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100 – Italiano standard, accenti e dialetti

Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 18 febbraio 2023.

Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale.

Per ascoltarlo, clicca qui.

Italiano standard, accenti e dialetti Salvatore racconta Italiano per stranieri

Ciao!

Quello che state per ascoltare è l’episodio numero 100 di Salvatore racconta.

Non lo nascondo, sono un po’ emozionato. 100 è una cifra importante.

Grazie a tutte le persone che hanno ascoltato e ascoltano questo podcast e che mi danno l’ispirazione e la motivazione per andare avanti.

E grazie a tutte le persone che fanno qualcosa di speciale in più, sostenendo Salvatore racconta su Patreon con un contributo mensile. Senza di voi, sarebbe difficile trovare il tempo e gli strumenti per fare questo podcast in modo serio e professionale. Gli iscritti e le iscritte su Patreon lo sanno già, ma gli altri forse no. Per chi decide di sostenere finanziariamente Salvatore racconta, c’è un episodio speciale in più ogni settimana, dedicato all’attualità. Trovi tutte le informazioni e i link nella descrizione dell’episodio.

Per la puntata numero 100, ho pensato a qualcosa di un po’ speciale. L’inizio di una nuova serie sulla lingua italiana.

Se ne avete voglia, fatemi sapere cosa ne pensate. Con un messaggio su facebook o instagram, oppure con una mail a salvatoreraccontapodcast@gmail.com.

Bene, bando alle ciance.

Cominciamo!

Che lingua si parla in Italia?

Ma che domanda stupida, Salvatore.

L’italiano, naturalmente!

Questo è un podcast in italiano per stranieri, semplice. E tu che ascolti, molto probabilmente, sei una persona che ama viaggiare in Italia, ha origini italiane oppure ha a che fare con persone che vivono in Italia.

Per fortuna la risposta è che in Italia si parla italiano, naturalmente.

E però…

E però a volte ti capita di trovarti in un piccolo centro, lontano da una grande città, di sentire parlare tra loro un gruppo di anziani e di non capire niente.

Oppure ti capita di essere in vacanza da qualche parte in Italia e di assaggiare un formaggio buonissimo. Sai come si chiama, eppure il cameriere ti dice un altro nome. Ma tu sei sicuro che è proprio quel formaggio!

Altre volte ancora sei a casa tua e guardi una serie o un film in italiano e capita che i personaggi dicano qualcosa che non riesci a capire.

Per non parlare di quelle differenze di pronuncia che a volte ti fanno impazzire.

Il fiore più famoso al mondo come si chiama? Rosa o rosa?

E il colore che viene fuori mischiando blu e giallo, si chiama verde o verde?

E che dire del famoso patriota italiano a cui sono dedicate tante vie e piazze. Si chiama Mazzini O Mazzini?

Ma a che gioco stiamo giocando?

Nessun gioco, è solo che l’italiano è una lingua viva. Le persone che lo parlano, lo studiano, lo usano non sono tutte le stesse.

Ci sono persone che vivono al nord e altre che vivono al sud, persone che hanno studiato tanto e altre che l’hanno fatto il minimo indispensabile, persone che frequentano tanta gente di altri posti e altre che invece non mettono mai il naso fuori dalla propria provincia. E poi ci sono persone giovani e anziane, uomini e donne, persone che parlano italiano dalla nascita e altre che l’hanno imparato strada facendo.

In questo episodio cercheremo di capire che cos’è l’italiano standard, cosa sono gli italiani regionali, cosa sono gli accenti e cosa sono i dialetti.

Tutte cose diverse, ma strettamente legate tra loro, e che insieme creano la meravigliosa ricchezza dell’italiano.

Cominciamo!

Iniziamo con il dire che l’italiano non si parla solo in Italia.

Per esempio, l’italiano è lingua ufficiale della piccola exclave di San Marino. Ed è co-ufficiale per la Città del Vaticano e in alcune località della Slovenia e della Croazia oltre che del Canton Ticino in Svizzera.

Grandi comunità non ufficiali di parlanti italiani si trovano in antiche zone di emigrazione italiana, come l’Argentina e l’Uruguay, e in Paesi con cui l’Italia ha avuto e ha legami molto stretti come l’Albania.

Ma restiamo all’Italia. In quali zone e regioni d’Italia si parla italiano?

La risposta è semplicissima. In tutte.

L’italiano è la lingua ufficiale della repubblica italiana, quella che si insegna a scuola, con cui si scrivono la maggior parte di libri e giornali, che si usa in televisione e negli uffici pubblici, quella che quasi sempre le persone usano nella loro comunicazione quotidiana.

È anche vero che in Italia non si parla solo l’italiano, ma ci sono alcune lingue espressioni di minoranze locali riconosciute dalla legge.

Alcune di queste potrebbero esserti familiari se hai ascoltato l’episodio di Salvatore racconta dedicato alle isole linguistiche. È il numero 88 e si chiama 5 posti in Italia dove non si parla solo italiano.

