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#18 – Masaniello e la rivoluzione a Napoli

Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 2 luglio 2021.

Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale.

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Masaniello rivoluzione a Napoli Salvatore racconta podcast italiano per stranieri

 

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Una volta qualcuno ha detto che le rivoluzioni si chiamano effettivamente rivoluzioni quando finiscono bene. E si chiamano rivolte quando finiscono male.

La storia di oggi parla di qualcosa a metà strada. Un po’ rivolta, e un po’ rivoluzione.

È una storia che parla di Napoli, del suo passato e della sua identità.

Una storia che parte dal mercato del pesce e arriva nei più grandi e prestigiosi palazzi della città.

Inizia e finisce in circa dieci giorni. Per la precisione dal 6 al 16 luglio del 1647.

Siamo dunque nel XVII secolo. Su Napoli governa il Re di Spagna. Che però è lontano, a Madrid.

Quindi nei palazzi reali di Napoli vive un suo uomo di fiducia. Che non è il re, ma quasi. È un vicerè.

Proprio contro questo vicerè scoppia la rivolta, o rivoluzione, che per dieci giorni mette Napoli a ferro e fuoco.

Per alcuni, i suoi protagonisti sono eroi. Per altri, sono violenti assassini o forse ingenui manipolabili.

C’è chi ha visto in questa rivolta i primi segnali del patriottismo italiano contro i dominatori stranieri. E chi invece ci ha visto l’inizio della camorra, la grande criminalità organizzata di Napoli e della Campania.

È nato tutto, o quasi tutto, da un uomo semplice. Da un pescatore. Diventato eroe, condottiero, genio, pazzo, traditore. Tutto e il contrario di tutto, insomma. Per questo nella sua vicenda non è sempre facile dividere la storia vera, certificata dai fatti, e la leggenda, raccontata di bocca in bocca e tramandata di generazione in generazione.

Quest’uomo si chiamava Tommaso Aniello d’Amalfi, ma è entrato nella storia con il suo pseudonimo. Come lo chiamavano i suoi amici, parenti, e poi anche i suoi grandi nemici. Masaniello.

Partiamo come sempre, e oggi più che mai, da un po’ di storia.

Siamo a Napoli nel XVII secolo. Come probabilmente sapete, in quel periodo l’Italia non esiste in forma di Stato. Sarebbe complicato spiegare adesso perché e come, ma per più o meno tutto il secolo, mezza Italia apparteneva alla Spagna. E in questa mezza Italia c’era anche Napoli.

Se siete stati a Napoli, o conoscete un po’ la città, le tracce della dominazione spagnola sono ancora evidenti. Per esempio nella famosa zona chiamata, appunto, i quartieri spagnoli. O nel fatto che una delle strade principali della città si chiama Via Toledo, in onore di Pietro de Toledo, per lungo tempo viceré di Napoli.

Che significa viceré? Il prefisso „vice”, in italiano e non solo, indica qualcuno che ha la funzione di sostituire qualcun altro o di fare le sue funzioni. Il viceré a Napoli doveva governare la città e tutta la regione in funzione del re di Spagna, che ovviamente aveva il suo palazzo e la sua corte a Madrid.

Oltre al viceré, a Napoli hanno il potere molti nobili locali, alcuni banchieri, e alcuni ricchi mercanti.

Il resto del popolo, sia i poveri che quelli abbastanza ricchi ma senza titoli, non conta praticamente niente. Esiste una specie di rappresentante del popolo, ma il suo peso politico è molto scarso.

I napoletani poveri sono soprattutto piccoli commercianti, artigiani e pescatori. Il nostro Masaniello è proprio un pescatore. Lui, come tanti altri , la notte va a pescare e la mattinava a vendere il pesce sulla piazza del mercato. E lì conosce tanta gente altri pescatori, mercanti, gente semplice, ma anche ricchi e piccoli nobili. La piazza del mercato è veramente il cuore della città, dove tutti incontrano tutti, e se qualcuno ha un po’ di carisma e sa farsi ascoltare può diventare presto una persona importante.

In quel periodo, il regno di Spagna combatte molte guerre in giro per l’Europa. Contro la Francia, il Portogallo, i Paesi Bassi. Il periodo d’oro del dominio spagnolo sul Vecchio continente sta finendo, anche se ancora non è molto chiaro. Il fatto è, che per combattere tutte quelle guerre, il re di Spagna ha bisogno di soldi. E per avere i soldi, alza le tasse. Ci sono tasse su tutto.

