#22 – Genova 2001, la morte dei diritti
Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 31 luglio 2021.
Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale.
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Quanti anni devono passare per potere parlare di storia? Cento anni? Duecento? O ne bastano di meno?
Su alcune cose molto lontane siamo sicuri. Giulio Cesare è storia, Carlo Magno anche. E ovviamente sono storia anche Napoleone, il Risorgimento italiano, Hitler e Stalin. Gorbačëv.
Qualcosa che è successo venti anni fa? Lo possiamo chiamare storia?
Venti anni fa, nel luglio del 2001, saremmo potuti andare a New York e guardare nel panorama di Manhattan le due torri gemelle del World Trade Center e quasi nessuno avrebbe saputo rispondere alla domanda: sai chi è Bin Laden?
Vent’anni fa, nel 2001, in Italia per una pizza e una birra avremmo pagato circa 10.000 lire. L’euro era ancora una novità, un po’ esotica e curiosa.
Vent’anni fa, nel 2001, Britney Spears non aveva ancora pubblicato Toxic. Joe Strummer dei Clash era ancora vivo. Il mondo scopre Emma Watson, un’attrice bambina che interpreta Hermione Granger nel primo film tratto dalla saga di Harry Potter.
Insomma, venti anni non sono pochi. Bastano a parlare di storia, probabilmente. Soprattutto quando un evento può cambiare il modo in cui vediamo il mondo.
Oggi parliamo di fatti successi venti anni fa e che hanno cambiato l’Italia. Sono fatti dolorosi ancora oggi, ma molto importanti. Forse, proprio per questo.
Sono fatti successi a Genova tra il 19 e il 22 luglio del 2001. Tre giorni da cui è uscita un’Italia diversa. Sono fatti che hanno coinvolto molti giovani, attivisti, pacifisti, anarchici, ma anche poliziotti e carabinieri, ministri e giornalisti.
È la storia, dura, di Genova nel 2001, di giorni in cui in Italia sono morti i diritti.
Per parlare di Genova nel 2001, dobbiamo andare lontano. Partiamo da Seattle, due anni prima. Nel 1999, nella patria del grunge e dei Nirvana, c’è una conferenza dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Ovvero, la WTO, che i media italiani pronunciano vu ti o. Arrivano in città migliaia di persone a protestare. Sono contrari all’idea che un’organizzazione di Paesi ricchi prenda decisioni che riguardano tutto il mondo. Chiamano loro stessi il popolo di Seattle, per i media diventano velocemente i no-global.
I manifestanti di Seattle protestano, organizzano conferenze e cortei, rallentano i lavori della conferenza e si scontrano con la polizia.
È la prima di una piccola rete di proteste. Manifestanti no-global partecipano ad altri eventi internazionali. A Davos, a Göteborg, a Napoli, in Italia. Sono persone anche molto diverse tra loro, ma unite da un’idea di fondo: perché pochi uomini, rappresentanti di pochi Paesi ricchi, devono prendere decisioni che riguardano tutto il mondo?
L’organizzazione più odiata dai manifestanti è quella che i media italiani chiamano il G8, ovvero l’incontro dei capi di governo degli otto paesi più ricchi del mondo. Dal punto di vista del popolo no-global, è il massimo dell’arroganza e quello contro cui vogliono protestare di più. È chiaro che gli otto Paesi più ricchi del mondo prenderanno solo decisioni convenienti per loro stessi e mai per gli altri Paesi, soprattutto quelli più poveri. È un’idea di mondo contro cui sempre più persone sono pronte a protestare. E sono pronte a farlo nell’estate del 2001 a Genova.
Perché proprio a Genova è prevista la 27esima edizione del G8. La città aspetta l’arrivo del presidente americano George Bush, del primo ministro britannico Tony Blair, del presidente russo Vladimir Putin e anche dei presidenti di Germania, Giappone, Francia, Canada e ovviamente Italia. Sono loro i grandi otto del mondo. Aspettano di incontrarsi a Genova per parlare di disuguaglianza e povertà.
La scelta di Genova come sede del G8 è arrivata due anni prima, quando in Italia il governo era di centro-sinistra e guidato da Massimo D’Alema. Nel frattempo però ci sono state le elezioni, ha vinto la destra e il premier in quel momento è Silvio Berlusconi.