Ecco, in tutti i posti dove sono utilizzate queste lingue di minoranza ovviamente è possibile parlare italiano!

Quindi una prima rassicurazione. Se vi doveste perdere durante una passeggiata in montagna in Sud Tirolo o magari durante un’escursione in Sardegna, non preoccupatevi, l’italiano standard che conoscete e che studiate sui libri è la lingua che vi salverà la vita.

E quindi eccoci al primo livello. L’italiano standard. Che cos’è?

È l’italiano puro, scritto in modo grammaticalmente corretto, sintatticamente sensato, secondo regole codificate, senza varietà locali, sociali o generazionali al suo interno, pronunciato senza il minimo accento.

In pratica, è una lingua che non esiste.

Calma, calma! Non è il momento di buttare dalla finestra i manuali e di cancellare le lezioni.

Nonostante quello che ho appena detto, studiare l’italiano standard ha perfettamente senso.

Quando dico che non esiste, intendo dire che è una specie di perfezione, un modello a cui ambire, ma che poi nell’uso quotidiano quasi nessuno rispetta davvero.

Non per pigrizia, per ignoranza o per sciatteria. Semplicemente perché la lingua è viva, rispecchia la nostra generazione, la nostra provenienza, la nostra istruzione e anche le nostre emozioni. Tutte cose che restano fuori da una lingua codificata.

Se non si parla in italiano standard, questo non vuol dire necessariamente che si parli male. Semplicemente, alcune delle cose previste dallo standard nella realtà non si realizzano.

L’elemento standard che non si realizza quasi mai al cento per cento è sicuramente quello legato alla pronuncia.

Il modo in cui parliamo l’italiano è quasi sempre connotato dal nostro accento.

Ecco il primo elemento da analizzare. L’accento.

Una volta una persona che conosco, originaria di Como, mi ha detto -convintissima- di non avere nessun accento.

Ho cercato di spiegarle, con tutta la diplomazia possibile che, beh, non era vero. Tutti abbiamo un accento. Chi più marcato, chi meno. Chi ha studiato dizione o recitazione riesce a nasconderlo, ma ci sono persone che non sanno o non vogliono farlo.

Del resto è normale. Pensate all’inglese. Un parlante di Austin, in Texas, non ha certo lo stesso accento di uno di New Delhi in India, di Sidney in Australia o di Liverpool nel Regno Unito.

Per l’italiano funziona allo stesso modo, anche se ovviamente su un territorio molto più ridotto.

Ci sono alcuni accenti più riconoscibili di altri. Per vari motivi, soprattutto storici e culturali. L’accento siciliano, quello napoletano, ma anche l’accento romano, quello toscano o quello veneto sono molto distintivi e anche abbastanza facili da imitare.

Parlare italiano quasi senza accento è una caratteristica molto apprezzata nel giornalismo televisivo, nel teatro, nel cinema dove è necessario parlare in modo neutro e professionale o interpretare dei personaggi. Per esempio un attore con un forte accento, poniamo, umbro sarebbe poco credibile in una tragedia di Shakespeare.

Al contrario, l’annullamento dell’accento non è una caratteristica richiesta per fare carriera politica. Giorgia Meloni, la presidente del consiglio, ha un marcato accento romano. Matteo Salvini e Silvio Berlusconi sono facilmente riconoscibili come parlanti venuti dalla Lombardia. L’ex premier Matteo Renzi ha un accento fiorentino così forte che sembra finto.

Questo cosa vuol dire? Che l’accento con cui parliamo italiano non cambia quasi mai la possibilità di capire ed essere capiti. Ci sono casi estremi in cui un accento molto marcato rende impossibile la comunicazione, ma succede molto raramente.

Nella maggior parte dei casi, ve lo garantisco, l’accento è soltanto qualcosa che aggiunge un po’ di colore al modo in cui parliamo italiano. Lo rende più bello e più autentico.

Quando inizierai a percepire e distinguere i vari accenti italiani, e a riconoscere la provenienza di una persona da come parla, allora sì che avrai raggiunto un livello di italiano veramente avanzato.

Quando parliamo di accento, pensiamo soprattutto a una precisa melodia della frase. Ci sono però anche dei segni più piccoli della pronuncia che possiamo osservare.

Penso in particolare all’apertura delle vocali o alla pronuncia della lettera S. Provate a chiedere a una persona di Bari e a una di Padova di pronunciare la parola che indica il luogo in cui viviamo normalmente. Sì, quella parola con quattro lettere che inizia per C. Sentirai due risultati abbastanza diversi.

Da un punto di vista tecnico, uno è sbagliato e l’altro corretto. Sì, ma non importa. Noi stessi italiani spesso non ci facciamo caso.

Sono i tratti specifici di quello che chiamiamo italiano regionale, cioè la variante dell’italiano standard parlata in ogni regione. A volte in modo consapevole, altre meno.