Sono alte, e per la gente del popolo è difficile vivere in quelle condizioni. Masaniello, come tanti altri nello stesso periodo, cerca tutti i modi possibili per non pagare le tasse. Per esempio, non vende il pesce al mercato, ma lo porta a mano ad alcuni clienti direttamente a casa. Non è una cosa che piace al viceré e alla nobiltà, e per questo il nostro impulsivo pescatore passa vari periodi in prigione.

Proprio lì, nelle prigioni del regno di Napoli, Masaniello sente per la prima volta parlare di idee di rivolta contro i nobili e i loro privilegi. Idee di persone colte, che hanno studiato, che conoscono la legge e la storia. Come per esempio un vecchio prete, don Giulio Genoino si chiama, che diventa presto il maestro e il mentore di Masaniello.

Quando il pescatore torna al mercato con le idee nuove che ha imparato da don Genoino, diventa sempre più popolare tra gli altri pescatori e commercianti. Tutti lo ascoltano quando parla del fatto che le tasse sono troppo alte e che i nobili si approfittano di loro. Hanno idee di rivolta, ma solo contro i nobili locali, e non contro il re di Spagna. L’idea di avere un altro sovrano gli sembra comunque impossibile.

In ogni caso, la situazione è molto calda. Arrivano un giorno a Napoli le notizie che altre città dell’impero spagnolo, come Messina o Catania in Sicilia, hanno fatto una rivolta contro le tasse e hanno vinto.

 

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Siamo nel giugno del 1647. Masaniello, ormai carico di retorica rivoluzionaria, guida un gruppo di altri pescatori armati e brucia i banchi del mercato. Il 30 giugno, durante un’importante festa religiosa, Masaniello e i suoi uomini fanno una parata armati sotto le case dei nobili spagnoli di Napoli, li insultano e li provocano.

La situazione però non migliora. Il re ha bisogno di soldi, i nobili aumentano le tasse. Ne inventano anche una nuova. Sulla frutta. È la goccia che fa traboccare il vaso. Perché in quel periodo i poveri mangiano praticamente solo frutta, e poco pane. Il 7 luglio scoppia una rissa in piazza tra i mercanti di frutta e gli esattori delle tasse. Uno dei mercanti muore, è un cugino di Masaniello. A quel punto, la città esplode.

In men che non si dica, Masaniello guida un gruppo abbastanza grande di uomini armati e un gruppo enorme di gente semplice per le vie del centro. Arrivano al palazzo del viceré, vincono contro tutti i soldati di guardia, e riescono a entrare. Il viceré e la moglie scappano per miracolo.

Nella notte, il popolo di Napoli guidato da Masaniello, compie la sua feroce vendetta. Molti nobili vengono catturati, alcuni uccisi. I loro palazzi vengono dati alle fiamme. I rivoltosi trovano e bruciano tutti i registri delle tasse. Le odiate tasse.

Mentre Masaniello guida la rivolta più sanguinaria e violenta, il suo vecchio mentore, il prete don Genoino organizza la parte più politica. Da uomo che ha studiato, ricorda un vecchio documento di origine medievale, che garantiva a Napoli e al suo popolo un certo grado di autonomia dalla corona spagnola. I nobili non vorrebbero negoziare, ma non hanno altra scelta. Trovano il documento, lo consegnano a Genoino e Masaniello lo legge in piazza davanti al popolo esaltato.

L’11 luglio, dopo quattro giorni di violenze e terrore, il pescatore Masaniello incontra faccia a faccia il viceré spagnolo e da lui ottiene il titolo di Capitano generale del fedelissimo popolo di Napoli.

In pratica, la rivoluzione è vinta. Il viceré spagnolo ha accettato che il popolo napoletano partecipi al governo della città. Comprese le decisioni sulle tasse.

Il giorno dopo, Masaniello sembra già completamente diverso. Si veste bene, va a cavallo, ha il rispetto dei nobili. La sua carica rivoluzionaria però non si è fermata, anzi. Forse per la pressione terribile di quel potere improvviso, Masaniello diventa ancora più crudele e dittatoriale. Vede nemici ovunque, accusa tutti. Ordina molte condanne a morte.

