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#17 – Pantani, il pirata della bicicletta

Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 26 giugno 2021.

Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale.

Per ascoltarlo, clicca qui.

Pantani Pirata della bicicletta

 

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Rimini è una città a due facce. In estate è allegra, piena di giovani, musica e feste. In inverno è un po’ malinconica e silenziosa, in attesa della prossima estate.

Quasi sicuramente Rimini era silenziosa e grigia il 10 febbraio del 2004. Quel giorno un uomo arriva in città, si ferma all’albergo Le Rose e chiede una camera per qualche notte.

I proprietari sono contenti. Gli ospiti a febbraio sono pochi, ognuno è il benvenuto. Quest’ospite poi è uno famoso. Forse un po’ controverso, ma comunque famoso.

Quattro giorni dopo. È il 14 febbraio, il giorno di San Valentino. Una donna delle pulizie bussa alla porta della stanza 5B. La stanza di quell’ospite famoso. Lei bussa, ma nessuno le risponde. Allora decide di aprire per controllare.

L’ospite è lì. Sdraiato sul pavimento della stanza. Morto.

Chiamano subito un’ambulanza, e la polizia. Poco dopo, arrivano anche i giornalisti. La storia sembra molto grossa. Gira la voce che l’uomo sia morto per un’overdose di cocaina e psicofarmaci.

I giornalisti ascoltano, scrivono, riportano alle redazioni.

Quella sera, nelle case degli italiani, arriva una notizia che sconvolge molti: è morto Marco Pantani.

È morto il Pirata della bicicletta.

La notizia è sconvolgente perché Pantani è stato uno degli uomini più famosi degli anni Novanta. Il suo nome era sulla bocca di tutti. Era un grande ciclista. Probabilmente il più forte ciclista mai visto in Italia dai tempi di Coppi e Bartali.

Di certo, l’Italia di Pantani non è più quella di Coppi e Bartali.

Un litro di latte nel dopoguerra costava 75 lire, all’inizio degli anni 2000 costava circa un euro. La canzone più ascoltata nel 1950 è una canzonetta romantica e un po’ buffa, “La raspa” di Nilla Pizzi e il Duo Fasano. Alla fine degli anni ’90 in classifica ci sono i Red Hot Chili Peppers e Celine Dion.

Gino Bartali o Fausto Coppi non sarebbero mai usciti da casa senza il cappello in testa. Marco Pantani con un cappello forse solo a una festa di carnevale.

Il ciclismo è cambiato? Un po’ sì e un po’ no. Forse ai tempi di Pantani è un po’ meno popolare rispetto ai tempi di Coppi e Bartali. Le bici sono più tecnologiche, le magliette dei ciclisti sono fatte di tessuti sintetici speciali, tutto è controllato scientificamente. Analisi del sangue, dieta, strategie al computer.

Altre cose sono rimaste uguali. La strada, la fatica, il sudore, il coraggio. Anche negli anni Novanta, e anche oggi, il ciclismo è uno sport durissimo, dove vince chi lotta, chi non ha paura della fatica e della stanchezza.

Quando sulle strade del ciclismo italiano è arrivato improvvisamente Marco Pantani, è stato come un fulmine a ciel sereno. Un ciclista tutto cuore e grinta, come ai vecchi tempi. Che ha fatto emozionare tantissimi tifosi e appassionati. Soprattutto sulle montagne, dove vincono solo i più coraggiosi, o forse solo i più pazzi.

Pantani ha portato il ciclismo oltre i suoi limiti. Per questo ha avuto tanti amici e ammiratori. Ma anche tanti nemici. Che hanno provato a distruggerlo. E alla fine, ci sono riusciti.

 

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Se quella sera del 14 febbraio hanno pianto per la sua morte, sono state lacrime di coccodrillo.

Marco Pantani è morto solo come un cane, a 34 anni, in uno squallido albergo di Rimini. Probabilmente depresso. Distrutto dall’odio di chi non riusciva a credere quello che era davvero: uno dei più grandi ciclisti della storia mondiale.

Oggi raccontiamo la sua, di storia. Fatta di sfortuna e gloria, di imprese leggendarie e grandi cadute. Di gioia e dolore. Tanta gioia, ma anche tantissimo dolore.

Pantani nasce nel 1970 a Cesena, figlio di gente semplice. Marco da ragazzino non è particolarmente portato per la scuola, ma dimostra un grande interesse per lo sport. Va a pescare, gioca a calcio, poi un giorno riceve in regalo dal nonno la sua prima bicicletta. Ci sale su e capisce che sarà quella la sua vita.

Capisce di avere un grande talento per le salite. È destinato a diventare quello che, nel gergo del ciclismo, si chiama “scalatore”.

