93 – 9 7 2006, l’ultima gioia mondiale degli azzurri
Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 19 novembre 2022.
Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale.
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Quanti sono 16 anni? Sono tanti? Sono pochi?
16 anni fa era il 2006. Ve lo ricordate che succedeva quell’anno?
Il presidente degli Stati Uniti era George W. Bush, alle prese con la coda della terribile guerra in Iraq.
Alla cerimonia degli Oscar, I segreti di Brokeback Mountain portava a casa tre statuette.
Il tormentone musicale che si poteva ascoltare ovunque era Crazy di Gnarus Barkley che rivaleggiava nelle classifiche con Hips don’t lie di Shakira. E la maggior parte delle persone ascoltava questi pezzi sul nuovissimo iPod shuffle, uscito pochi mesi prima.
Volete sapere cosa non c’era ancora nel 2006? O se c’era, in pochi ne sapevano qualcosa?
L’iPhone, Facebook, Instagram, Lionel Messi, Amazon.
Il 9 luglio del 2006, all’Olimpia Stadion di Berlino, il calcio italiano è arrivato al suo momento più alto dopo tanti anni di delusioni.
Quella sera, la nazionale azzurra ha conquistato la coppa del mondo. Battendo in finale la Francia, in una partita che ancora oggi tutte e tutti quelli che c’erano, ricordano benissimo.
Quel giorno così vicino e lontano assieme ha regalato tanti simboli che oggi fanno parte dell’immaginario collettivo.
In un’estate molto strana e molto triste per il calcio italiano, la nazionale è diventata campione del mondo per la quarta volta.
Mentre registro questo episodio, si avvicina la finale dei mondiali del 2022. Esserci è un’emozione che in Italia ci manca dal 2006, da sedici anni, da un mondo senza iPhone né Instagram che ci sembra lontanissimo.
Ti racconto quella storia, il suo contesto, i suoi simboli.
Con un po’ di nostalgia. Ma non troppa. Perché va bene ricordare, ma è giusto anche guardare avanti per riviverle quelle emozioni.
Le emozioni della notte in cui il cielo era azzurro sopra Berlino.
Che Italia era quella del 2006?
Era finito da poco il secondo governo Berlusconi. Alle elezioni politiche di quell’anno, aveva vinto una coalizione di centrosinistra larghissima, che teneva dentro partiti diversissimi tra loro, uniti soltanto dall’essere avversari di Berlusconi.
L’euro era ancora una discreta novità. C’era solo da quattro anni e ancora tante persone convertivano a mente i prezzi in lire per capire effettivamente quanto costasse qualcosa.
La Fiat aveva lanciato sul mercato la nuova Panda, in vetta alle classifiche musicali c’era il duo degli Zero Assoluto, autori di canzoni un po’ melense che facevano impazzire gli adolescenti. E di cui oggi per fortuna non si ricorda nessuno.
Ok, ma nel calcio?
C’era da anni un senso di malinconia e occasioni perdute.
L’ultimo pallone d’oro azzurro, Roberto Baggio, si era ritirato due anni prima. Un’autentica colonna come Paolo Maldini aveva lasciato la nazionale dopo i mondiali del 2002. C’erano ancora grandissimi giocatori, ma la sensazione generale era che il treno migliore per quella generazione fosse già passato e che non ce ne sarebbe stato un altro.
Il commissario tecnico degli azzurri nel 2006 era Marcello Lippi, un allenatore alla prima esperienza sulla panchina di una nazionale, ma molto conosciuto per essere stato l’allenatore della Juventus. Con cui aveva vinto la Coppa dei Campioni, cinque scudetti e una coppa intercontinentale.
Insomma, un vincente senza se e senza ma, ma anche un allenatore molto legato alla storia della Juventus. Una squadra con tanti tifosi, ma anche con tante persone che la vedono con il fumo negli occhi.
E la vedevano così soprattutto nel 2006. Perché quell’anno è scoppiato lo scandalo di Calciopoli.
Già da tempo si parlava di un’inchiesta su un sospetto molto grave: l’idea che alcune società di calcio corrompessero gli arbitri per ottenere risultati favorevoli.
L’inchiesta era cresciuta molto diventando sempre più rumorosa e nel maggio del 2006 era scoppiata la bomba.
Non c’erano stati veri e propri casi di corruzione, ma alcune società di calcio influenzavano le assegnazioni degli arbitri, in modo da avere per le proprie partite alcuni invece di altri.
Le società accusate di questo comportamento erano in particolare quattro: il Milan, la Lazio, la Fiorentina, ma soprattutto la Juventus.
La società bianconera era quella su cui pesavano le accuse più gravi e nel maggio del 2006 si parlava di conseguenze serie che dopo l’estate sarebbero diventate reali. La revoca di due scudetti e la retrocessione in serie B.