Quando era all’opposizione, la destra aveva criticato la scelta di Genova. Una città piena di strade strette e piccole, vicina al mare, senza grandi collegamenti, non era il massimo. Quando poi Berlusconi diventa premier, è molto contento di fare il padrone di casa per il G8. Spende molti soldi in decorazioni, regali e anche sicurezza.
Il movimento internazionale che i media chiamano no-global infatti è pronto ad arrivare anche a Genova. L’idea che gli otto Paesi più ricchi del mondo parlino di disuguaglianze e povertà a molti sembra una spaventosa ipocrisia. Nasce il Genoa Social Forum, una rete che unisce più di mille associazioni internazionali che vogliono andare a Genova durante il G8 per parlare, dal loro punto di vista, dei grandi temi mondiali. Lo slogan che li unisce è “un altro mondo è possibile”, e dentro ci sono organizzazioni molto diverse tra loro. Pacifisti, anarchici, ma anche organizzazioni di rifugiati, associazioni cattoliche, boy scout, ecologisti. C’è veramente di tutto.
Il governo Berlusconi non si fida. Ricorda gli scontri con la polizia successi a Seattle e decide che nulla potrà disturbare il suo G8 a Genova. In città arrivano migliaia di poliziotti e carabinieri, nel centro storico di Genova viene organizzata una “zona rossa” dove non può entrare praticamente nessuno.
Il 19 luglio in città ci sono 300.000 manifestanti divisi in varie piazze e migliaia di poliziotti che controllano la città e soprattutto la zona rossa. È una bomba a orologeria. Aspetta solo il momento buono per esplodere.
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Il primo giorno, il 19 luglio, le cose sembrano andare tranquillamente. C’è il corteo dei migranti che procede pacifico e senza scontri.
Le cose peggiorano il giorno dopo, il 20 luglio. Si organizzano vari eventi in varie piazze e alcuni gruppi provano a entrare in zona rossa. Non vogliono bloccare i lavori del G8. Entrare in zona rossa, o almeno provarci, è un obiettivo simbolico per dire che non accettano che i potenti si chiudano tra loro per decidere lasciando tutti gli altri fuori.
Tra i manifestanti c’è anche un gruppo che decide di protestare in modo teatrale e violento. Si fanno chiamare black bloc. Manifestano la loro protesta contro i simboli del potere finanziario. Attaccano banche, supermercati, macchine di lusso. Creano il caos e un po’ di paura tra i cittadini di Genova.
Sono pochi, ma si fanno sentire. Inoltre, la polizia li lascia fare. Nonostante le telefonate allarmate dei genovesi, gli agenti non reagiscono molto. I processi degli anni successivi hanno dimostrato in parte che era una cosa voluta. Aumentare i problemi e la paura per giustificare la reazione violenta successiva.
La reazione che arriva poche ore dopo. Nel pomeriggio, un grande corteo si muove per le strade di Genova. Anche se è autorizzato, la polizia decide di bloccarlo. Inizia il caos, iniziano gli scontri, molti manifestanti abbandonano il percorso della manifestazione per proteggersi dentro piazze e strade laterali. La situazione è fuori controllo. Alcuni manifestanti provano a reagire agli attacchi, la polizia allora diventa ancora più aggressiva. Una parte del corteo finisce dentro una piazza chiusa, oggi è tristemente famosa in tutta Italia. Si chiama piazza Alimonda. Ci sono gli agenti armati di manganelli e fumogeni, e alcuni manifestanti che rispondono con pietre, bottiglie e tutto quello che trovano. Alcuni scappano, altri combattono. Arrivano anche i carabinieri, con due furgoni blindati. Entrano da una strada stretta, bloccano l’uscita dalla piazza.
Nel caos del momento, un giovane carabiniere, Mario Caplanica, dentro uno dei blindati prende la pistola e spara. Il suo proiettile colpisce in faccia un manifestante. Si chiama Carlo Giuliani. Il ragazzo cade, muore quasi sul colpo, si scatena il panico. Nel caos più totale, il blindato da cui Caplanica ha sparato prova a uscire dalla piazza. Per farlo, passa due volte sul corpo di Carlo Giuliani.