Passano solo pochi giorni, ma molto intensi e febbrili. Ormai molti tra i compagni di Masaniello, anche il vecchio mentore Genoino, sono sicuri di una cosa. È diventato troppo potente, è pericoloso. Masaniello deve morire.

16 luglio. Sono passati dieci giorni dalla rivolta. Cinque da quando Masaniello è diventato Capitano generale. Due da quando il Viceré in piazza ha giurato di mantenere i diritti del popolo di Napoli conquistati con la lotta. Masaniello è al massimo del suo potere, e allo stesso tempo non è mai stato così debole.

Per strada girano voci su di lui. Dicono che è diventato pazzo, che vuole costruire un ponte che dalla piazza del mercato arrivi fino al porto, che molesta i bambini. In realtà molti non sopportano un dato semplice. Masaniello era uno del popolo, uno di loro. Ma da quando ha il potere, si comporta come uno dei nobili.

Quel giorno, il 16 luglio, Masaniello fa un discorso dall’altare della Basilica del Carmine, accanto all’arcivescovo in persona. Sembra disperato, probabilmente ha la febbre, è quasi delirante. L’arcivescovo lo convince ad andare a riposare, in una delle stanze del convento accanto alla Basilica.

Masaniello ci va, si distende sul letto, chiude la porta alle sue spalle. Poco dopo sente delle voci dietro la porta. Le riconosce. Sono uomini della sua squadra. Allora apre la porta tranquillo.

Non ha il tempo di dire né di fare niente. Gli sparano addosso con cinque archibugi, ovvero dei fucili di quell’epoca, e lo uccidono sul colpo. Poi gli tagliano la testa. La portano in trionfo per la città e poi come simbolo di vittoria al Viceré in persona. Masaniello è morto. La rivoluzione è finita.

All’inizio sono tutti contenti. Masaniello era diventato troppo autoritario, troppo imprevedibile. Soprattutto i mercanti ricchi della città volevano tornare alla normalità. Avevano ottenuto gli sconti sulle tasse che desideravano. La rivoluzione poteva finire.

Il giorno dopo però, la città si risveglia con una brutta sorpresa. Ora che è morto Masaniello, il Viceré e i nobili non hanno nessuna intenzione di rispettare i patti. Alzano di nuovo le tasse, improvvisamente. E non c’è più nessuno in città che abbia la forza e il carisma di protestare.

Nei giorni successivi, il popolo napoletano sembra essersi pentito. Ai funerali di Masaniello partecipano in migliaia di persone. Alcuni nelle preghiere e nelle litanie, lo chiamano addirittura santo. Alcuni racconti popolari dicono che c’è stato chi ha provato a toccare il suo corpo o strappargli dei capelli da tenere come reliquie.

Masaniello è morto, e la rivoluzione è finita. Ma solo apparentemente.

Si è parlato tanto di Masaniello in Italia, in tanti modi. Alcuni leggono la sua rivolta come il primo atto delle future guerre di indipendenza, ma probabilmente è un’esagerazione. Masaniello non aveva nessuna intenzione di cacciare gli spagnoli da Napoli e aveva accettato con piacere il grado di Capitano del fedelissimo popolo di Napoli. Fedelissimo, appunto, al re di Spagna.

Anche l’idea che Masaniello sia il primo rappresentante della camorra è un po’ esagerata. Effettivamente, se pensiamo a quando i suoi uomini bruciano i banchi del mercato, sembra proprio una mossa tipicamente mafiosa. Ma le mafie sono sempre state dalla parte dei potenti, mentre Masaniello voleva davvero il bene del popolo.

Cosa resta dunque? L’immagine di un rivoluzionario. Sincero e forse un po’ ingenuo. Uno che ha provato a combattere una battaglia molto più grande di lui.

Oggi la sua figura è usata a volte in senso metaforico. Se leggete su un giornale che un politico è definito „un masaniello”,vuole dire che è un populista, uno che dice cose molto popolari ma anche irrealizzabili. E che probabilmente è anche molto facile da manipolare.

Non sono sicuro che Masaniello, quello vero, meriti di essere definito così. Non so cosa ne pensate voi. La storia non ha ancora una risposta, la lingua invece ha fatto la sua scelta.

 

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