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#10 – Le cinque giornate di Milano

Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato l’8 maggio 2021.

Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale.

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Cinque giornate di Milano Salvatore racconta Podcast

 

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Pensate a Milano oggi. Una città grande, piena di automobili e tram, percorsa da gente di fretta, che parla al telefono mentre cammina. Una città piena di negozi eleganti, ristoranti raffinati, grattacieli e banche.

La nostra storia di oggi parte da Milano. Anzi, parla di Milano dall’inizio alla fine. Ma bisogna fare uno sforzo di immaginazione, perché questa storia risale a quasi duecento anni fa, quando la città era molto diversa.

In questa storia dobbiamo immaginare Milano piena di fucili, spade, baionette e pistole. Dobbiamo immaginare gente che urla, spara, uccide e viene uccisa. La nostra storia parla di cinque giorni intensi, durante i quali a Milano, per le strade del centro, c’è stata la guerra.

Una guerra strana, che Milano ha vinto ma ha anche perso. Una guerra che nel breve termine non ha cambiato niente, ma nel lungo termine ha cambiato quasi tutto. E per questo motivo, a quei giorni incredibili di battaglie per le strade sono intitolate strade, piazze e fondazioni.

Sono le cinque giornate di Milano.

Andiamo con ordine. Abbiamo detto che si tratta di una storia di quasi duecento anni fa. È il momento di essere più precisi. L’anno è il 1848. Un anno incredibile per l’Europa. Durante tutto l’anno scoppiano rivoluzioni e insurrezioni in quasi tutta Europa. Una dopo l’altra iniziano rivolte in Francia, in Polonia, in Ungheria, in Austria. E naturalmente anche in Italia.

Quando parliamo di Italia nel 1848 però dobbiamo dire una cosa. L’Italia in quel momento non esiste. Calma. Esiste come concetto, idea culturale e geografica. Esiste la lingua italiana, come anche una certa idea di carattere italiano. Solo che l’Italia, come Stato, sulle mappe non c’è.

Nel ’48, quando cominciano le Cinque giornate di Milano, l’Italia è divisa in vari stati.

Nell’Italia nord-occidentale c’è il regno di Piemonte, con la dinastia dei Savoia, che ha Torino come sua capitale, e che controlla anche la Sardegna. A sud c’è il regno delle Due Sicilie, che comprende la Sicilia e tutto il Sud Italia, ed è guidato da Napoli dalla dinastia dei Borbone. In mezzo, c’è lo Stato della Chiesa, dove un vero re non c’è e comanda il Papa. Infine, ci sono alcuni stati più piccoli, ducati e granducati, che governano sulla Toscana e l’Emilia.

È tutto? No, manca un pezzo importante per la nostra storia. Milano, con tutta la Lombardia, e Venezia con tutto il Veneto. Nel 1848, queste regioni sono dominio dell’Impero austro-ungarico e dipendono dagli Asburgo.

In quei tempi, quando il concetto di nazione è molto popolare, questa è una situazione questa che a molti non piace. Nei circoli intellettuali si parla da tempo di Italia unita.

Alcuni, più moderati, immaginano una federazione di Stati italiani indipendenti guidati simbolicamente dal Papa. Altri invece, più rivoluzionari, parlano di buttare giù tutto e di fare la repubblica.

Tutte queste però sono quasi solo parole. Gli unici che provano a fare qualcosa sono rivoluzionari clandestini, senza una vera organizzazione politica alle spalle.

Tutto questo è vero fino al 1848. Tutto comincia dalla Sicilia, perché i cittadini di Palermo non sono contenti del fatto che il re abbia scelto Napoli come sua capitale. Per la loro isola vogliono autonomia e diritti. Il re Ferdinando di Borbone si spaventa e concede una costituzione.

A quel punto, per motivi simili, scoppiano rivoluzioni anche a Napoli, Roma, Budapest, Poznan, Parigi, Vienna… E Milano.

