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#1 – Italia-Germania 4 a 3

Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 6 marzo 2021.

Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale

Italia-Germania 4 a 3

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Il calcio per gli italiani non è solo un gioco.

Il calcio è identità. È tradizione. È storia. Per quelli che lo amano. E anche per quelli che non lo amano.

Una volta, il calciatore inglese Gary Lineker ha dato la sua definizione di cosa è il calcio.

Ha detto:

Il calcio è quello sport che si gioca undici contro undici, e alla fine vincono i tedeschi

È ovviamente uno scherzo, ma dice chiaramente una cosa che molti pensano. La nazionale di calcio della Germania è una delle più forti della storia.

Tuttavia, tante sfide tra Italia e Germania nella storia del calcio le hanno vinte gli italiani, gli azzurri.

Questo ha creato nel tempo una rivalità speciale tra Italia e Germania. Da un lato i tedeschi, tradizionalmente molto organizzati, fisicamente forti, tatticamente precisi. Dall’altro gli italiani, bravi a difendere, ma molto caotici e però capaci di azioni geniali.

Sono stereotipi, naturalmente, ma con un po’ di verità in fondo. E proprio una partita di calcio tra Italia e Germania lo dimostra.

Non è una partita molto recente, ma la conoscono tutti in Italia. Giovani e meno giovani.

Una partita giocata il 17 giugno del 1970, a Città del Messico. Erano in corso i campionati mondiali e quella era una delle semifinali.  È stata una partita imprevedibile, ricca di emozioni e sorprese. I giornalisti presenti e gli amanti del calcio la chiamano ancora oggi “la partita del secolo”. Gli italiani, più semplicemente, la conoscono con il nome del risultato.

Italia Germania Quattro a Tre.

Intanto un po’ di contesto.

Anche se la chiamiamo Germania, per semplicità, nel 1970 quella era la squadra della Germania Ovest, allora divisa dall’altra Germania, quella socialista, la Germania Est.

L’Italia, invece, era l’Italia che conosciamo oggi. Un Paese pieno di contraddizioni, allo stesso tempo molto moderno e molto tradizionalista.

E nel calcio? Tanta confusione. Torniamo indietro di quattro anni, al 1966. Ci sono i campionati mondiali in Inghilterra. L’Italia partecipa, ovviamente. E ha tanti buoni giocatori. Però quei campionati mondiali sono un disastro totale. Gli azzurri non superano il girone e perdono una partita incredibile contro… la Corea del Nord. Sì, esatto, la Corea del Nord.

Una volta Winston Churchill ha detto una cosa sugli italiani che suona così:

“Gli italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio, e le partite di calcio come se fossero guerre”.

Forse questa frase non è davvero di Churchill, ma non importa. Vera o no, rappresenta bene il modo in cui l’Italia ha reagito alla notizia che la nazionale di calcio è stata eliminata ai campionati mondiali dalla Corea del Nord. Succede una rivoluzione. I giornalisti scrivono articoli molto critici, la gente nei bar commenta arrabbiata. La federazione calcio decide che ha bisogno di un capro espiatorio, un colpevole perfetto. Così licenziano il commissario tecnico, ovvero l’allenatore della nazionale, Edmondo Fabbri.

Al suo posto arriva Ferruccio Valcareggi. Lui è originario di Trieste, è stato un calciatore di livello medio-alto, ha giocato tanti anni con la Fiorentina.

Il nuovo allenatore ha un compito importante. Fra due anni, nel 1968, ci saranno i campionati europei in Italia. Gli azzurri non possono fare un’altra brutta figura, soprattutto davanti ai tifosi italiani.

Valcareggi lavora bene. È un allenatore intelligente, sa parlare con i suoi calciatori, costruisce una squadra molto forte e vince i campionati europei. In finale, a Roma, contro la Jugoslavia.

Nel 1970, l’allenatore della nazionale è ancora Valcareggi, ovviamente. E deve scegliere i calciatori che rappresenteranno l’Italia ai mondiali in Messico.

