#20 – Torino, aristocrazia operaia
Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 17 luglio 2021.
Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale.
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Una mattina d’inverno. Fa freddo, ma fuori c’è il sole. Al tavolino di un bar due signore anziane eleganti chiacchierano bevendo una cioccolata calda. Parlano un po’ italiano e un po’ dialetto. Un dialetto dolce e allo stesso tempo un po’ chiuso, che sembra quasi francese.
Al bancone dello stesso bar due uomini bevono il caffè in piedi. Sfogliano un giornale sportivo e commentano i risultati delle partite insieme al barista. I due uomini indossano delle tute blu, parlano anche loro, un po’ in italiano e un po’ in dialetto. È un dialetto diverso. Le due signore di prima non saprebbero riconoscerlo. Siciliano? Calabrese? Forse pugliese? Difficile dirlo con certezza.
I due operai pagano, salutano e vanno a lavorare. Dalla porta del bar entrano un ragazzo e una ragazza. Lei ha una grande cartella, probabilmente piena di disegni e di progetti. Lui ha la faccia un po’ stanca, gli occhiali da sole anche se è mattina presto, e indossa una maglia a righe bianche e nere. Il barista li guarda, prende la loro ordinazione e inizia a fare i caffè. Cappuccino con poca schiuma per lei, espresso macchiato per lui. Poi dice qualcosa al ragazzo, prima indica la sua maglietta bianconera e poi una foto appesa dietro al bancone, una foto di undici calciatori vestiti di colore granata, ovvero una specie di rosso molto scuro. I due dicono qualcosa, la ragazza li guarda e ride sotto i baffi mentre beve il suo cappuccino.
Vi chiedo scusa se vi sembra una scena un po’ stereotipata. È utile, tuttavia, a presentare la città di cui parliamo oggi. Una città dove si incontrano e convivono esperienze molto diverse tra loro.
Una città di palazzi eleganti, cognomi aristocratici e ricche signore che bevono la cioccolata. Ma anche una città di operai, arrivati qui soprattutto dal sud Italia, e che poi hanno messo radici. E una città di studenti e studentesse, futuri ingegneri, avvocati, e tant’altro. Ma anche una città di grandi appassionati di sport, e in particolare di calcio, divisa tra due squadre di grande successo e tradizione.
Nei giorni belli, dalle sue strade si vedono le Alpi. Quando invece il tempo è così così, il meglio che si può vedere è dentro un posto che non ti aspetteresti da queste parti: il più grande museo egizio d’Europa.
Qual è questa città? Una dove forse non siete mai stati, ma dove spero che vorrete andare dopo avere ascoltato questo podcast.
Oggi vi porto a Torino.
Cominciamo – strano, eh? – con un po’ di storia. Quella di Torino è lunghissima, quindi andremo veloci. Circa tre secoli prima di Cristo, sul territorio che oggi è di Torino c’era un villaggio di un popolo antico chiamato Taurini. Duecento anni dopo circa, arriva da quelle parti un esercito romano di conquista. È guidato da Giulio Cesare in persona. Sul territorio del vecchio villaggio costruiscono un accampamento militare. Fatto di file molto regolari che si incrociano in modo geometrico. L’accampamento resta a lungo, cresce, diventa una colonia e poi una vera e propria città. Augusta Taurinorum, in onore dell’imperatore ma anche dell’antico popolo che ci viveva. E da lì, il passo a Torino diventa facile.
Dopo la caduta dell’impero romano e per tutta la durata del medioevo, Torino non è una città importante. Da un lato cresce il potente regno di Francia, dall’altro la repubblica di Genova. Torino è lì, in mezzo, un po’ in balia degli eventi. Fino a quando, dall’altro lato delle Alpi, non arriva una famiglia nobile a interessarsi di Torino e della regione. I conti, e poi duchi, di Savoia.
Dunque per un periodo, Torino si trova dentro un piccolo Stato, in un certo senso, mezzo italiano e mezzo francese. Di questo stato, all’inizio Torino è una città quasi provinciale. Fino al 1404, quando i Savoia decidono di aprire qui un’università. Da quel momento, nulla sarà come prima.
Torino comincia a essere un punto centrale nella visione politica della famiglia Savoia, e lentamente diventa anche la capitale dello Stato.
