periodo, diventano famosi due autori, entrambi emiliani. Sono Vasco Rossi, modenese, e Luciano Ligabue, reggiano.
Vasco Rossi è ancora oggi ritenuto il più grande uomo di spettacolo italiano, era già famoso durante gli anni Ottanta. Per la sua vita sregolata, fatta di droghe, alcool e rapporti con decine di donne diverse era diventato l’icona del rocker, ma è stato anche un autore di testi molto importanti e apprezzati anche dalla critica.
Ligabue invece sembra scegliere uno stile più classico, si rifà ai modelli dell’America on the road e diventa famoso per la sua voce roca e le sue canzoni sempre un po’ malinconiche.
E oggi? Il rock ormai anche in Italia ha perso la spinta propulsiva che aveva alle origini. Ci sono però band che, dagli anni Duemila a oggi, hanno avuto un ruolo importante nella musica italiana e vale la pena nominarle.
Prima di tutte, gli Afterhours. Il loro disco più famoso, Hai paura del buio?, è una vera e propria pietra miliare del rock in Italia. E poi band come i Bluvertigo, i Marlene Kuntz, i Baustelle o i Verdena, autori di un rock melodico che unisce ritmi aggressivi e ballate malinconiche.
Senza dimenticare i Subsonica, che fanno un rock alternativo mischiato ad elementi di musica elettronica, o gruppi post-rock dove i testi non sono cantati ma recitati su una base musicale, come nel caso dei Massimo Volume o degli Offlaga Disco Pax.
Insomma, il rock in Italia forse non ha regalato al mondo artisti di fama mondiale. In questo genere, l’Italia resta una realtà di provincia. Questo non significa però che il rock italiano non sia stato e non sia importante, anzi. Ha accompagnato per decenni i cambiamenti della società, a volte li ha pure aiutati e spesso li ha raccontati. Lasciandoci musica e canzoni che magari sono il patrimonio di una realtà piccola e locale, ma è la nostra realtà e quindi ci piace e ci fa sentire uniti. A ritmo di rock!
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