Sceglie in particolare da tre squadre.

La prima è il Cagliari. Oggi sembra incredibile. Il Cagliari è una squadra piccola, che quasi nessuno conosce a livello internazionale.  Nel 1970 però è successo un piccolo miracolo sportivo e il Cagliari ha vinto il campionato italiano, lo scudetto. Il primo e l’unico della sua storia. Lo ha fatto con una squadra piena di calciatori fortissimi. Il più forte di tutti è un ragazzo di origini milanesi, che si chiama Gigi Riva. Tutte le squadre lo vogliono, gli offrono tantissimi soldi, ma lui decide di restare in Sardegna, al Cagliari.

La seconda squadra più rappresentata è l’Inter. Ci sono giocatori esperti, soprattutto difensori molto forti, ma anche due calciatori di grande talento e fantasia. Segnatevi questi nomi: Sandro Mazzola e Roberto Boninsegna.

E poi c’è il Milan, che nel 1970 ha nella sua squadra il giocatore più forte d’Europa, Gianni Rivera, che l’anno precedente ha vinto il pallone d’oro. Rivera ha molto talento, ma anche un carattere difficile… Lo vedremo.

Quando arriva l’estate del 1970, tutti gli italiani non vedono l’ora di guardare questa grande squadra giocare il mondiale.

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C’è anche una grande novità tecnologica. La televisione è sempre più popolare e anche il calcio si adatta. Molti italiani potranno guardare gli azzurri in televisione, a colori.

La risoluzione dei televisori all’epoca non è eccezionale. E questo porta a una piccola rivoluzione. Il pallone dei mondiali, che non a caso si chiama Telstar, è tutto bianco con delle zone nere. Così si potrà vedere bene in tv. Non era mai successo prima. La tv ha cambiato il calcio. Per la prima, ma non ultima, volta.

Basta con le premesse, adesso. Andiamo in Messico.

L’Italia comincia i suoi mondiali nel gruppo 2, assieme a Svezia, Israele e Uruguay.

Le prime partite degli azzurri non sono molto emozionanti e i giornalisti sono molto critici. L’Italia vince la prima partita contro la Svezia, poi pareggia contro l’Uruguay e nella terza pareggia di nuovo contro Israele.

L’Italia supera il girone e ottiene i quarti di finale, ma in patria le polemiche sono forti.

Alcuni giornalisti criticano il commissario tecnico Valcareggi. Si lamentano perché il calcio dell’Italia sembra troppo prudente e difensivo.

Gli allenatori italiani sono famosi in tutto il mondo per le loro tattiche di difesa. C’è una parola italiana che diventa internazionale: catenaccio.

Il catenaccio nella realtà è un oggetto molto banale, è quello strumento di metallo che serve a chiudere delle porte molto grosse.

Oggi i catenacci sono popolari anche per un altro motivo. Tante coppie di adolescenti scrivono le proprie iniziali su un catenaccio e lo appendono a un ponte.

Nel calcio degli anni ’70, quella parola diventa sinonimo di una tattica difensiva molto seria, rigorosa… e un po’ noiosa.

Per fortuna, dopo le partite del girone, la musica cambia. Ai quarti di finale, la sfida è contro i padroni di casa del Messico. Allo stadio Dosal di Toluca ci sono circa 26mila tifosi. Naturalmente, sono quasi tutti messicani.

La partita per l’Italia inizia malissimo. Il Messico segna un goal dopo 13 minuti e l’Italia pareggia al 25esimo con un autogoal.

Nel secondo tempo, l’Italia fa un cambio: esce l’interista Sandro Mazzola ed entra il milanista Gianni Rivera. Ve lo ricordate? Quello che ha vinto il pallone d’oro e che ha un carattere terribile. Grazie a Rivera, e a Gigi Riva, l’Italia fa altri tre goal. Il risultato è 4 a 1, l’Italia arriva in semifinale. I tifosi e i giornalisti in Italia sono contenti, ma anche polemici. Perché il titolare è Mazzola, se Rivera è più bravo?