Crescendo, è sempre più convinto che nella vita lui farà quello. Farà il ciclista. A 22 anni esordisce da professionista. Due anni dopo, al Giro d’Italia del 1994, compie la sua prima impresa. Durante una tappa di montagna del Giro, sulle Dolomiti, Pantani scatta all’improvviso quando comincia la salita. Nel momento più faticoso. Nel momento più insensato. Supera tutti. Davanti a lui c’è solo un altro ciclista, uno svizzero. Pantani lo attacca, lo supera, e vince la tappa. Alla fine di quel Giro sarà secondo in classifica. Gli italiani si innamorano di lui. I tifosi del ciclismo adorano gli atleti che faticano e lottano. E Pantani lo sa fare bene.

Insomma, sembra destinato a essere un eroe. Ma è un eroe sfortunato. L’anno dopo ha un incidente in allenamento, viene investito da una macchina e cade. Deve rinunciare al Giro d’Italia, ma partecipa al Tour de France. Non è al massimo della forza, non può competere davvero. Quando arrivano le montagne, però, qualcosa scatta nel suo cervello e lui ricomincia a pedalare forte e ad attaccare, ignorando il dolore e la fatica. Vince due tappe in salita. Sulle Alpi e sui Pirenei. I tifosi e gli appassionati che lo vedono, pensano: se riesce a fare queste cose adesso, cosa farà quando sarà al cento per cento della forma?

Non lo scopriranno presto. Perché quell’autunno Pantani ha un altro incidente. Ancora contro una macchina. Questa volta è molto grave. Si rompe due ossa della gamba destra. La sua carriera potrebbe davvero essere al capolinea.

Per sei mesi non tocca una bicicletta, ma non ha nessuna voglia di ritirarsi. Nel 1996 partecipa di nuovo alle gare, anche se evita per il momento quelle più dure come il Giro e il Tour.

Ritorna ai grandi giri dal 1997. Al Giro d’Italia inizia molto bene, è il favorito, ma ancora una volta arriva la sfortuna a mettergli il bastone tra le ruote. Durante una tappa, un gatto attraversa la strada ai ciclisti. In molti cadono dalla bicicletta. Tra di loro c’è Pantani, che si fa male a un ginocchio. Il giorno dopo è costretto a comunicare il suo ritiro. Di fronte alle telecamere, appare molto frustrato.

Qualche settimana dopo al Tour de France, è uno dei favoriti, insieme al tedesco Jan Ulrich. Pantani e Ulrich sono ciclisti molto diversi tra loro: l’italiano predilige le salite, mentre non è molto forte in pianura. Il tedesco invece non riesce a rendere al massimo in salita, ma in pianura corre come un fulmine. Alla fine del Tour, saranno questi fattori tecnici a fare la differenza. Pantani vince nelle tappe di montagna, segnando nuovi record, ma Ulrich domina nelle tappe a cronometro. Nella classifica generale Ulrich resta davanti a lui di vari minuti e conquista l’ambita maglia gialla. Pantani è solo secondo.

Ma è solo questione di tempo. All’inizio della stagione 1998, Pantani si trasforma. Diventa Il Pirata.

È molto motivato perché finalmente comincia una stagione senza infortuni. Inoltre, ha perso molti capelli, è diventato praticamente calvo. Per questo, ha deciso di coprirsi la testa con una bandana. E i giornalisti e i tifosi hanno pensato che per un ciclista con la bandana, era perfetto il soprannome de Il pirata.

Inizia il Giro d’Italia e Marco vuole vincere. Sa di essere il più forte di tutti in montagna, e quindi punta tutte le sue carte su quello. Lotta e suda sette camicie per conquistare secondi di vantaggio che gli saranno preziosi in pianura quando saranno altri a essere più veloci. La tattica si rivela vincente. Alla fine di un Giro pieno di emozioni, Pantani conquista la maglia rosa e il titolo di vincitore.  Finalmente.

Alla fine del Giro, il Pirata vorrebbe riposarsi. Non vuole partecipare al Tour de France. In quelle settimane però, muore all’improvviso Luciano Pezzi, il direttore sportivo della squadra di Pantani. L’uomo che più di tutti e prima di tutti ha creduto nella forza del Pirata.

Pantani è sconvolto, e decide di andare al Tour. Anche senza essere pronto. Per la memoria di Luciano.

Ulrich è ancora il ciclista favorito per il Tour e Pantani non sembra un candidato credibile visto che è fuori forma. I primi giorni dimostrano un dominio del tedesco, ma la svolta arriva alla quindicesima tappa del Tour. Ovviamente, è una tappa di montagna La giornata è terribile. Benché sia piena estate, fa molto freddo, piove e ci sono circa due gradi. Pantani attacca in montagna, a 50 km dal traguardo e prima di una discesa ripidissima. Nel farlo, decide di indossare una mantellina per proteggersi dal freddo. Ulrich, concentrato sulla rincorsa, non indossa niente, soffre il freddo e accumula ritardo su Pantani. Il pirata vince la tappa e strappa a Ulrich la maglia gialla. Da quel giorno fino alla fine non la lascerà più. Senza essersi allenato a sufficienza, Pantani nel 1998 vince il Tour de France.