 

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Dobbiamo dire qualcosa di più su Milano, visto che è il centro della nostra storia di oggi. In quel momento storico, come abbiamo detto, Milano è una città dell’impero austriaco. È una città importante, capitale della regione, e i sudditi milanesi hanno voce in capitolo nell’amministrazione.

Però non sono liberi. Perché la polizia, che controlla tutto, è austriaca. I giudici sono austriaci. E sono austriaci gli ottomila soldati della guarnigione imperiale che controlla l’ordine a Milano.

Soprattutto per i giovani, pieni di ideali e di voglie rivoluzionarie, si tratta di un sistema è insopportabile e oppressivo. Vogliono liberarsi degli austriaci e sognano l’Italia. O almeno l’Italia del nord. Pensano che la Lombardia potrebbe unirsi al Regno del Piemonte e costruire un grande Regno dell’Alta Italia.

Nei mesi precedenti allo scoppio delle rivolte, i milanesi già mostrano apertamente il loro disprezzo per gli austriaci. Pochi mesi prima del periodo che ci interessa, succede il primo piccolo ma simbolico evento. Muore l’allora arcivescovo di Milano Karl von Gaisruck. Come si evince dal nome, austriaco. Papa Pio IX, che ha il compito di scegliere il suo sostituto, sceglie un vescovo italiano: Carlo Romilli.

Per i cittadini di Milano è un segno che la storia è dalla loro parte. Organizzano manifestazioni di piazza e festeggiamenti. E ovviamente, la polizia austriaca reprime tutto.

Nel gennaio del 1848, inizia lo sciopero del fumo. All’epoca sigari e sigarette sono molto popolari, ma le tasse sul tabacco vanno direttamente a Vienna e i milanesi decidono che, piuttosto che finanziare l’imperatore, smetteranno di fumare. Ci sono racconti di scene un po’ bizzarre, con i poliziotti austriaci che fumano in faccia alla gente per provocazione, scontri e arresti.

Ma questo non è che l’inizio. Nel marzo del 1848, a Milano arrivano le notizie delle rivoluzioni esplose in tutta Europa. I cittadini di Milano vengono a sapere che il Re di Sicilia ha concesso più diritti, e lo ha fatto anche il Re di Piemonte, Carlo Alberto, e persino l’Imperatore Francesco Giuseppe a Vienna. Anche i milanesi vogliono qualcosa. Solo che all’inizio non sanno bene cosa. Il 18 marzo del 1848 c’è una manifestazione per le vie del centro. È pacifica e chiede soltanto più autonomia per la Lombardia. Ma l’atmosfera è elettrica, qualcuno spara e in men che non si dica la città esplode.

In quel momento iniziano davvero le cinque giornate di Milano.

Nell’eccitazione generale, si comincia a combattere strada per strada e casa per casa. I milanesi, soprattutto quelli più poveri, non hanno molte armi, ma si arrangiano.

Tirano oggetti pesanti e olio bollente dalle finestre, attaccano i soldati austriaci con coltelli da caccia o da macellaio, rubano pistole e fucili dove li trovano.

E soprattutto, costruiscono barricate difensive. Sono veri e propri muri di legno che chiudono le strade. Per costruirle si usa di tutto. Vecchie botti di vino e di birra, mobili, casse, banchi di negozi o carrozze distrutte.

I soldati austriaci sono ottomila, sono ben addestrati e hanno un bravo comandante, il maresciallo Josef Radetzky. Però non si aspettavano questo attacco improvviso e, sono colti di sorpresa.

Dopo due giorni, la situazione è un po’ surreale. I soldati austriaci non sanno cosa fare, così occupano il castello sforzesco al centro di Milano e presidiano le mura. I milanesi hanno il controllo delle strade, ma non possono uscire da Milano e non possono ricevere rifornimenti. Inoltre, i nemici sono ancora dentro.