Nel diciottesimo secolo ormai Torino è una città grande, ricca e politicamente importante. Con una serie di mosse dinastiche un po’ complicate, i Savoia ottengono il titolo di re e da quel momento governano tutto il Piemonte e anche la Sardegna.
È in questo contesto che nasce quella creatura politica un po’ bizzarra che si chiama Regno di Sardegna, ma ha la sua capitale a Torino, e dove in fondo la Sardegna vera e propria conta relativamente poco. Di sicuro, nel diciannovesimo secolo, Torino è la città più moderna d’Italia, piena di ricchezza, di industria e di cultura.
Non è un caso che, quando si comincia a parlare di unire l’Italia sotto un unico regno, le energie principali arrivano da qui. Due dei grandi protagonisti dell’unificazione italiana, il re Vittorio Emanuele II di Savoia e Camillo Benso conte di Cavour e futuro primo ministro dell’Italia unita, sono due torinesi purosangue.
E non è nemmeno un caso che, quando Vittorio Emanuele II nel 1861 dichiara di non essere più solo il re di Sardegna, ma il re d’Italia, lo fa da Torino. La sua capitale. La capitale d’Italia.
Sembra strano dirlo oggi. Ci sembra istintivamente che Roma sia stata per sempre e da sempre la capitale, ma è stato un processo lungo. All’inizio della storia, c’è stata Torino.
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Che è rimasta una città importante anche quando le cose sono cambiate. Nonostante non fosse più la capitale, per tutto il ventesimo secolo Torino è stata una delle città più importanti della nazione. Soprattutto a livello economico e industriale. È qui che la famiglia Agnelli ha fondato la Fabbrica Italiana Automobili Torino. Detta più semplicemente: la Fiat.
Soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, la Fiat diventa molto grande e attira tante persone in cerca di lavoro. Arrivano soprattutto dal sud. Siciliani, campani, pugliesi, calabresi. All’inizio la convivenza con chi è nato e cresciuto a Torino non è facile, ma presto l’assimilazione si fa totale.
Oggi la Fiat è ancora una grande azienda, ma a Torino è rimasta solo la sede simbolica, la produzione e le è altrove. Così gli abitanti sono un po’ diminuiti rispetto agli anni ’60 e ’70, e Torino ha perso un po’ la sua anima industriale. È una città moderna e avanzata, anche se mantiene il suo stile peculiare.
Ricordate quando dicevamo, all’inizio, che la città di Torino nasce da un accampamento militare romano fatto da file dritte? Beh, secondo gli archeologi è grazie a questa sua storia che a Torino è praticamente impossibile perdersi. Quasi tutte le sue strade, soprattutto in centro, sono in linea retta e si incrociano in modo regolare. In mezzo ci sono alcune delle piazze più caratteristiche di Torino. Come Piazza Castello, dove si trova il palazzo antica residenza dei Duca di Savoia, e piazza San Carlo, la più amata dai torinesi e considerata il salotto della città. Poco lontano dalle grandi piazze cittadine, c’è il monumento simbolo di Torino: la Mole Antonelliana, una gigantesca torre che oggi ospita il museo del cinema e dalla cui cima si può vedere tutta la città.
Un altro elemento caratteristico, e un po’ bizzarro, di Torino è il suo museo egizio. Il più grande in Europa e il secondo più grande del mondo, subito dopo quello di Il Cairo, nell’Egitto moderno. È un po’ strano, nel cuore di una città dell’Italia del nord, trovare un museo di reperti egizi. La sua storia è molto antica e arriva dai tempi in cui l’esercito di Napoleone ha combattuto proprio in Egitto e ha iniziato in Europa la moda per la collezione di reperti antichi. Anche se resta vivo il problema dell’appropriazione culturale, il museo egizio fa un lavoro eccezionale nell’offrire ai suoi visitatori una grande conoscenza su una delle civiltà più importanti del mondo antico.
Tra una passeggiata e l’altra tra piazze, strade, monumenti e musei, ovviamente vale la pena di trovare il tempo per mangiare e bere qualcosa. Torino da questo punto di vista è un posto ideale.
Non tutti sanno, per esempio, che arriva dal Piemonte il piatto conosciuto con il nome francesizzante di vitel tonné, ovvero vitello tonnato. Consiste in fette sottilissime di carne di vitello, marinate nel vino bianco, cotte in acqua e condite con una salsa a base di tonno, capperi e maionese. Sembra una combinazione inusuale. Ma qui molto amata.