In semifinale contro l’Italia ci sarà la Germania. I tedeschi sono avversari fortissimi. Hanno una difesa molto solida, e un attaccante basso ma tecnico e veloce che fa molta paura: Gerd Muller.

La partita si gioca a Città del Messico, allo stadio Azteca con più di 110.000 spettatori sulle tribune. Quasi tutti messicani, quasi tutti arrabbiati con l’Italia e pronti a tifare Germania. In Messico sono le 16, le quattro del pomeriggio. In Italia è mezzanotte, ma sono tutti svegli per la partita. Molti la guardano in tv, altri la ascoltano alla radio. Tutti sono pronti. Inizia Italia-Germania.

A differenza della partita contro il Messico, Italia-Germania inizia bene. Dopo otto minuti, arriva il goal per l’Italia. Uno a zero.

Sono tutti sorpresi. Sia i tedeschi, sia gli italiani. Ha segnato Boninsegna, attaccante dell’Inter, e quello per lui è il primo goal in assoluto con la maglia della nazionale. Una storia strana quella di Boninsegna. Suo padre era un sindacalista comunista, ateo e anticlericale. Suo figlio, però, come tutti i figli di famiglie povere ha iniziato a giocare nei campi della parrocchia. Dai preti. Ironia della sorte.

Dopo il goal, l’Italia si chiude in difesa. È il momento del famoso, e odiato, catenaccio. I tedeschi attaccano con grande energia, il migliore degli azzurri in quel momento è il portiere: Enrico Albertosi, originario della Toscana. Anche lui, da ragazzino, ha imparato a giocare a calcio dopo il catechismo. Intanto i minuti passano, la Germania attacca continuamente ma non riesce a segnare. E finisce il primo tempo.

All’inizio del secondo tempo, l’Italia fa un cambio: fuori Mazzola e dentro Rivera, come contro il Messico. Con il geniale Rivera in campo, l’Italia ha più fantasia e voglia di attaccare, ma i giocatori tedeschi sono ancora più pericolosi di quelli italiani.

A Roma, a Milano, a Napoli e in tutta Italia i tifosi davanti alle televisioni si mangiano le mani per l’ansia. I minuti passano e la partita si fa dura, ci sono molti falli e altrettante polemiche.

Arriva il novantesimo minuto, mancano letteralmente pochi secondi alla fine. All’improvviso tutta Italia urla.

Non di gioia, ma di rabbia. Arriva il goal della Germania. Uno a uno. Lo segna Karl Heinz Schnellinger. Un difensore tedesco che gli italiani conoscono bene. Perché gioca nel Milan.

L’Italia è distrutta. Credeva di avere vinto la partita e invece no. L’arbitro fischia. Novanta minuti sono passati. Ora è il momento dei tempi supplementari.

Altri trenta minuti per decidere chi vincerà la partita.

Gli italiani nelle case sono rassegnati. Pensano che ormai sia impossibile vincere. I tedeschi hanno più energie, sono molto motivati. Gli azzurri invece sembrano stanchi e scoraggiati.

E infatti dopo quattro minuti arriva il goal della Germania. Italia-Germania 1 a 2.

Lo segna l’uomo più atteso, Muller, uno degli attaccanti più forti della sua generazione.

Il suo futuro, dopo il ritiro, sarà tragico. Depressione, alcolismo, solitudine. In quel momento no. In quel momento è solo l’eroe della Germania. Due a uno sull’Italia. A un passo dalla finale.

La gioia tedesca dura pochi minuti, per la precisione quattro. All’ottavo minuto supplementare, la difesa della Germania fa confusione e l’Italia segna. Goal. Italia-Germania 2-2.

Ha segnato un difensore, quasi per caso, è l’interista Tarcisio Burgnich.