Su questo episodio, uno dei più duri e tristi di tutta la storia del G8 di Genova, hanno parlato e scritto molti, e ci sono stati processi, udienze, conferenze allo scopo di scoprire la verità. I carabinieri hanno provato a difendersi in vari modi. Prima hanno provato a dimostrare il falso, ovvero che Carlo Giuliani fosse morto a causa di una pietra lanciata da un altro manifestante. Poi hanno provato a dimostrare che Mario Caplanica avesse sparato per legittima difesa, perché Carlo Giuliani aveva preso un estintore ed era pronto a lanciarlo contro i carabinieri.
È vero che Carlo Giuliani impugnava un estintore. Forse, nell’adrenalina dello scontro, aveva anche avuto l’idea di lanciarlo. Le immagini di quei giorni però dimostrano che Caplanica aveva già preso la pistola, e mirato ad altezza d’uomo, prima che Carlo Giuliani prendesse l’estintore dalla strada. Caplanica non è stato condannato, oggi fa l’anonimo impiegato pubblico in Calabria. Carlo Giuliani è morto, ma non la sua memoria. Ci sono associazioni che da vent’anni lavorano senza sosta per rendergli giustizia.
Il giorno dopo c’è un altro corteo, l’ultimo organizzato dal Genoa Social Forum. La polizia e i carabinieri, convinti che i black bloc siano in fondo al corteo, lo spezzano in due. I manifestanti della prima parte arrivano tranquillamente al loro obiettivo. Quelli della seconda parte vengono caricati ancora una volta con fumogeni, lacrimogeni e manganelli. Violenza gratuita e caccia all’uomo, ma il peggio deve ancora venire.
Quella sera, come le sere precedenti, molti dei militanti del Genoa Social Forum dormono all’interno della scuola Armando Diaz di Genova. Hanno avuto tutti i permessi necessari e la occupano pacificamente.
Tra la polizia e i carabinieri, evidentemente, non tutti sono d’accordo con quel ‘pacificamente’. La notte del 21 luglio le forze dell’ordine entrano alla Diaz facendo irruzione. Il motivo ufficiale è cercare e arrestare i black bloc. La violenza che usano però è totalmente ingiustificata. Gli agenti arrestano, picchiano, colpiscono a pugni, calci e manganellate tutte le persone che si trovano davanti. Attivisti, giornalisti, ragazzi e ragazze che arrivano da tutta Italia e anche dall’estero. I racconti delle violenze sono molto duri e cruenti. 82 persone vengono ferite, 63 di loro finiscono in ospedale. È un massacro. E non finisce qui. Molti manifestanti vengono arrestati e portati in una caserma dei carabinieri, usata come arresto provvisorio. È la caserma di Bolzaneto, dove i manifestanti vengono –letteralmente- torturati. Per ore e ore. Con violenze fisiche e psicologiche inammissibili.
Amnesty International, anni dopo, lo ha definito “la più grave violazione dei diritti umani in una democrazia occidentale dopo il 1945”. I responsabili sono stati condannati solo nel 2012, alcuni di loro dopo avere ottenuto aumenti e promozioni di carriera nel frattempo.
Tra Carlo Giuliani, la Diaz e Bolzaneto, la storia del G8 di Genova è piena di ombre e dolori con cui l’Italia non ha ancora fatto i conti del tutto.
In questo episodio ho riassunto al meglio che ho potuto una storia complessa, ricca di elementi, personaggi e versioni diverse. Ho cercato di raccontare i fatti puri, quelli emersi dalla cronaca e dalle sentenze dei tribunali. Ho dovuto evitare alcuni dettagli, semplificare alcune cose e a volte usare un lessico più difficile di quanto avrei voluto. Spero comunque che ora sappiate più o meno cosa è successo a Genova in quella maledetta estate del 2001.
Per raccontare questa storia ho cambiato la programmazione naturale di Salvatore racconta. Sono stati alcuni miei studenti a Varsavia a chiedermi di parlarne. Perché è da poco passato il ventesimo anniversario dei fatti di Genova, e sui media italiani molti ne hanno scritto e parlato.
Non è facile per uno straniero che parla italiano capire quello di cui parlano i media oggi. Facendo riferimenti a sentimenti, cronache, ricordi e riflessioni lunghi vent’anni. Spero di avere chiarito un po’ le cose a tutti voi. Salvatore racconta nasce anche per questo. Perché imparare una lingua nuova significa anche riconoscere i simboli, le storie, quello di cui la gente parla, anche quello che ci fa soffrire. Come il ricordo di Genova e del G8 del 2001.
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