I mondiali stavano per iniziare. Con una nazionale guidata da un ex juventino e piena di calciatori bianconeri che cosa ne sarebbe stato di loro da lì a pochi mesi. Insomma, un’atmosfera tutto meno che tranquilla.
La nazionale azzurra nel 2006 arriva in Germania con insicurezza, confusione, rabbia. I tifosi sono infuriati, delusi, disillusi, scandalizzati.
Nell’aria c’è profumo di disastro, ma per qualche motivo è in queste situazioni che l’Italia dà il meglio di sé. Ed è così che iniziano i mondiali del 2006.
Sei anni prima, nel 2000, gli azzurri avevano perso in finale agli europei contro la Francia. Ai mondiali del 2002 erano stati eliminati agli ottavi di finale dalla Corea del Sud, per la verità alla fine di una partita arbitrata in maniera scandalosa, e agli europei del 2004, un altro flop, con l’eliminazione ai gironi.
L’obiettivo sportivo minimo per il 2006 erano i quarti di finale. Anche se l’allenatore, Marcello Lippi, aveva fissato molto più in alto l’asticella. Nel suo primo giorno da commissario tecnico, un anno e mezzo prima, aveva detto ai suoi calciatori: siamo qui per vincere i mondiali di Germania 2006.
Ci credeva davvero? Chi può dirlo. Fatto sta che ci ha preso.
L’Italia comincia i suoi mondiali nel gruppo E con Ghana, Stati Uniti e Repubblica Ceca.
La partita d’esordio è contro la squadra africana e gli azzurri se la cavano bene vincendo due a zero con reti di Andrea Pirlo, all’epoca al Milan, e Vincenzo Iaquinta, attaccante della Juventus.
Nella seconda partita, contro gli Stati Uniti, molti si aspettano di chiudere la pratica qualificazione con un’altra vittoria. Ma gli azzurri sono troppo sicuri di sé e gli americani tengono duro. La partita è nervosa, con tre calciatori espulsi e il punteggio finale di uno a uno che complica le cose.
Contro la Repubblica Ceca serve una vittoria, e arriva. Con due goal. Il primo è del difensore dell’Inter Marco Materazzi e il secondo dell’attaccante milanista Filippo Inzaghi.
Missione compiuta, gli azzurri sono agli ottavi di finale. Dove incontreranno l’Australia.
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La sfida contro gli australiani sembra una passeggiata, ma in realtà è molto più difficile delle attese. Il loro allenatore è l’olandese Guus Hiddink, una vecchia volpe della tattica, e l’Italia non riesce a segnare.
Soltanto nei minuti di recupero, arriva la situazione che sblocca il risultato. Il terzino del Palermo Fabio Grosso scatta e viene colpito da un avversario dentro l’area di rigore. L’arbitro fischia, fallo, calcio di rigore per gli azzurri.
Lo tira il rigorista più esperto tra gli italiani, il capitano della Roma Francesco Totti. Uno che già all’epoca era una leggenda del calcio italiano, ma era arrivato al mondiale un po’ acciaccato. Sul dischetto del rigore, però, è implacabile. Segna con freddezza. L’Italia vince 1 a 0 e si qualifica ai quarti di finale.
Dove ad aspettare gli azzurri c’è un altro avversario a sorpresa. L’Ucraina.
Tra i giocatori Gialloblu c’era una vecchia conoscenza del calcio italiano, l’attaccante Andrij Shevchenko che aveva lasciato il Milan per il Chelsea pochi mesi prima spezzando il cuore ai tifosi milanisti.
Shevchenko o meno, la partita è a senso unico in favore degli azzurri. Finisce 3-0 con un goal dello juventino Gianluca Zambrotta e una doppietta dell’attaccante della Fiorentina Luca Toni.
Insomma l’Italia, quasi senza accorgersene, è in semifinale ai campionati del mondo di calcio. Non succedeva dal 1990 e dalla sconfitta dolorosissima contro l’Argentina di Maradona avvenuta allo stadio San Paolo di Napoli.
L’avversario è molto ostico, i padroni di casa della Germania intenzionati a festeggiare la vittoria davanti ai propri tifosi.
Italia Germania si gioca a Dortmund il 4 luglio del 2006 in uno stadio naturalmente strapieno di tifosi tedeschi. Ma sono tanti anche gli italiani, sia quelli arrivati dall’Italia sia quelli che vivono in Germania da tempo.
Italia Germania poi non è mai una partita qualsiasi.
Nel 1970, Italia-Germania è stata la semifinale dei mondiali in Messico.
Nel 1982, la finale dei mondiali di Spagna.
Se ascolti Salvatore racconta da un po’ di tempo, sai come sono andate a finire quelle partite.