Burgnich è un cognome strano. Non sembra neanche italiano. Lui viene dal Friuli, da un piccolo paesino a due passi dal confine con la Slovenia. Che nel 1970 era ancora la Jugoslavia. È un giocatore basso, ma duro e muscoloso, un difensore molto apprezzato, i compagni di squadra lo chiamano “la roccia”.

Gli italiani nelle case esultano. La partita non è ancora finita, possiamo ancora sperare. Anche gli azzurri in campo sembrano pieni di energia e cominciano ad attaccare.

Minuto 104 dall’inizio della partita, è il quattordicesimo del primo tempo supplementare. La palla arriva improvvisamente a Gigi Riva, l’attaccante del Cagliari, che tira forte con il sinistro, ed è goal per l’Italia.

Italia-Germania 3 a 2.

Il giornalista che fa la telecronaca per la Rai si chiama Nando Martellini. È un uomo pacato, moderato e parla un italiano elegantissimo, ma in quel momento esplode di felicità. E esplodono anche gli italiani, nelle loro case, in piena notte.

Non è ancora finita però. C’è ancora il secondo tempo supplementare. Restano altri quindici minuti di sofferenza.

I giocatori della Germania sembrano confusi. Hanno dominato la partita per tutto il tempo. Gli italiani però hanno segnato tre goal. Al rientro in campo, sono tutti molto stanchi, distrutti da centocinque minuti di lotta fisica ed emotiva.

Mancano dieci minuti alla fine. Calcio d’angolo per la Germania. Colpo di testa di Muller. Goal. Italia-Germania tre a tre.

Nando Martellini in telecronaca non ha neanche la forza per essere triste. Dice semplicemente “Ha pareggiato Muller”, con una voce molto stanca. In campo intanto sono tutti arrabbiati con Rivera. Lui è un attaccante, certo, ma era in area vicino a Muller e non ha saputo bloccarlo.

Passa un minuto, forse anche meno. Cinquanta secondi. L’Italia prova un attacco disperato. Boninsegna riceve un passaggio sul lato sinistro del campo, corre avanti e poi passa al centro dove c’è Rivera. Il milanista è pronto, non ci pensa un secondo, tira, goal. Quattro a tre.

L’Italia esplode.

Mancano nove minuti alla fine. Succede tutto. E non succede niente. I tifosi italiani nelle case guardano gli orologi. Aspettano la fine, ma il tempo non passa mai. Alla fine, l’arbitro fischia. È finita. Italia-Germania 4-3. La Germania è eliminata. L’Italia è in finale.

La festa è grande, grandissima. Forse è anche troppo grande. È solo una semifinale, l’Italia non ha ancora vinto niente. L’euforia però è incontenibile. Vincere contro la Germania è stata un’impresa. Soprattutto perché la filosofia italiana ha superato quella tedesca.

Il giorno della finale, gli azzurri sono ancora stanchi. O forse pensano ancora alla partita contro la Germania. Di fronte all’Italia questa volta c’è il Brasile. È il Brasile di Pelé. E i brasiliani non hanno pietà.

Vincono quattro a uno, sono loro i campioni del mondo del 1970.

I tifosi italiani sono delusi. Arrabbiati. Tuttavia, il ricordo della semifinale con la Germania è ancora molto dolce e quella partita diventa un simbolo. Una leggenda.

Sembra incredibile, lo so. Abbiamo parlato solo di una partita. Ed era solo una semifinale!

La verità è che Italia-Germania 4 a 3 è un simbolo che va oltre il risultato. Se non ci credete, provate a parlarne con qualcuno in Italia. Magari qualcuno che nel 1970 era bambino o adolescente.

Oppure guardate in una libreria, nel reparto libri di sport, e vedete quanti libri ci sono, dedicati esclusivamente a questa partita.

Oppure ancora, provate a guardare il film Italia-Germania 4-3. È uscito nel 1990, e parla di un gruppo di amici che si rivede, dopo tanto tempo, per guardare la partita. Una partita che è un pezzo di storia italiana. Un pezzo molto importante.

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