Nelle varianti di italiano regionale, non si differenzia solo la pronuncia, ma a volte anche il lessico.

Capita soprattutto con alcune parole del lessico quotidiano e della tradizione. Per capirci, non c’è una parola tipica siciliana per dire frigorifero, ma ce n’è invece una tipicamente toscana per indicare il mestolo, quella specie di grande cucchiaio usato per versare la zuppa.

Capita tanto anche con i nomi di prodotti tipici. Formaggi fatti con la stessa varietà di latte o formati di pasta molto simili hanno nomi diversi in regioni diverse.

Dove metti la spesa dopo avere pagato al supermercato. In una busta, in un sacchetto o magari in una sportina?

E cosa mangi a colazione assieme a un bel cappuccino. Un cornetto? Una pasta? O magari na brioche?

A parte questi casi, molto famosi, spesso nelle varianti di italiano regionale può capitare di sentire parole che sono completamente -o quasi completamente- esclusive delle singole regioni e realtà locali. E che spesso sono incomprensibili per i parlanti delle altre regioni.

Perché?

Perché sono parole che arrivano dai dialetti.

 

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A differenza di quanto alcune persone credono, i dialetti non sono varianti regionali della lingua nazionale, ma sono veri e propri sistemi linguistici separati. Che in una determinata zona co-esistono con la lingua nazionale.

A volte le persone mi guardano con stupore quando dico che il siciliano è incomprensibile per i parlanti della Lombardia o che per guardare un film dove i personaggi parlano in bergamasco sono necessari i sottotitoli.

Invece è normalissimo. Il bergamasco, il siciliano, il salentino, il veneto sono semplicemente sistemi linguistici diversi. Detta brutalmente, sono altre lingue rispetto all’italiano standard.

Li chiamiamo dialetti, e non lingue, perché a queste parole abbiamo attribuito un valore politico. Semplificando molto, la lingua è il codice di comunicazione di una nazione, è ufficiale, riconosciuta e usata da molte persone. Il dialetto è il codice di una comunità più piccola ed è usata da un numero più piccolo di persone.

In poche parole, una lingua è un dialetto che ha fatto carriera. Del resto è quello che è successo anche all’italiano che parliamo oggi. Era la lingua italica più prestigiosa e strutturata ed è diventata lingua nazionale, ma di questo parleremo in un altro momento.

Dicevamo che i dialetti co-esistono con l’italiano. In alcune zone si parlano di più e in altre di meno, per ragioni sociali e culturali soprattutto. È molto raro oggi sentire delle persone parlare in dialetto milanese, ma è molto comune sentire parlare in dialetto due persone venete o napoletane.

In generale, il dialetto occupa uno spazio diverso rispetto all’italiano. Lo spazio delle emozioni, della vita quotidiana, della famiglia, soprattutto tra le persone meno istruite. Mentre l’italiano occupa quello della scuola, della vita pubblica, della burocrazia, soprattutto tra le persone più istruite.

È stato così per tanto tempo e in tante regioni. Era totalmente così per la generazione dei miei nonni, è in parte così per quella dei miei genitori e lo è molto meno per la mia generazione e quelle più giovani.

Con la diffusione della scuola dell’obbligo, della televisione, di internet e con l’aumento delle possibilità di viaggiare, l’italiano ha occupato anche gli spazi che un tempo erano del dialetto. Anche se in alcuni contesti, il dialetto resiste ancora.

A questo punto forse vi starete chiedendo: ma io che studio l’italiano per parlare con le persone in Italia ho bisogno di conoscere i dialetti?

La risposta è: no. Perché nessuno in Italia conosce tutti i dialetti, sarebbe un’impresa da poliglotti. Io conosco il mio, il siciliano, e capisco abbastanza gli altri dialetti meridionali, ma non capisco quasi niente di quelli settentrionali. E vivo benissimo!

Perché oggi conoscere e parlare il dialetto non significa non conoscere l’italiano. I due codici viaggiano paralleli su piani diversi. È quello che in gergo tecnico si chiama diglossia.

Può capitare, al massimo, che una persona parlando in italiano inserisca -consapevolmente o meno – parole del proprio dialetto locale. Capita molto spesso tra le persone che non hanno studiato molto e che quindi non sempre sono consapevoli di dove finisce il dialetto e dove inizia l’italiano. Anche perché, siccome i dialetti sono quasi sempre lingue italiche, le differenze non sono sempre molto chiare.

E quando una persona ci parla in italiano e usa una parola del suo dialetto che facciamo? Niente! Se capiamo dal contesto, andiamo avanti. Altrimenti, chiediamo di ripetere. Sarà un’esperienza per conoscere parole nuove e scoprire un aspetto più profondo, e più intimo, di come si parla l’italiano.

Lontano dallo standard, forse, ma va bene così. La vita in fondo non è mai standard.

Conoscere le regole è importante per sapere dove andare, ma a volte è bello anche perdersi un po’. Non è vero?

 

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