Ma intanto torniamo al 2006.
La partita è tesa, durissima, molto combattuta. Le due squadre probabilmente si equivalgono. 90 minuti non bastano e si va ai tempi supplementari.
Anche quelli restano bloccati, sembra che si finirà davvero ai rigori. Quando, al penultimo minuto, dopo un calcio d’angolo in attacco, Andrea Pirlo passa la palla a Fabio Grosso che di puro istinto tira e segna. Uno a zero.
Di nuovo Grosso, dopo avere procurato il rigore con l’Australia, segna questo goal pesantissimo alla Germania.
Un minuto dopo, i tedeschi sono sbilanciati e l’Italia ne approfitta. Da una grande azione difensiva di Cannavaro parte un contropiede che si chiude con un goal di Alessandro Del Piero. È il primo goal del capitano della Juventus ai mondiali.
Italia-Germania 2 a 0.
I tedeschi, a casa propria, vengono eliminati.
Gli azzurri volano a Berlino. Mancano 90 minuti, per conquistare la coppa del mondo.
E di fronte all’Italia, ci sarà la Francia.
Quella Francia che nel 2006 è una squadra forte, che ha battuto il Brasile ai quarti di finale e soprattutto è la bestia nera dell’Italia da otto anni.
La finale parte con il piede sbagliato per gli azzurri. Dopo solo 7 minuti, c’è un rigore per la Francia e lo trasforma Zinedine Zidane. 1 a 0 per loro. È una doccia fredda per gli uomini di Lippi, che però non si scompongono e pareggiano dopo pochi minuti con un colpo di testa di Marco Materazzi.
Da lì in poi, è una partita bloccata come quella con la Germania. Gli azzurri hanno delle occasioni, ma le sprecano. E succede lo stesso anche ai francesi, fermati dalle parate del portiere della Juventus Gianluigi Buffon.
Durante i tempi supplementari, accade l’evento più incredibile di quel mondiale. Materazzi e Zidane discutono a metà campo, lontani dal pallone. L’azzurro dice qualcosa al francese, qualcosa di evidentemente molto offensivo e provocatorio perché Zizou perde le staffe e colpisce Materazzi in pieno petto con una testata. E questo vuol dire cartellino rosso. La Francia dovrà concludere la finale senza il suo capitano e il suo giocatore più forte.
Intanto la partita arriva ai rigori. La lotteria dei rigori. Come Italia-Francia del 98.
Quella volta gli azzurri sono usciti a causa di un errore. Questa volta invece su quattro rigori ne segnano quattro.
La Francia ne ha segnati 3. L’unico errore è dell’attaccante della Juventus David Trezeguet.
Sul punteggio di 4-3, l’ultimo rigore per l’Italia è quello decisivo.
Lo batte Fabio Grosso. L’uomo del destino contro l’Australia e la Germania. Non è certo il giocatore migliore né il rigorista più esperto, ma quel momento è il suo momento.
Nei suoi occhi prima del rigore si percepisce un’incredibile sicurezza. Sembra che sappia già tutto. Che ormai sia questione di secondi prima di esultare. Secondi di silenzio. Rincorsa. Tiro. Goal. È finita. Italia-Francia 5-3 dopo i calci di rigore.
L’Italia, per la quarta volta nella sua storia, è campione del mondo.
La festa è grandissima in tutte le città d’Italia. Bandiere, striscioni, canzoni, un famoso coro preso da una canzone dei White Stripes diventa involontariamente il simbolo della vittoria.
E uno slogan diventato famoso: e adesso ridateci la Gioconda. Legato a un’antica leggenda secondo cui i francesi avrebbero rubato la Gioconda di Leonardo da Vinci per portarla a Parigi. In realtà è ormai storicamente accertato che è stato lo stesso Leonardo a portarlo in Francia.
Comunque sia, nel momento più basso del calcio italiano, nell’occhio del ciclone dello scandalo di Calciopoli, ecco che arriva la coppa del mondo. È stata una vittoria collettiva, ottenuta grazie a una difesa granitica, ma anche grazie a uno spirito collettivo molto forte e coeso.
Da quella notte del 9 luglio, non c’è stata gloria per l’Italia ai mondiali.
Due eliminazioni ai gironi e due edizioni senza nemmeno partecipare.
È strano, nel 2022, guardare il secondo mondiale di fila senza l’Italia. Perché le partite degli azzurri hanno un potere incredibile, quello di mettere d’accordo un popolo che altrimenti discute eternamente e di qualsiasi cosa.
Le vittorie dell’Italia servono a fermare il tempo, a unire le persone in una gioia forse ingenua ma sincera, che dura poco ma riempie il cuore.
Proprio come quella notte del 9 luglio del 2006.
E chi se la scorda!
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