I capi della rivolta organizzano un governo provvisorio. Per decidere cosa fare.

Nel frattempo, dal vicino Regno del Piemonte, Carlo Alberto ha preparato un esercito pronto ad aiutare Milano. Non è un aiuto disinteressato, ovviamente.

I piemontesi potrebbero dichiararsi liberatori di Milano dagli austriaci. Che fare allora? Aspettare i rinforzi o provare da soli? Gli austriaci sono stremati, chiedono un armistizio, ma Milano dice no. La guerra deve proseguire.

Il 22 marzo, quarto giorno di battaglie.  Il maresciallo Radetzky capisce che non può più difendere la città.

A fatica, la guarnigione austriaca lascia la città e fugge verso il Veneto.

Milano ha vinto.

Sembra tutto perfetto. Anche perché, mentre gli austriaci fuggono a oriente, l’esercito piemontese di Carlo Alberto si muove da occidente. Per inseguire gli austriaci, cacciarli definitivamente dalla Lombardia e unire Milano e tutta la regione al Regno di Piemonte.

Purtroppo per i milanesi, Radetzky è un generale molto bravo, mentre Carlo Alberto non è all’altezza.

Nelle settimane successive, i piemontesi sono lenti, troppo prudenti, e non attaccano. Gli austriaci hanno tempo per recuperare le energie, Radetzky attacca e insegue i piemontesi che sono costretti ad arretrare. L’esercito di Carlo Alberto in ritirata non trova altra soluzione. Rientra a Milano. Da sconfitto.

A Milano sono increduli. Da soli, poco armati e senza organizzazione, hanno cacciato gli austriaci da Milano e ora quelli stanno per tornare, più forti di prima.

In città sono tutti molto arrabbiati e nervosi, Carlo Alberto capisce che ha perso la guerra e vuole ritirarsi in Piemonte. Deve farlo con molta prudenza però.

A Milano non sono pochi quelli che lo considerano il responsabile di quel disastro. Lui lo sa bene e scappa da Milano scortato dai soldati.

Lascia una città piena di paura. Gli austriaci stanno tornando. Sono arrabbiati, in cerca di vendetta, e ora sono anche di più. Erano 8000, e ora sono 20.000. I milanesi non hanno le forze per resistere ancora.

Il 6 agosto gli austriaci rientrano a Milano, con Radetzky in testa. La città si deve arrendere.

I milanesi hanno combattuto per le strade per cinque giorni incredibili, hanno fatto una rivoluzione coraggiosa e patriottica, e dopo sei mesi sono di nuovo al punto di partenza. Con gli austriaci che, adesso, sono ancora più feroci e autoritari.

A Vienna ovviamente è festa grande. Radetzky riceve medaglie e onori dall’Imperatore Francesco Giuseppe, e Johann Sebastian Strauss gli dedica una marcia militare molto famosa. La marcia di Radetzky, appunto, che ancora oggi è un pezzo del repertorio del concerto di capodanno del teatro La fenice di Venezia. Ironia della sorte…

Le cinque giornate di Milano dunque si sono risolte con una sconfitta. L’energia di quei giorni incredibili tuttavia non si è persa. Anzi. Anche grazie a quegli eventi, è nata definitivamente l’idea che un’Italia unita poteva esistere e che stavolta il ruolo del Piemonte avrebbe dovuto essere fondamentale e deciso.

È una delle volte che la direzione della storia sembra segnata. Ci saranno altre due guerre che partiranno dal Piemonte verso il Lombardo-Veneto. Una nel 1859, un’altra nel 1866. Gli storici le chiameranno la seconda e la terza guerra d’indipendenza italiana.

E in mezzo a quelle, con le idee e lo spirito che avevano mosso le Cinque giornate di Milano, nel 1861 Vittorio Emanuele II, figlio dello sfortunato Carlo Alberto, può dire di essere il re d’Italia.

 

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