L’Italia sportiva è in delirio, un ciclista azzurro non vinceva il Tour dal 1965 e nessuno aveva vinto nello stesso anno il Giro e il Tour dai tempi di Fausto Coppi.

Il 1998 però non è solo l’anno del trionfo di Pantani, ma anche quello del primo grande scandalo doping nel ciclismo. L’8 luglio di quell’anno, mentre in Francia si corre, la polizia ferma un’automobile di proprietà della Festina, una delle squadre che partecipano al Tour. L’auto è piena di sostanze dopanti e la squadra viene squalificata.

Il doping, in uno sport come il ciclismo dove lo sforzo fisico è massacrante, è un problema molto serio. Dopo lo scandalo Festina, ci sono sempre più controlli, alcuni molto invasivi. Molti ciclisti sono contrari, soprattutto Pantani, e fa una battaglia contro i controlli che violano la privacy dei ciclisti e li costringono a vivere nel terrore. Alcuni commentatori cominciano ad accusare il Pirata. Dicono che così difende il doping. Lui però va per la sua strada.

I guai arrivano l’anno dopo. Al Giro d’Italia del 1999, Pantani parte da favorito e domina da subito la classifica, ma il 5 giugno, alla tappa che inizia da Madonna di Campiglio, Pantani non si presenta alla partenza. Alle analisi del sangue, hanno scoperto che il suo ematocrito è troppo alto e lui non può partecipare.

Il pirata per giorni non si fa vedere, si chiude in un albergo lontano dai giornalisti. È furioso. Pochi giorni prima i suoi valori erano normali. Come sono cambiati così all’improvviso? Alcuni giornalisti cominciano a parlare di doping. Lui crede che qualcuno abbia cambiato le analisi per boicottarlo. Davanti alle telecamere si mostra preoccupato.

Poche settimane dopo, decide anche di non partecipare al Tour de France. I giornali cominciano ad attaccarlo. Gli stessi che fino a poche settimane prima lo osannavano. I tifosi che prima gli chiedevano autografi, ora lo accusano di essere un drogato. Il pirata comincia a mostrare segni di depressione. Alcuni dicono che ha iniziato a prendere cocaina. La sua vita, tutto a un tratto, va dalle stelle alle stalle.

Il Pirata prova a tornare alle gare nel 2000, dopo una lunga pausa. Al Giro,  corre alcune grandi tappe e dà i segnali di un’apparente rinascita. Qualche settimana dopo, decide di partecipare al Tour de France dove il favorito è l’americano Lance Armstrong.

Armstrong ai giornali piace. È un ciclista fortissimo ed è anche guarito da un cancro. Sui giornali e tra i tifosi nasce il dualismo. Da un lato Armstrong, l’eroe puro e pulito, che ha superato una malattia orribile. Dall’altro Pantani, l’antieroe negativo, che fa uso di doping e di droghe.

È assurdo a pensarci oggi. Dopo che Armstrong ha ammesso pubblicamente di avere fatto uso di doping e dopo che tutti i suoi titoli sono stati revocati. Mentre nessuno ha mai provato che Pantani ha fatto uso di doping, e le sue vittorie non sono mai state messe in discussione.

Al Tour del 2000 dunque, Pantani lotta, conquista anche un paio di tappe, ma non è mai davvero in corsa per la vittoria finale. È, frustrato, e la sua immagine è rovinata. Negli anni successivi, continua a partecipare al Giro qualche volta. Al Tour non viene ammesso. Sta sempre peggio e si allontana sempre più dalla vita professionistica. Le voci di un suo problema con la droga si fanno sempre più insistenti, fino ad arrivare al febbraio del 2004.

La cronaca dei giorni della sua morte è controversa. Dopo che la sua famiglia era partita per una vacanza in Grecia, il 10 febbraio Pantani, era partito per una gita in montagna, ma poi aveva deciso di tornare a Rimini. E lì, nella famigerata stanza 5D del residence Le Rose, il Pirata va in overdose e perde la vita.

La famiglia di Pantani ancora oggi lotta in tribunale per scoprire le vere cause della morte di Marco. Molti elementi dello scenario non sono chiari. Era davvero solo in quella stanza? Qualcuno gli ha portato la droga? E perché? Era un amico o un nemico?

Non è chiaro se ci sia stato un responsabile diretto nella morte di Marco Pantani. Di certo, sono stati responsabili indiretti i giornalisti e i tifosi che prima lo hanno portato alla gloria e poi lo hanno trascinato nella depressione.

Oggi, a molti anni dalle vicende, la figura di Pantani è stata ripulita e molti lo ricordano con affetto e malinconia. Non più come il dopato cocainomane autodistruttivo, ma come il grande Pirata capace di emozionare con i suoi scatti in bicicletta.

 

 

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