Un altro piatto simbolico della zona sono sicuramente gli agnolotti, un tipo di pasta molto simile ai ravioli emiliani, il cui ripieno però è particolare: si usa la carne arrosto. Storicamente, quella avanzata dal giorno prima.
Se poi visitate Torino quando fa freddo e siete particolarmente coraggiosi, potete provare la bagna cauda. Si tratta di una specie di salsa dal sapore molto intenso che viene mantenuta calda con un fornellino sotto la pentola. Nella versione tradizionale, c’è sempre una pentola di bagna cauda in mezzo alla tavola, e ognuno degli ospiti bagna a turno nella salsa delle verdure di stagione o un pezzo di pane.
I posti migliori dove provare questi, e anche altri, piatti della cucina tipica torinese sono “le piole”, ovvero le tipiche trattorie locali, dove i prezzi sono bassi, i piatti genuini e l’atmosfera calorosa.
Se parliamo di vini da accompagnare ai piatti, da queste parti abbiamo l’imbarazzo della scelta! Soprattutto i vini rossi piemontesi come il Barolo, il Barbera o il dolcetto d’Alba.
Per chi ama i gusti dolci, vi dico solo che a pochi chilometri da Torino c’è la città di Alba, quella dove è nata la Ferrero, gli inventori… della Nutella. A parte la Nutella però ci sono molte creme a base di cioccolato e nocciola che potete gustare da queste parti. Oltre a quelle che si possono bere, come il famoso Bicerin, una bevanda a base di caffè, cioccolato e crema di latte. Lo potete provare per esempio nell’antico Caffè Fiorio, in centro, un posto che si vanta di un’invenzione storica: quella del cono gelato!
A Torino non mancano le curiosità per chi ama i viaggi atipici. Ad esempio, alcune persone credono che a Torino ci sia qualcosa di… magico. Si tratta ovviamente di credenze senza alcun valore scientifico né storico, ma potete divertirvi a cercare in giro le tracce dell’esoterismo tra palazzi e simboli misteriosi. Se invece vi piace approfondire l’architettura un po’ bizzarra, a Torino c’è un edificio che fa per voi. Si chiama Casa Scaccabarozzi, e se già così sembra un nome buffo, sappiate che i torinesi lo chiamano “La fetta di polenta”. Perché? Forse sapete già che la polenta è un tipico piatto della cucina del nord Italia, una specie di torta salata a base di acqua e farina di mais. Una volta cotta in forno si taglia a fette, e ha un colore giallo molto intenso. Casa Scaccabarozzi, con la sua struttura architettonica e il suo colore, sembra davvero una fetta di polenta. Vedere per credere!
Per chiudere, due parole, come sempre, sul calcio in città. Perché Torino è una delle poche città in Italia ad avere non una ma due squadre di grandissima storia e tradizione. Cominciamo dal Torino, la squadra che porta il nome della città, fondata nel 1906 e contraddistinta dal suo tipico colore granata. Il Torino, chiamato affettuosamente Il Toro, è stata una delle squadre di calcio più forti di sempre negli anni ’40 e ’50, prima della tragedia aerea di Superga in cui sono morti quasi tutti i suoi giocatori dell’epoca. Oggi il Toro gioca in serie A, ma non vince niente di importante da molti anni.
L’altra squadra di Torino la conoscete sicuramente. È una delle più antiche. Oltre a essere la più vincente d’Italia. La Juventus. Fondata nel 1897 da un gruppo di studenti, ha fatto e fa la storia del calcio italiano e mondiale. I suoi colori ovviamente sono il bianco e il nero.
Ci sarebbero ancora veramente tante cose da dire su Torino, sull’anima dei suoi abitanti, allo stesso tempo molto orgogliosi e tradizionalisti ma anche molto aperti verso le novità e le contaminazioni. Da Torino sono arrivati e sono passati tanti grandi scrittori, e qui è nata una delle più importanti case editrici italiane, Einaudi. E qui ogni anno si celebra la più grande festa italiana per chi ama leggere: il Salone del libro. Insomma, nel passato Torino ha rinunciato al suo ruolo di capitale e ha accettato di essere solo una grande città del nord. Non ha perso però la sua voglia di innovare, accogliere e creare. Con fantasia, determinazione e con la sicurezza che può avere una città con duemila anni di storia.
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